Ho sempre provato una grande ammirazione, a livello semantico, verso il lemma “progetto”, in quanto l’immagine stessa che evoca tale termine è quello di un “gettare oltre”, di poter creare intellettualmente e materialmente un qualcosa capace di superare i limiti e i confini del contingente in cui si attua per dare vita a un’idea, a una creazione destinate a realizzarsi nel passaggio dal presente in cui ci troviamo a un futuro che diviene non solo ipotizzabile, ma soprattutto realizzabile, grazie alla forza, alla potenza, alla diversità che sono insite nel pro-getto stesso. Da ciò, quando mi trovo di fronte a un progetto discografico particolarmente allettante, vuoi per l’intelligenza data dall’idea e dalla creazione in sé, sia per la sua capacità di trarre e offrire un percorso storico-musicale in grado di evidenziare quegli ineludibili collegamenti interdisciplinari che sono insiti in esso, sono ben felice di ascoltarlo e di analizzarlo. Ed esempi di tali produzioni, vivaddio, fortunatamente non mancano, grazie alla competenza, all’intelligenza e alla sensibilità di chi è andato a ideare e a confezionare tale modello di progetto.

La cover del doppio CD Da Vinci Classics con le cantate profane di Marcello, Bach e Spinosa dedicate al mito di Cassandra.

L’aspetto positivo è che soventemente le aspettative, che inevitabilmente si generano davanti alla possibilità di accedere a un qualcosa-che-va-oltre-rispetto-a-ciò-che-non-c’era, vengono soddisfatte in toto o anche solo in parte da chi è stato coinvolto (produzione, capacità interpretativa, qualità tecnica) in tale progetto. Ma può anche capitare, ahimè, di dover poi prendere atto che le presunte potenzialità di quel pro-getto si riducono solo ed esclusivamente a un getto fine a se stesso, incapace non solo di non mantenere le promesse di quell’andare oltre, ma di generare un pernicioso senso di fastidio, di irritazione davanti al risultato ottenuto, ossia un gettare al vento sassi che se incautamente si finisce sotto la loro traiettoria, si rischia, allegoricamente, di finire al pronto soccorso. Ed è proprio quanto mi è capitato, quando ho affrontato l’ascolto (e il relativo fastidio conseguente) di una recentissima produzione discografica uscita per la Da Vinci Classics che porta l’intrigante titolo di Sul filo degli affetti. La voce di Cassandra, e che presenta due cantate di altrettanti autori barocchi, Benedetto Marcello e Johann Christoph Friedrich Bach, unitamente a una terza cantata di una valida autrice contemporanea, Rossella Spinosa, tutte dedicate a questa affascinante figura femminile, con l’apporto del mezzosoprano Arianna Lanci, della cembalista Chiara Cattani, dei violinisti Roberto & Anna Noferini, del violista Gilberto Ceranto e del violoncellista Giacomo Grava. Quindi, le finalità di questa registrazione, spalmata su due dischi, erano quelle di mostrare come l’arte dei suoni abbia affrontato, nel passato e nel presente, la titanica e tragica figura di Cassandra, sacerdotessa troiana figlia di Ecuba e di Priamo, uno dei personaggi femminili più rivoluzionari e “moderni” che fanno parte di quell’immenso e meraviglioso edificio che porta il nome di mitologia greca.

Il compositore veneziano Benedetto Marcello in un dipinto di anonimo del XVIII secolo.

L’unicità di questa figura femminile è data dalla sua preveggenza, frutto di una maledizione lanciata su di lei dal dio Apollo, che aveva sdegnosamente rifiutato, costretta così a predire la verità senza però essere ascoltata e senza ricevere credito. Ma Cassandra, e qui sta la sua grandezza, nonostante non venga ascoltata, continua a parlare e a vaticinare. Alla fine, il suo parlare non è nemmeno più umano, diviene un delirio fatto di suoni e di fonemi disarticolati, destinato ad essere ascoltato solo da chi non è prigioniero delle fattezze umane.

Da qui, si può facilmente comprendere come Cassandra abbia potuto stimolare, fin dalla sua irruzione scenica nell’antica tragedia greca, la fantasia e la creatività degli artisti, anche quelli musicali. Come nel caso del sedicesimo figlio del Kantore del compositore veneziano, i quali scrissero rispettivamente la cantata drammatica per mezzosoprano, archi e clavicembalo Cassandra Wf XVIII / 1. G. 46 e la cantata drammatica per mezzosoprano e clavicembalo CassandraS.240B, alle quali, in questa registrazione, fa da contraltare contemporaneo la cantata drammatica per mezzosoprano, archi e clavicembalo Cassandra di Rossella Spinosa.

Va da sé che le prime due composizioni rientrano a pieno titolo nel cosiddetto genere dell’Affektenlehre, nella “teoria degli affetti”, che ha marcato in modo indelebile il rapporto tra canto umano e accompagnamento strumentale, ossia quando gli Affekten, le emozioni, ciò che muoveva e destabilizzava, sotto la spinta del razionalismo cartesiano (affrontati più precisamente nel suo ultimo trattato, Les passions de l’âme, dato alle stampe nel 1649), furono oggetto di un sistematico tentativo di etichettatura tassonomica, ossia di catalogazione e di spiegazione dei meccanismi che portano le passioni a manifestarsi sotto la spinta di fenomeni esterni, tra cui, appunto, il suono musicale. Entrando nello specifico delle due pagine barocche, la cantata marcelliana, pur essendo da camera, vanta una considerevole lunghezza con i suoi cinquanta minuti di durata. Essendo un’opera che, a livello di accompagnamento strumentale, presenta solo il cembalo, l’importanza dell’apporto dato dal libretto, per ciò che riguarda la caratura drammatica e la resa poetica, è a dir poco fondamentale. Per questo Benedetto Marcello si rivolse al poeta padovano Antonio Conti, il quale aveva già collaborato con il compositore veneziano scrivendo il testo per un’altra cantata profana, Il Timoteo, opera accolta all’epoca con grande favore. Il successo di quella precedente cantata spinse Marcello a ricorrere ancora a Conti, il quale riuscì ancora a confezionare un libretto potentemente espressivo.

Johann Christoph Friedrich Bach, il sedicesimo figlio di Johann Sebastian Bach.

Lo stesso libretto di Conti, e ciò denota l’ammirazione che circondava la figura del poeta padovano, fu poi utilizzato da Johann Christoph Friedrich Bach, ossia dal meno conosciuto dei quattro figli del Kantor che seguirono le orme paterne, il quale trascorse tutta la vita, dall’adolescenza fino alla morte, presso la corte di Bückeburg, nelle vesti di Kapellmeister del conte di Schaumburg, che impose al musicista lipsiense di comporre musica con uno stile squisitamente italiano. Rispetto alla cantata di Marcello, quella di Johann Christoph Friedrich Bach vanta un accompagnamento strumentale più nutrito e presenta anche alcune arie da capo, senza contare che il finale, dato dall’aria Chi bell’abisso mi sotterra, è presentato in chiave recitativa (proprio per rimarcare ed esaltare la potenza poetica del testo).

Da ultimo, per chiudere idealmente il cerchio della figura di Cassandra identificata e restituita con il trascorrere del tempo, la versione di Rossella Spinosa, la quale ha scritto la sua cantata su commissione di Arianna Lanci e di Chiara Cattani, basandosi sul testo di un poeta vissuto nel IV secolo a.C., Licofrone di Calcide, nell’Eubea, il quale sarebbe stato autore di un poema intitolato Alessandra(nella lingua greca, Ἀλεξάνδρα è sinonimo di Cassandra). Così, la musicista milanese ha voluto restituire, attraverso dinamiche musicali contemporanee, sia lo stile sorprendentemente moderno, oscuro fornito dal testo del poeta tragico della Pleiade, sia utilizzando uno strumento musicale antico quale il cembalo e la voce di una cantante barocca. In questo modo, il ruolo dello strumento a tastiera è in grado di restituire atmosfere sonore e abbellimenti tipici di aure antiche, opponendosi e incontrandosi con la linea “novecentesca” data ritmicamente dagli archi.

La compositrice e pianista milanese Rossella Spinosa.

Queste, dunque, le premesse progettuali di questo doppio CD della Da Vinci Classics. Ma il risultato all’ascolto? Deludente, sconsolatamente deludente, soprattutto per quanto riguarda la lettura della cantata bachiana. Purtroppo, la voce di Arianna Lanci mostra pecche, difetti e manchevolezze, al punto da evidenziare in alcuni punti dell’interpretazione perfino problemi di intonazione. Inoltre, ci sono difficoltà nel mantenere il registro acuto, oltre a quello grave, e senza contare che l’emissione, a livello di potenza, è risultata a tratti flebile, debole, al punto quasi da essere coperta dall’accompagnamento strumentale. Non nascondo di essere stato spiacevolmente sorpreso e ho cercato di capire, attraverso il risultato della registrazione, anche mediante un ascolto in cuffia, i motivi di questa défaillance. Ebbene, mi sono reso conto che il problema, in realtà, era a monte, per il semplice fatto che la resa vocale era gravemente inficiata da un’evidente difficoltà della respirazione, come se l’esercizio dato dall’inspirare e dall’espirare, sul quale si regola tutto il flusso del canto, così fondamentale nel repertorio barocco, fosse stato gravemente compromesso, al punto tale che queste pecche si possono avvertire anche nei recitativi, affrontati con circospezione e senza mostrare quel dispiegamento timbrico così necessario per poter esaltare la resa drammatica che li incarna.

Il mezzosoprano Arianna Lanci.

Nella playlist dei due CD, la cantata bachiana è quella che apre il secondo disco, con il brano di Rossella Spinosa che lo conclude e con il primo CD dedicato interamente alla cantata di Benedetto Marcello. Ebbene, in nome del reddite quae sunt Caesaris Caesari et quae sunt Dei Deo, in questi due brani le cose migliorano leggermente, nel senso che l’emissione vocale di Arianna Lanci tende a stabilizzarsi, si fissa alzando un po’ l’asticella del risultato tecnico ed espressivo, pur senza raggiungere un risultato totalmente convincente, in quanto si avverte sempre una sorta di titubanza espressiva, come se l’artista avesse timore di lasciarsi andare, di dare pienamente fondo alle sue potenzialità vocali. Probabilmente, la resa migliore l’abbiamo nella cantata di Rossella Spinosa che, tra l’altro, è un brano compositivamente e musicalmente molto interessante, anche sotto l’aspetto strumentale, nel suo evidenziare l’antagonismo che affiora tra l’apporto cembalistico e quello dato dagli archi, stabilendo di fatto un suono che deve restituire un senso di continua incomunicabilità. Inoltre, a livello critico, anche la componente strumentale in questo brano firma la sua lettura più efficace e, in un certo senso, più convincente, poiché gli archi, evidentemente stimolati dalla pungente scrittura della compositrice milanese, restituiscono un suono maggiormente aderente rispetto a ciò che viene richiesto loro, mentre lo stesso non avviene ancora nella sciagurata pagina bachiana, poiché anche qui la lettura offerta dagli strumenti ad arco si adegua mestamente a quanto offerto dal mezzosoprano, in quanto viene a mancare quell’“elettricità”, quella sferzata timbrica, quel compenetrarsi reciproco che la cantata del sedicesimo figlio del Kantor impone. E qui torniamo a quanto già enunciato sopra, ossia che chi ha accompagnato Arianna Lanci nella Cassandrabachiana, si sia reso conto delle sue difficoltà, adeguando di fatto un timbro spento, in cui il mordente, ossia l’entrare nella composizione ed esserne totalmente aderenti, viene purtroppo a mancare.

La cembalista Chiara Cattani.

A questo punto, chi si salva in questa improvvisata e improvvida “zattera della Medusa” rappresentata da questa registrazione? L’unica a emergere chiaramente per senso della lettura, per la resa esecutiva e per essersi calata adeguatamente nei panni di un’aderenza interpretativa è stata Chiara Cattani (e questo vale soprattutto per quanto riesce a fare nella pagina di Marcello e, assai bene, in quella di Rossella Spinosa). Il suo senso ritmico, la sua capacità di enunciare il ruolo di “continuo” come elemento aggregante ed arricchente rispetto alla voce, le permette di salvare, almeno in minima parte, capra e cavoli.

La chiesa di San Giovanni Battista in Pergola a Faenza, dove è stata effettuata la presa del suono.

In sede tecnica, se Atene piange, Sparta non ride, visto che anche la presa del suono presenta interrogativi e problemi. Il risultato peggiore è presente, e qui siamo a livelli di una vera e propria “maledizione di Tutankhamon”, nella cantata di Bach. Prima di ascoltare la registrazione, non ho letto dove fosse stata effettuata la presa del suono, ma poi mi sono avventato sull’Inlay per capire dove diavolo fosse stata fatta, poiché ho creduto che si fosse optato di registrare in un bunker, per il semplice fatto che il suono che veniva fuori, e questo riguarda il parametro del palcoscenico sonoro, risultava letteralmente “intubato”, ossia confinato in uno spazio ristretto, claustrofobico, senza che la voce e gli strumenti potessero irradiarsi in ampiezza e in altezza rispetto ai diffusori. Inoltra, la dinamica, in fatto di velocità ed energia, risultava essere anemica, grigia, spenta. A proposito, il luogo incriminato in questione è la chiesa di San Giovanni Battista in Pergola a Faenza, un edificio che non conoscevo minimamente, senza perdermi nulla, evidentemente, se i risultati sono questi. Le cose sono leggermente, veramente di poco, migliorate, con la cantata di Marcello e con quella della Spinosa, in quanto (posso arguire l’adozione di una differente microfonatura) il suono è risultato essere un po’ più arioso, con una percezione fisica di profondità maggiormente accennata, senza però risultare ancora soddisfacente. Inoltre, vi è un altro problema che ha riguardato entrambi i dischi, quello che concerne il parametro del dettaglio: la messa a fuoco non è decisamente ottimale, in quanto la grana della matericità è grossolana, nel senso che vi è una sorta di sottile patina che va a inficiare il beneficio “tattile” che si può apprezzare in fase di ascolto.

Andrea Bedetti

AA.VV. – Sul filo degli affetti. La voce di Cassandra

Arianna Lanci (mezzosoprano) - Chiara Cattani (clavicembalo) - Roberto & Anna Noferini (violini) - Gilberto Ceranto (viola) - Giacomo Grava (violoncello)

2 CD Da Vinci Classics C00906

Giudizio artistico 2/5
Giudizio tecnico 2,5/5

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