Quello relativo al clavicordo è un genere tastieristico che fino a qualche decina di anni fa veniva considerato un ambito riservato a un nucleo di pochissimi affiliati in odore di esoterismo strumentale o, peggio, come figlio di un dio minore cresciuto all’ombra della rigogliosa letteratura clavicembalistica. Poi, la lunga mano della filologia musicale è riuscita a smuovere le acque stagnanti di tale territorio facendo sì che un numero sempre più numeroso di interpreti prendesse coscienza di questo strumento, collocandolo non solo nella dimensione storica che gli appartiene, ma anche facendo capire a chi doveva capire che timbricamente ed espressivamente il clavicordo era sì figlio di un dio, ma non certo minore.

Così, partendo inevitabilmente da Bach, il quale, come si sa, prediligeva in assoluto questo strumento, non fosse altro per il fatto che riusciva grazie alle sue tenui sonorità a suonarlo di notte, dopo essersi occupato durante il giorno dei suoi molteplici impegni e della “tribù” familiare, quella che può essere definita la “clavicordo-renaissance” ha risucchiato nel giro di poco tempo, in nome di quell’ineludibile totem che è l’apporto filologico, altri nomi e altre opere nell’alveo di questo strumento che a prima vista poco o punto dovrebbero averci a che fare. E i due dischi presi in esame in questa recensione rappresentano idealmente il punto di partenza, Bach, appunto, e la conseguente irradiazione filologica, andando a toccare un autore che non viene solitamente associato alla dimensione storico-espressiva del clavicordo, ossia Mozart.

Interprete di entrambe le registrazioni è un musicista, il veneziano Giovanni De Cecco, il quale si è specializzato nella prassi e nell’esecuzione su tastiere storiche, soprattutto del clavicordo, di cui possiede una copia (costruita nel 2015 da Michele Chiaramida) di uno strumento, attualmente conservato al Germanisches Nationalmuseum di Norimberga, attribuito a Johann Heinrich Silbermann e databile intorno al 1775.

Con questo formidabile strumento, dotato di una timbrica e di una dinamica possenti, De Cecco ha voluto registrare per la Bottega Discantica sei concerti (cinque di Vivaldi e uno di Alessandro Marcello, di quest’ultimo l’immancabile e ormai annoso concerto per oboe in re minore), trascritti da Bach e conservati in un manoscritto del 1715 realizzato da Johann Bernhard Bach (cugino del sommo Kantor) e conservato nella Biblioteca di Stato di Berlino, anche se il manoscritto originale delle trascrizioni fatte per la tastiera da Johann Sebastian è andato purtroppo perduto. Inoltre, per la Da Vinci Classics, De Cecco ha dato inizio a un progetto decisamente più ambizioso, quello di registrare il corpus delle sonate mozartiane proprio con il clavicordo e di cui è uscito recentemente il primo volume con tre opere, tra cui la celeberrima (e disarmante) Sonata in la minore K. 310.

Partiamo da un territorio ben conosciuto e delimitato, quello bachiano, con una riflessione che parte da una domanda apparentemente retorica: ha senso ascoltare Bach al clavicordo quando si può farlo attraverso il clavicembalo (in chiave filologica) e il pianoforte? La risposta è ovviamente sì e non si pensi che sia solo per il fatto che Bach utilizzava spesso e volentieri questo strumento. Semmai, oltre ad affermare che l’ascolto al clavicordo ha un senso, per completare la risposta bisognerebbe aggiungere che questo tipo di ascolto è illuminante a patto che non sia circoscritto al solo clavicordo. A livello strumentale, in questo caso tastieristico, il clavicordo nel paesaggio musicale bachiano rappresenta un particolare, un colore, una tinta che deve andarsi a sommare con i colori, le tinte e i particolari forniti dagli altri strumenti, pianoforte compreso, in nome di quell’approccio etimologico che sta alla base del termine tedesco Klavier, ossia tastiera.

Ora, in Bach, e la registrazione dedicata alle sue trascrizioni della musica concertistica veneziana, della quale era un fervente ammiratore, lo dimostra esemplarmente, avere modo di ascoltare opere sulle quali il genio di Eisenach applicò il concetto a lui tanto caro del bearbeiten, vale a dire del “lavorarci sopra”, prendendo a modello stili, linguaggi, evoluzioni, idee provenienti da altre tradizioni musicali, come quella veneziana, rappresenta un momento ideale se fissata attraverso l’impiego del clavicordo il quale, nella sua essenzialità, mette in risalto il costrutto armonico sacrificando in parte la linea melodica. Così, celebri pagine vivaldiane come il concerto RV 316a (BWV 975 in sol minore) e il concerto RV 310 (BWV 978 in fa maggiore) con l’uso del clavicordo fanno comprendere meglio per quale motivo la musica bachiana necessita di un ascolto non solo “conoscitivo”, ma anche “esplorativo”. Ed “esplorare” le trascrizioni del Kantor attraverso uno strumento come il clavicordo rappresenta il modello ideale per giungere al cuore del concetto di Bearbeitung con il quale Bach, prendendo a prestito opere e idee altrui, ha forgiato (e come lui anche altri compositori del Seicento e del primo Settecento) la propria musica.

Sia ben chiaro che se tale approccio di ascolto trova nel genio di Eisenach un approdo ideale, a prima vista lo stesso non dovrebbe essere per Mozart, ma così facendo si incorrerebbe in una topica colossale, e questo per due motivi. Il primo sarebbe quello di considerare ormai anacronistico, rispetto all’epoca mozartiana, il clavicordo, il quale se da una parte aveva effettivamente ultimato la sua parabola come tastiera di riferimento presso i musicisti di meta Settecento, è pur vero che dall’altra rappresentava la scelta obbligata per quegli artisti che non volevano rinunciare a uno strumento durante i lunghi periodi di viaggio (come quelli, appunto, che affrontò il giovane salisburghese toccando città e centri musicali di mezza Europa). Se poi si considera che, e qui siamo al secondo motivo, anche Mozart rientra in quella schiera di autori il cui ascolto non può e non dev’essere esclusivamente “conoscitivo”, ma anche “esplorativo”, allora ascoltare il corpus delle sue sonate su clavicordo non solo è storicamente e strumentalmente plausibile ma, come nel caso di Bach, diviene elemento imprescindibile per comprendere meglio, d’acchito, i meccanismi compositivi del divino salisburghese. E se Mozart si ciba almeno in parte della musica altrui, assimilando e metabolizzando per poi ri-creare con in più il dono incommensurabile della sua genialità, attraverso la lente d’ingrandimento di questo strumento a tastiera abbiamo la possibilità di ascoltare in nuce un altro esempio di essenzialità, di pianificazione armonica, attraverso la quale ammirare con le orecchie le mirabili costruzioni edificate sul pentagramma.

Certo, ancor più di Bach, un ascolto “esplorativo” in Mozart non è di facile assimilazione per via di quel callo musicale che ci fa associare la sua musica tastieristica all’immagine del pianoforte, del fortepiano e in minima parte del clavicembalo. Inoltre, la mancanza di quella fluidità dell’eloquio mozartiano, vista l’impossibilità di ribadire un fraseggio capace di esaltarlo, comporta un impatto maggiormente statico e anche meno articolato, quindi con il rischio, soprattutto a chi è abituato all’idea di un certo Mozart, di rendere tale ascolto più arduo e meno conciliante. Eppure, anche in questo caso, un ascolto “esplorativo” nei confronti delle Sonate per tastiera del sommo salisburghese può essere l’occasione giusta per rendersi conto che la grandezza di Mozart non sta, come spesso e volentieri si legge o si sente, nel fatto che seppe “esprimere in modo semplice concetti difficili” (gli idioti, purtroppo, non conoscono il bene del silenzio), ma nel proporre stabilmente un senso incredibile di perfetto equilibrio formale nel quale armonia e melodia sono ineludibili l’una nell’altra. Ed è proprio nel genere delle Sonate per tastiera che tale equilibrio si evidenzia in modo mirabile e grazie al clavicordo si rende oltremodo manifesto (in questo primo volume, oltre alla Sonata K. 310, sono presenti anche la K. 311 in re maggiore e la K. 332 in fa maggiore).

L’interpretazione di Giovanni De Cecco, in entrambe le registrazioni, ha il grande merito di rendere l’ascolto “esplorativo” su una linea di tensione e di attenzione che appartiene a quello “conoscitivo”, nel senso che in nome di un sottilissimo equilibrio nel quale il clavicordo viene trattato non solo come un ponte ideale tra la musica e la sua espressività fisica (l’aggettivo fisico non risulti esagerato, in quanto, soprattutto in Mozart, l’interprete veneziano spesso ingaggia un agone muscolare, come testimonia il suo respiro affannoso, il che deve dimostrare quanto sia difficile padroneggiare tale strumento), ma come una tappa dalla duplice valenza: da una parte la consapevolezza di proporre una lettura che deve completare il percorso esecuzione/ascolto non tanto in Bach quanto in Mozart in modo da mostrare l’“altra faccia” delle Sonate e dall’altra di creare anche idealmente un collegamento, un legame in cui evoluzione e affinità possono legare i due compositori in un percorso in cui lo sviluppo del linguaggio tastieristico passa anche attraverso la proiezione timbrica dello strumento in questione. Inutile aggiungere la perizia, la disciplina, la sagacia architettonica (Bach) e psicologica (Mozart) con le quali De Cecco ammanta le sue esecuzioni, il modo con il quale sa rendere “luteramente” le solarità melodiche dei trascritti Vivaldi e Alessandro e di come sappia sfoggiare nuance di ciprie edulcorate e falsi nei tra gli accordi mozartiani per non far dimenticare quella storicità fatta anche di ammaliante rococò al quale si abbeverò il divino Amadé già pregustando il sapore di Vienna saturo dell’ammuffita Salisburgo.

Entrambe le prese del suono sono state effettuate da Gianluca Zanin nell’Artigian Studio di Preganziol, vicino a Treviso. La microfonatura esalta la timbrica dello strumento attraverso una dinamica granitica che pone lo strumento in una posizione di media profondità nel soundstage, anche se leggermente più avanzata nel Bach. Il dettaglio, invece, tende ad essere leggermente “raggrumato” nei passaggi maggiormente concisi a livello dinamico e timbrico per via di un riverbero che avrebbe dovuto essere un filo più limitato, ma si tratta di dettagli a beneficio di chi ascolta anche in chiave audiofila.

Andrea Bedetti

Johann Sebastian Bach-Antonio Vivaldi-Alessandro Marcello – “Concerti veneziani”

Giovanni De Cecco (clavicordo)

CD La Bottega Discantica – Discantica 295

Giudizio artistico: 4/5

Giudizio tecnico: 4/5

 

Wolfgang Amadeus Mozart – “Complete Keyboard Sonatas Vol. 1”

Giovanni De Cecco (clavicordo)

CD Da Vinci Classics C00032

Giudizio artistico: 5/5

Giudizio tecnico: 4/5