Recentemente fra New York e Parigi è stato condotto un particolare esperimento, che ha avuto esiti del tutto imprevisti: dieci violinisti hanno suonato tre violini moderni e tre esemplari del grande liutaio cremonese e quasi tutti gli ascoltatori hanno preferito agli archi d’epoca quelli realizzati oggi

La notizia ha, almeno apparentemente, dell’incredibile. Qualche settimana fa è stato effettuato un esperimento fra New York e Parigi: da una parte, nella metropoli statunitense, in un auditorium da 860 posti con 82 spettatori, dall’altra, nella capitale francese, in un auditorium da 300 posti e con un pubblico di 137 persone, dieci violinisti professionisti hanno suonato, da soli e accompagnati da un’orchestra, tre violini moderni (tutti costruiti meno di dieci anni fa) e tre Stradivari, i quali, vantano invece quasi quattro secoli di vita. Tutti i musicisti avevano gli occhi bendati, questo per non permettere loro di sapere quale strumento, se antico o moderno, stavano suonando.

Le finalità di questo esperimento, i cui esiti sono stati resi noti da Pnas, la testata dell’Accademia nazionale delle scienze degli Stati Uniti, condotto con il Centro nazionale per la ricerca scientifica francese, erano quelle di valutare la percezione del suono sull’ascoltatore, vagliando la sua capacità di cogliere la bontà del suono stesso. Ebbene, l’esito è stato analogo nelle due sale, con il pubblico che ha preferito sorprendentemente il suono degli strumenti moderni rispetto a quello prodotto dai tre preziosi Stradivari. Ma l’aspetto più interessante (e anche inquietante, sotto un certo punto di vista) è che questo stesso tipo di esperimento era già stato effettuato in precedenza, dal medesimo team, nel 2010 e nel 2012, anche se non in un auditorium, e aveva portato gli violinisti (anche allora bendati) alle stesse conclusioni, ossia che il suono migliore era quello scaturito dai moderni violini rispetto a quello degli strumenti usciti dalla bottega di Antonio Stradivari!

Certo, ciò che sorprende non è tanto il parere fornito, nel corso dell’ultimo esperimento, da parte del pubblico parigino e newyorkese, ma sicuramente quello dagli stessi “addetti ai lavori”, ossia i musicisti che si sono prestati al primo e al secondo esperimento, quando invece, universalmente, nel mondo musicale il suono degli Stradivari, che siano violini, viole o violoncelli, è considerato insuperabile rispetto a quelli costruiti nel corso dei secoli seguenti. C’è da chiedersi, a questo punto, se invece, durante tutto questo tempo, si sia dato adito alla nascita, allo sviluppo e al perdurare di una “leggenda”, quella degli strumenti usciti dalla bottega cremonese di Stradivari, che non aveva alcuna ragione d’essere, se non quella di alimentare il mercato degli strumenti antichi, tenuto conto che gli esemplari giunti fino a noi vantano cifre di valore da far girare la testa. Ma, specularmente, ci si chiede se invece dietro a questi esperimenti ci sia non la volontà, ma un celato interesse da parte dei liutai odierni di voler sfatare all’opposto il mito degli strumenti di Stradivari, per ristabilire una certa equità nel mercato degli strumenti musicali.

Il violinista Salvatore Accardo.

«Si è semplicemente persa la cultura della qualità del suono, non si è più in grado di coglierla. Colpisce quello forte, aspro, prodotto dagli strumenti moderni», ha commentato Salvatore Accardo, che di violini se ne intende, di fronte al risultato dei tre esperimenti sonori. «Non dico che non siano fatti bene, ma la qualità del suono è un’altra cosa. Come diceva un grande liutaio, Étienne Vatelot (uno dei maggiori dello scorso secolo, ndr), un violino ha bisogno di anni e anni per raggiungere non la potenza, ma la qualità. Occorre tempo a un violino per maturare».

E oggi, invece, entrando nei campi della psicologia e della sociologia della musica, se si deve scegliere tra la qualità e la potenza, spesso e volentieri si opta per la seconda. Il che dimostrerebbe che non solo il pubblico, ma gli stessi interpreti hanno perso la dote di saper ascoltare timbricamente, dinamicamente la musica, apparentemente insensibili di fronte a una “estetica del suono”. Non si deve dimenticare, inoltre, che il saper ascoltare, il saper valutare il suono di uno o più strumenti richiede tempo e noi viviamo in un’epoca la quale non ha fondamentalmente più tempo. Succubi della velocità, della fretta, dell’iperdinamismo che imperano nella società in cui viviamo, non sappiamo più comprendere la bellezza di ciò che dura, di ciò che esiste da tanto tempo, e di fronte al suono prodotto da strumenti come gli Amati, i Guarneri, gli Stradivari, che hanno avuto bisogno di secoli per lasciar stagionare il loro suono, spesso ci troviamo indifferenti o, peggio, insensibili. Un aspetto, questo, che è stato ribadito dal violinista franco-americano Stéphane Tran Ngoc, il quale tra l’altro aveva partecipato all’esperimento condotto cinque anni fa, che ha fatto presente che «spesso con gli strumenti antichi è necessario esercitarsi per molto tempo per capire come esprimere al meglio le loro potenzialità, questo perché un antico strumento italiano produrrà un suono sempre migliore con il passare del tempo, al contrario degli strumenti moderni».

Il violinista franco-americano Stéphane Tran Ngoc.

Certo, a ben vedere, non bisogna quindi mostrarsi sorpresi o contrariati di fronte all’esito di questi esperimenti, in quanto al di là della bontà del materiale, ossia dello strumento in sé (come nel caso degli Stradivari), per saper valutare la validità della “proiezione di suono” di un violino bisogna tenere conto di altri fattori, per esempio chi suona il violino antico o moderno, in che condizioni lo si ascolta e in quale tipo di ambiente, se le corde sono moderne o di budello, il tipo e soprattutto la qualità dell’archetto. Tutti questi fattori portano a fornire una valutazione del tutto soggettiva, senza contare forse l’aspetto più importante, vale a dire che quando ci troviamo di fronte a una forma artistica che si esprime, in questo caso il violino suonato da un interprete, l’atto di “misurazione” che ne consegue della sua esecuzione rappresenta a sua volta un esercizio critico che ha la sua debita importanza, ma che è altrettanto frutto di un’analisi soggettiva.

Di fronte a questi fattori, che alimentano altrettanti variabili destinate ad aumentare, siamo proprio sicuri che un team scientifico, sulla base di determinati esperimenti, come quelli condotti a New York e a Parigi, sia in grado di saper valutare “oggettivamente” le peculiarità sonore di uno strumento moderno e di uno antico, come nel caso dei tre Stradivari?

Andrea Bedetti