Abbiamo intervistato l'arpista piemontese e la contrabbassista toscana, protagoniste del CD Ruutsu, pubblicato da Da Vinci Classics, nel quale i due strumenti affrontano un repertorio classico e contemporaneo in bilico tra i due opposti bacini artistici e culturali. Ecco che cosa ci hanno detto

L'arpista Anna Astesano.

Maestro Astesano, nell’affrontare il programma che è al centro del CD Ruutsu, è rimasta più affascinata, più in sintonia nel proporre i brani “storici”, come quelli di Ravel e Saint-Saëns, oppure quelli degli autori contemporanei e nipponici?

Il fascino che mi ha trasmesso Ruutsu, un po' come l'idea alla base del nostro intero lavoro, si è diramato su più livelli. In Saint-Saëns ho ritrovato forme e suoni a me familiari, vicini al mondo operistico. I Trois Poèmes di Ravel mi hanno permesso di utilizzare tecniche più elaborate, affidando spesso all'arpa linee melodiche estese, qualcosa di non così scontato nella musica cameristica. La musica contemporanea è stata dagli inizi dei miei studi una parte importante della mia formazione. Poter suonare brani "cuciti su misura" come la Randori Suite, composta dalla collega Ciardelli, rende il tutto ancora più accattivante. Salti piuttosto acrobatici, l'inserimento di parti vocali e registri inconsueti mostrano nuovi lati dell'arpa, dando un senso di completezza all'intero progetto. Il repertorio giapponese, in particolare Elegy del compositore Yoshihisa Hirano, è stato una grande rivelazione: tecniche estese, varietà di suoni ed effetti hanno dato pienamente sfogo alla mia musicalità e alle capacità dello strumento. Haru no Umi ha permesso di immedesimare l'arpa nel koto, suonando con le unghie e utilizzando elementi percussivi, invitando l'ascoltatore in un viaggio unico già dall'inizio dell'album. Ruutsu, partendo dal repertorio che più conosco e dalla musica in cui più riconosco, fino a sonorità e mondi a me prima sconosciuti (ad esempio quello degli Anime) mi ha stregata, commossa ed emozionata, spingendomi al limite delle mie capacità esecutive e musicali come non mi era mai successo.

Il compositore nipponico Yoshihisa Hirano.

L’arpa e la musica dell’Estremo Oriente. Il raffronto può apparire scontato per via di determinate affinità timbriche ed espressive. Ma come si può calare uno strumento occidentale nel ricostruire, nel fare immaginare sfumature e un senso musicale che appartengono a una cultura così antitetica rispetto alla nostra?

Per un caso più o meno fortuito, l'Estremo Oriente è una costante che continua a ritornare nella mia carriera musicale. Il primo album da me inciso con la casa discografica Delos, December Chrysanthemum, è una raccolta di brani del compositore cinese Ye Xiaogang. Interamente cameristico, ha tra i suoi protagonisti lo guzheng (strumento musicale della tradizione cinese appartenente alla famiglia delle cetre, N.d.C.). Sentendo gli incastri di suoni e colori che i due strumenti a corda potevano generare, ho potuto certamente apprezzare le affinità timbriche tra i due, ma anche constatare importanti differenze, soprattutto a livello di capacità armoniche. Per quanto riguarda Ruutsu, per calarmi il più possibile nella cultura orientale, l'arpa si è ritrovata spesso ad eseguire parti "scomode", non abituali per la scrittura dello strumento. Un esempio semplice ma efficace è quello della scala pentatonica: i gruppi di cinque note non sono tipicamente arpistici, non usando il mignolo nella nostra tecnica. È stato poi particolarmente interessante sottolineare le varie differenze timbriche da un brano all'altro, evidenziando le molteplici sfaccettature dell'arpa, alcune ancora non abbastanza conosciute.

Il musicista cinese Ye Xiaogang.

Lei è docente di arpa presso il conservatorio di Trapani. Come viene recepita l’arpa presso le nuove generazioni di futuri musicisti? Questo strumento viene ancora considerato, erroneamente, come quasi esclusiva del mondo interpretativo femminile o ci troviamo di fronte a una presa di coscienza capace di investire e coinvolgere anche la sfera maschile?

Il problema principale delle nuove generazioni nel loro approccio allo strumento è quello economico. L'arpa è nell'opinione pubblica, uno strumento "elitario", destinato a pochi, a causa dei costi che derivano dall'acquisto o affitto dello strumento. C'è ancora molto lavoro da fare a riguardo, ma sono felice finalmente di vedere le grandi case di fabbricazione di arpe fare i primi passi verso strumenti più economici e maneggevoli. L'arpa resta uno strumento che incanta, sia dal punto di vista sonoro che visivo. È però, non insisterò mai abbastanza su questo punto, tutt'altro che etereo o esclusivamente femminile. Per suonare l'arpa servono forza nelle braccia, nelle spalle, addominali e gambe, sulle dita si formano calli spessissimi per la continua frizione del polpastrello sulla corda. Ho sempre invidiato le mani "grandi" di alcuni docenti e colleghi arpisti, che riuscivano ad effettuare passaggi di musica (in particolare quella composta da arpisti uomini) molto acrobatici per una mano più piccola. L'arpa nasce come strumento femminile, strumento da salotto per le ricche dame che si potevano permettere quel tipo di educazione. Per fortuna il repertorio moderno e contemporaneo ci allontana sempre più da questo stereotipo, evidenziando quanta forza fisica e mentale sia necessaria per suonare l'arpa, annullando ogni altro tipo di differenza o pregiudizi.

La contrabbassista Valentina Ciardelli.


Maestro Ciardelli, come si riesce a far conciliare Giacomo Puccini con Frank Zappa? Da dove nasce l'amore per il primo, questioni geografiche e anagrafiche a parte, e quello per il secondo?

Conciliare Puccini e Zappa è naturale perché fanno parte dello stesso universo, quello dei grandi geni, non c'è un paragone: è solamente puro e genuino amore e interesse verso il loro operato artistico e quello che hanno saputo seminare e donare come artisti. Puccini è stato l’autore delle prime ninna nanne che mia nonna mi cantava da piccola, la nonna Marisa, che era grandissima appassionata d’opera e in particolare quella di Giacomo Puccini. Era una sarta e imparò negli anni Quaranta e Cinquanta tutte le opere a memoria e mi raccontava le trame dei libretti come avventure fantastiche nei pomeriggi della mia infanzia, Mimi e Turandot al tempo erano per me solo personaggi che coesistevano nello stesso universo (giocando con i Lego o Playmobil, spesso ambientavo le mie avventure con i protagonisti chiamandoli con i nomi dei personaggi pucciniani!), poi crescendo mi sono avvicinata e inoltrata da musicista nel vastissimo, criptico e irriverente mondo pucciniano amandolo in ogni sua sfaccettatura. Per Frank Zappa la storia è stata un po’ differente. Ho conosciuto la sua musica attraverso la musica rock inglese degli anni Sessanta, dai vinili dei miei genitori ho esplorato alcune band come i Pink Floyd arrivando ai Deep Purple. E proprio attraverso questi ultimi che nel famigerato brano “Smoke On the Water” si parla di Frank Zappa and the mothers of invention. All’epoca mi chiedevo chi fossero questi “Frank Zappa” e quindi mi sono decisa a cercare più informazioni. Così, a undici anni, un pomeriggio, sono andata nel negozio di musica del mio paese e ho acquistato l’unico disco disponibile di Zappa, The Grand Wazoo, venduto con uno sguardo molto perplesso da parte del commesso. Tornata a casa, lo feci partire sull’impianto stereo di mio padre e da lì sono rimasta folgorata, non ho più smesso di ascoltarlo né di trascriverlo e grazie a lui ho iniziato a conoscere la musica colta del Novecento scritta da Stravinskij, Varèse, Berg… Io sono figlia dell’opera, del rock, dell’epoca classica, non ho un genere di riferimento, compongo e suono quello che sento vicino e non c'è una linea stilistica o temporale che mi pone dei paletti nel farlo.

La cover dello LP The Grand Wazoo di Frank Zappa, registrato nel 1972.


Contrabbasso ed Estremo Oriente. La duttilità di questo strumento quanto riesce a esprimere le sottigliezze, le sfumature, le “simbologie” insite nella musica della tradizione nipponica antica e moderna?

Il contrabbasso è semplicemente un prolungamento del mio corpo, di quello che sento, la duttilità dello strumento dipende molto dall’idea che si ha in testa e dal suono che si vuole ricreare, ovviamente per fare ciò serve una conoscenza tecnica buona (che non si ferma mai ed è pressoché infinita a mio modestissimo parere). Anche in questo caso, come nei vari progetti che ho all’attivo sono partita da un suono, un'atmosfera, un colore che volevo ricreare sentendo e studiando attentamente le fonti nipponiche antiche e moderne che ho avuto la possibilità di esaminare. Il contrabbasso si veste e si adatta sul suono e sul simbolismo acustico necessario. Posso fare un esempio pratico per spiegare la duttilità del contrabbasso in questo preciso progetto. Il brano Haro no umi di Michio Miyagi è originariamente scritta per strumenti tipici giapponesi, il koto e lo shakuhachi. Il suono del koto, molto austero e secco è in contrasto con quello del flauto tradizionale di bambù, che ha un suono molto etereo e sfuggente anche a livello di intonazione, peculiarità che enfatizza proprio la drammaturgia del brano. In questo caso il contrabbasso, in complicità col suono dell’arpa pizzicata a unghia, si staglia con un suono sui ponticelli e armonici artificiali che donano un effetto quasi elettrico alla melodia ma che richiamano per assonanza il peso strumentale dello shakuhachi. Io non ho imitato il flauto di bambù in questo brano, ho processato il suono nella mia testa e ho cercato di tradurre contrabbassisticamente il suono, sintetizzandolo nella tecnica dello strumento.

Andrea Bedetti