Quando si parla di Nouvelle Vague, il primo nome che sovviene alla mente è indubbiamente quello di Jean-Luc-Godard. Il suo primo lungometraggio, Fino all’ultimo respiro (À bout de souffle) del 1960 è considerato il film “manifesto” del movimento cinematografico francese, che ribaltò completamente i dettami del cinema “classico” e ne rivoluzionò le regole. I giovani cineasti degli anni ‘50, cresciuti con i film dei grandi registi hollywoodiani, contestavano l’idea che la pellicola fosse da considerarsi un mero mezzo d’intrattenimento, concepito per il puro e semplice spettacolo. Fino a quel momento, l’obiettivo dei registi era stato quello di impedire allo spettatore di definire un confine chiaro tra realtà e finzione, inducendolo a dimenticare di trovarsi al cinema e di stare assistendo a una finzione ben narrata; una sorta di “illusione di realtà”. I giovani registi francesi dell’epoca, però, vale a dire autori come François Truffaut, Jean-Luc Godard, Jacques Rivette, Éric Rohmer e Claude Chabrol, coloro che diedero vita a quel movimento eterogeneo che porta il nome di Nouvelle Vague, vollero sovvertire questi canoni, facendo in modo che lo spettatore non si estraniasse mai dalla realtà; per questi giovani autori, il cinema dei “padri” registi non era da disprezzare, ma non doveva essere altro che un trampolino di lancio da cui far progredire l’idea stessa di arte cinematografica.

La locandina della versione italiana de Il disprezzo di Jean-Luc Godard.

Godard nel suo sesto lungometraggio, Il disprezzo - girato nel 1963 e tratto dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia scritto nove anni prima - continua il percorso intrapreso con Fino all’ultimo respiro, servendosi di due tematiche a lui molto care: quella sentimentale - che coinvolge i due protagonisti, interpretati da Brigitte Bardot (Camille) e Michel Piccoli (Paul) - e quella del mondo del cinema.

La trama del film vede lo sceneggiatore francese Paul e sua moglie Camille, i quali si trovano a Roma sotto richiesta del produttore americano Jeremy Prokosch che, scontento della prima versione, pretende che Paul riscriva la sceneggiatura di un film basato sull’Odissea e diretto dal famoso regista tedesco Fritz Lang (che interpreta sé stesso). E quando Camille viene corteggiata dal produttore, Paul non prende posizione, quasi a voler cedere la moglie all’uomo, in cambio di favoritismi. Ed è proprio questa sua ambiguità a far crescere nella moglie Camille un sentimento tanto nuovo quanto inevitabile, il disprezzo, quello evocato dal titolo del film, poiché il vero protagonista di questa pellicola è questo tipo di sentimento, mai reso dichiarato o esplicito, se non negli ultimi minuti del lavoro di Godard, ma suggerito e proposto allo spettatore sempre in modo sottile e serpeggiante. Appare infatti impossibile che i personaggi possano parlarsi sinceramente, confrontarsi in nome di questo “disprezzo”; ed è quindi compito dello spettatore interpretare, a seconda della propria moralità e della propria sensibilità, il mistero che avvolge il cuore di Camille, il suo comportamento, i suoi modi di reagire e di interloquire.

Jean-Luc Godard spiega a Michel Piccoli e a Brigitte Bardot una scena del film.

Un sentimento così forte, questo disprezzo, che viene narrato con delicatezza e maestria dal regista francese, capace di realizzare un film intimo e conseguentemente molto fragile. Non per nulla, modificando anche un solo ingrediente di questa complessa ricetta, il sapore ne può risultare inevitabilmente alterato. Come puntualmente avvenne, visto che gli ingenti tagli di post-produzione operati dal produttore Carlo Ponti - deluso dal girato di Godard -, ridussero la pellicola da 105 a 84 minuti ed ebbero così l’effetto di danneggiare irrevocabilmente la versione italiana, alterandone il carattere quasi documentaristico, che traeva indubbiamente ispirazione da Viaggio in Italia di Roberto Rossellini (1954). Fu certamente un film difficile da realizzare, a partire dalla scelta degli attori: Carlo Ponti avrebbe voluto scritturare interpreti italiani (la coppia del momento formata da Sophia Loren e Marcello Mastroianni) mentre Godard propose le star hollywoodiane Frank Sinatra e Kim Novak. Con Michel Piccoli e Brigitte Bardot si raggiunse una sorta di compromesso.

Il compositore francese Georges Delerue.

La colonna sonora fu motivo di altrettanti dissapori, e qui entriamo in merito all’articolo, in quanto la scelta del regista cadde su Georges Delerue, compositore caro alla Nouvelle Vague e in particolare a François Truffaut, per il quale aveva già composto le musiche di Tirez sur le pianiste (1960) e L'amour à vingt ans (1962); al contrario, Carlo Ponti preferì invece affidare il compito di musicare la versione italiana a Piero Piccioni, noto per i suoi lavori nelle “commedie all’italiana” al fianco di registi come Dino Risi e Alberto Lattuada. Delerue, eccellente compositore perfezionatosi con uno dei maggiori compositori francesi del Novecento, Darius Milhaud, venne premiato nel 1949 con il Prix de Rome e nel 1979 con l’Oscar per A Little Romance di George Roy Hill, dando così inizio a una proficua collaborazione con Hollywood, che lo portò a stabilirsi in America negli anni Ottanta, morendo a Los Angeles nel 1992.

Brigitte Bardot e Michel Piccoli sulla scalinata posta sul tetto della villa di Curzio Malaparte a Capri.

Nella prima sequenza del film, Brigitte Bardot è distesa a letto accanto a Michel Piccoli, interrogandolo sul suo amore per ogni sua parte del suo corpo; la scena sembra ritrarre una coppia felice, eppure la musica sottolinea qualcosa di estraneo alla semplice dolcezza e tenerezza; una sottile malinconia si fa strada con l’incalzare dei violini, suggerendo che le immagini sullo schermo non sono che un lontano ricordo di un momento spensierato. Il regista non dimentica la sua volontà di richiamare l’attenzione dello spettatore sulla finzione delle immagini mostrate, effettuando dei repentini cambi di colore sulla pellicola, mentre il “Tema di Camille” si fa strada nei cuori di chi guarda, facendo la sua comparsa in tutti i punti più importanti della pellicola e accompagnando le scene più significative.

Il film nel film: Godard dà il ciak a una scena di Odysseus, il film di cui tratta Le mépris, con Fritz Lang nella parte di se stesso, Michel Piccoli e Jack Palance nel ruolo del produttore Prokosch.

È proprio nella scelta di quali scene sottolineare con il commento musicale che Godard e Delerue compiono lo sforzo più grande e restituiscono al film quella delicatezza che ne farà la fortuna; nei passaggi che possono, in un primo momento, sembrare irrilevanti, la musica interviene, a richiamare l’attenzione sui dettagli, sulle sfumature di emozioni e i contrasti tra razionalità e ragioni del cuore. Un esempio su tutti è rappresentato dalla telefonata tra Camille e Prokosch: la donna accetta l’invito del produttore di recarsi, insieme con Paul, nella sua villa a Capri (per la precisione, quella che lo scrittore Curzio Malaparte, dopo averla ideata personalmente, si fece costruire in uno dei punti più incantevoli dell’isola). Quello che potrebbe sembrare un momento puramente narrativo è in effetti un momento di svolta perché, proprio a Capri, Camille deciderà di mettere alla prova il marito, cedendo alle avances del produttore. Il compositore, servendosi di note lunghe e di un ampio tema ricreato dagli archi, dà vita a una pagina musicale che non funge da semplice colonna sonora, ma da vera e propria co-protagonista. Il brano, una composizione complessa dalla struttura estremamente classicheggiante, potrebbe, sembra ombra di dubbio, fungere da secondo tempo di una Sinfonia, e ricorda l’Adagio del compositore americano Samuel Barber (1910-1981), che è stato ampiamente utilizzato nel mondo della celluloide ( si pensi a The Elephant Man di David Lynch e a Platoon di Oliver Stone).

La scena della morte di Camille e Prokosch nel finale di Le mépris.

Il tema principale di Delerue viene infine ripreso nella scena in cui Camille e Prokosch sfrecciano in auto verso un tragico traguardo; qui la telecamera di Godard, con una regia che ricorda la famosissima sequenza in auto di À bout de souffle, mostra il destino di Camille, svelando il motivo della grande malinconia che aveva pervaso fino a quel momento la colonna sonora.

La morale del film però non è riferita solamente alla vicenda sentimentale della coppia. Godard, infatti, nel corso della narrazione non manca di riflettere sul ruolo del “nuovo cinema”, che ha quale rappresentante Paul, ossia l’uomo moderno, il quale avrebbe dovuto incarnare il personaggio di Ulisse da una nuova prospettiva. Fritz Lang, invece, insieme con gli dèi greci e allo stesso Odisseo-Paul, rappresenta il vecchio mondo, la classicità, il vecchio cinema. Ma in realtà, come si vede nel film, Paul non agisce, così come volevano i dettami della Nouvelle Vague, poiché il cinema non deve mostrare le azioni, i fatti e le conseguenze, bensì le attese, i sentimenti, ciò che non viene detto, ma solo che dev’essere intuito dallo spettatore, il quale cessa di essere elemento passivo, semplice ricettore, per assumere, invece, un ruolo più attivo e compartecipe allo svolgersi della pellicola.

Georges Delerue con François Truffaut, uno dei padri della Nouvelle Vague.

Delerue svela, nota dopo nota, la tristezza che lentamente pervade la mente e il cuore di Camille, restituendo appieno l’idea del regista, quella di narrare la complessità dei sentimenti e delle emozioni dei personaggi. La musica sgretola a colpi di archi la patina di perfezione e di normalità che è rappresentata nei primi minuti, mostrando sempre di più impercettibili crepe nella “corazza” esterna dei personaggi. L’importanza della funzione della colonna sonora originale è comprovata dall’ascolto della versione italiana; l’accompagnamento di Piccioni è quasi onnipresente, nonché scanzonato, frivolo. Così facendo, il messaggio trasmesso allo spettatore ne viene distorto, simile a un semplice “tira e molla” coniugale, che disgraziatamente finirà in tragedia.

Questa colonna sonora di Delerue è universalmente riconosciuta come uno dei lavori più interessanti nella storia della musica per film, tanto da essere stata riproposta da Martin Scorsese - non per nulla, esponente della New Hollywood, corrente di rinnovamento del cinema americano della fine degli anni ’60 e grande estimatore della Nouvelle Vague francese - nel suo Casino (1995), nella scena in cui Sam (Robert De Niro), dopo aver cacciato di casa la moglie Ginger (Sharon Stone), si aggira con sguardo sconsolato nel lussuoso appartamento accompagnato proprio dalle note del “Tema di Camille”, il quale viene utilizzato come elemento di rimpianto, di amaro ricordo capace di trasformare le speranze, la felicità iniziale in una struggente e implacabile fine del tutto.

Beatrice Bassi

Il disprezzo - Le Mépris

Anno: 1963

Regia: Jean-Luc Godard

Musica: Georges Delerue

Distribuzione: Compagnia Cinematografica Champion S.p.A.