La parola “ruutsu”, che dà il titolo a un nuovo progetto discografico della Da Vinci Classics e interpretato dall’arpista Anna Astesano e dalla contrabbassista Valentina Ciardelli (leggi qui la loro intervista), rappresenta la pronuncia giapponese del termine inglese “roots”, ossia “radici”. Radici che riguardano il connubio, nell’ambito musicale, che è intercorso nei secoli tra Occidente e Oriente, più specificatamente quello che riguarda il rapporto reciproco tra il Giappone e la tradizione musicale colta occidentale. Un rapporto a tratti fecondo, a tratti messo storicamente da parte per vicissitudini culturali, politiche ed economiche, ma mai venuto meno, soprattutto a partire dall’Ottocento.

Ora, le “radici” di questo rapporto, con i relativi influssi da una e dall’altra parte, sono per l’appunto al centro di questo disco che le due giovani artiste hanno voluto confezionare, proponendo arrangiamenti di opere note e letture di opere nuove, tutte basate nel solco di un Occidente che guarda verso le terre del Mikado e con musicisti nipponici che esprimono la loro arte anche tenendo a mente la grande lezione che la “terra dove tramonta il sole”, ossia quella occidentale ha saputo manifestare ed elargire nel corso dei secoli. Il programma concepito si delinea così su due differenti vettori che viaggiano paralleli non a livello temporale, ma sotto l’ambito di un intreccio di richiami, di allusioni, di rimandi tra l’Europa musicale, soprattutto francese, rappresentata dai Trois Poèmes di Stéphane Mallarmé di Ravel e da una Chanson (la dodicesima) di Camille Saint-Saëns, Sur l’eau claire et sans ride (negli arrangiamenti fatti dalla Ciardelli), oltre a una composizione del giovane lucchese Stefano Teani, Ukiguomo, oltre alla stessa Ciardelli che presenta, sul solco del disco precedente Music from a Sphinx, una sua composizione nata da istanze pucciniane, Butterfly Effect (Le melodie giapponesi attraversano le mura di Lucca) e un’altra del beneamato Frank Zappa, Blessed Relief, da lei arrangiata, con l’aggiunta di altri brani della stessa contrabbassista, Igor II, for solo double bass e After Igor, for solo harp, e del trittico Randori Suite, mentre per ciò che riguarda l’apporto dato dal Paese del Sol Levante, vi sono Michio Miyagi, uno dei maggiori compositori del Novecento nipponico, con il suo Haru no Umi (arrangiato da Valentina Ciardelli) e del contemporaneo Yoshihisa Hirano, con Elegy.

La cover del CD della Da Vinci Classics.

Faccio subito presente che il risultato finale, a livello discografico, appare controverso. Perché a livello discografico? Perché controverso? Per alcuni motivi che vado a spiegare. Partiamo dal presupposto che tutti i brani di questo disco, la cui durata è di circa sessanta minuti, quindi con un minutaggio non particolarmente lungo, si basano su un costrutto estremamente rarefatto, denso di una timbrica in perenne sospensione, che porta sovente l’eloquio a manifestarsi con dei pp e ppp. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che sia i brani storici occidentali, sia quelli contemporanei di matrice nipponica presenti nella registrazione, sono votati, intrisi di una dimensione sonora che non appartiene alla cultura e all’espressione artistica occidentali, il che rende, soprattutto per coloro che non sono avvezzi a queste sonorità, ad ascoltare un impianto armonico e melodico decisamente lontani da quelli della nostra tradizione colta (tra le tre strutture artistiche dell’arte orientale, è proprio quella legata ai suoni a risultare maggiormente ostica, rispetto alla parola letteraria e all’immagine pittorica). E poi, non dobbiamo sottovalutare un altro aspetto che viene penalizzato da una registrazione puramente audio: la musica orientale è maggiormente immersiva rispetto a quella occidentale, ossia tende a dare molta importanza alla gestualità, alla ritualità, a un coinvolgimento totale dell’essere ascoltante che deve entrare in perfetta comunione spirituale con l’interprete.

D’altronde, i brani di questo disco, così come il suo denominatore comune progettuale, rientrano in quello che potrebbe essere definito una rappresentazione di teatro strumentale, nel quale sia gli interpreti, sia gli strumenti musicali divengono veri e propri attori, capaci di creare con la loro recitazione espressiva, che si fa forte di una dimensione “metasonora”, una determinata atmosfera, un preciso afflato che richiama le leggi estetiche che presiedono il teatro nō e il kabuki (quest’ultimo termine si basa su un ideogramma formato da ka, “canto”, bu, “danza” e ki “abilità”, il che ci fa comprendere come una rappresentazione musicale dell’arte nipponica sia, in fin dei conti, connaturata a una dimensione totalizzante che, oltre a investire l’udito, coinvolge anche la vista). È proprio questa capacità di coinvolgere totalmente l’ascoltatore, per i motivi appena addotti, che brani di questo tipo, anche quelli di matrice occidentale come i Trois Poèmes di Stéphane Mallarmé di Ravel e la Chanson di Saint-Saëns, nella riduzione per contrabbasso ed arpa, costringono colui che può solo ascoltarli e non a integrare l’ascolto con l’impatto visivo dato dalla rappresentazione dal vivo a un’esperienza mutilata, parziale con il possibile risultato, e questo è il rischio inevitabile, di non coinvolgerlo, provocando alla fine un senso di frustrazione, di falsificante reiterazione sonora fine a se stessa.

L'arpista Anna Astesano e la contrabbassista Valentina Ciardelli.

La validità delle due giovani interpreti non si discute, ma se il tutto fosse stato fissato su un CD audio + video, il processo di coinvolgimento sarebbe stato maggiore da parte di colui che viene investito da questa forma di “teatro strumentale”. C’è un altro aspetto di cui tenere conto e che riguarda non solo la sfera artistica, ma che coinvolge anche quella tecnica della registrazione: volendo ridurre ai minimi termini simbolici, il contrabbasso è uno strumento “maschio”, l’arpa invece è uno strumento “femminile” (e anche qui abbiamo un assaggio, una conferma allegorica della dimensione “teatrale” come forma di dialogo e di confronto proposta da questa incisione) e il concentus che ne viene fuori obbliga volutamente e inevitabilmente il contrabbasso a concedere timbricamente solo una parte del suo repertorio espressivo, un continuo “inchinarsi” nei confronti dello strumento femminile, ossia l’arpa, un rapportarsi con essa, senza alzare i toni, senza ergersi compitamente in quanto tale.

Questo incontro a metà strada, tra il registro grave del contrabbasso e quello medio-acuto dell’arpa, sovente conduce a una pletora di microdinamiche che se non si ha a disposizione un impianto di riproduzione audio all’altezza non si ha modo di percepire (un solo esempio: i primissimi accordi dell’arpa ne I boccioli del quadro, primo segmento della Randori Suite, sono talmente flebili da risultare pressoché inudibili, il che rafforza la tesi della necessità dell’impatto visivo in questo tipo di lavoro) la dimensione spaziale, a livello di parametro del palcoscenico sonoro, nel quale si svolge questa azione scenica. Se viene a mancare la ricostruzione di tale profondità fisica dell’interpretazione dell’arpa e del contrabbasso, si perde la connotazione dell’evento in sé, completo, totalizzante. Certo, Gabriele Zanetti ha fatto un buon lavoro in sede di presa del suono, e chi vanta un impianto di riproduzione di buona fattura riesce a percepire sia la spazialità del luogo fisico nel quale si è svolta la registrazione, sia la microdinamica continuamente sollecitata dai due strumenti. In ciò aiuta anche il dettaglio, compiutamente materico, capace di trasmettere anche qui la fisicità del contrabbasso e dell’arpa.

Andrea Bedetti


AA.VV. – Ruutsu – The Girls in The Magnesian Dress

Anna Astesano (arpa) – Valentina Ciardelli (contrabbasso)

CD Da Vinci C00553

Giudizio artistico 3,5/5
Giudizio tecnico 4,5/5