Ci sono libri che segnano una vita, sia per chi li scrive, sia per chi li legge, libri che rappresentano una svolta tale che, dopo la loro pubblicazione, si può ben affermare che tracciano inevitabilmente un prima e un dopo. A questa schiera di libri irrinunciabili, quelli che formano una biblioteca ideale, si può aggiungere ora un altro titolo, L’orecchio di Proteo, pubblicato recentemente dalla LIM e scritto dal compositore, saggista, filosofo e musicologo Carlo Alessandro Landini. Se qualcuno avesse l’ardire di ironizzare sui quattro titoli con i quali ho voluto presentare il musicista milanese, ebbene sappia che mi sono mantenuto stretto ed essenziale, poiché se avrà la fortuna di prendere in mano il suddetto volume, comprenderà meglio, saggiandone il peso, il numero di pagine, le argomentazioni trattate, il numero di note a piè di pagina e l’indice degli autori trattati e citati, che solo un artista e intellettuale d’altri tempi avrebbe potuto affrontare e portare a termine un’impresa simile.
Sì, perché L’orecchio di Proteo rimanda necessariamente ad altre epoche, e anche piuttosto remote, ossia quando chi scriveva saggi e trattati, poteva vantare conoscenze che lambivano lo scibile umano (di quel tempo, sia ben chiaro), non facendo distinzioni, in tali conoscenze, tra campi umanistici e scientifici, tra trivio e quadrivio. D’altronde, come altrimenti si potrebbe definire un volume che sfiora le mille pagine, ed essendo stato stampato in formato A4, pesa esattamente due chili (ho preso in prestito la bilancia della cucina e me ne sono accertato personalmente), oltre a vantare un indice che riporta all’incirca diecimila autori? E poi che dire del suo artefice, se non che in questo tomo ha trattato, e non certo superficialmente, argomenti che appartengono al campo della musicologia, della filosofia, della psicologia, della sociologia, della letteratura, dell’arte nelle sue svariate espressioni tra pittura, architettura e scultura, del cinema, della fotografia, della fisica, della matematica, della biologia, della neurologia, dell’antropologia, dell’acustica?
Personalmente, ora che dopo mesi di appassionata e centellinata lettura, seguita da debite riflessioni e considerazioni, sono giunto alla fine di quest’autentica impresa, mi sono posto una domanda, quella di poter individuare nella storia della cultura e della conoscenza occidentali, un autore e un suo testo che potessero essere accomunati e paragonati alla vastità di interessi e approfondimenti che Landini e il suo L’orecchio di Proteo hanno mostrato di possedere; per quanto ne sappia, anche per le attinenze e non solo nel campo musicale mostrate, mi è venuta in mente la figura del gesuita tedesco Athanasius Kircher, vissuto nel XVII secolo (nato a Geisa nel 1602 e morto a Roma nel 1680) e di una sua leggendaria, sterminata opera saggistica, la Musurgia universalis, sive ars magna consoni et dissoni, in X libros digesta, scritta in latino e suddivisa in dieci libri raccolti in due volumi per un totale di quasi milleduecento pagine, un’opera capace veramente di segnare un’epoca e di illuminare preziosamente spiriti futuri, come Johann Sebastian Bach e Ludwig van Beethoven dei quali furono entusiasti lettori, nella quale il dotto gesuita germanico trattò, tra gli altri aspetti, l’analisi fisico-acustica dei suoni, la musica degli antichi Greci e degli Ebrei, i diversi stili musicali, l’Affektenlehre, la teoria dell’armonia delle sfere, senza dimenticare, come enunciata nel settimo libro, una geniale invenzione teorica, la cosiddetta musurgia mirifica, un particolarissimo sistema attraverso il quale si sarebbe potuto scrivere opere musicali pur senza conoscere la grammatica e il linguaggio dei suoni. E tutto ciò suffragato da una mole di dati, di paragoni, di approfondimenti, di citazioni appartenenti a vari campi dello scibile umano, la cui vastità è pari a quella mostrata dall’opera di una vita scritta da Carlo Alessandro Landini.
Dietro l’evocativo titolo de L’orecchio di Proteo (divinità della mitologia greca, figlio di Oceano e di Teti, ritenuto un oracolo e capace di poter cambiare la propria forma fisica quando lo desiderasse), si cela un trattato nel quale il musicista e pensatore milanese prende in esame un aspetto finora ingiustamente trascurato, se non solo sfiorato parzialmente dal pensiero filosofico e musicologico, quello che in un celebre passaggio della Recherche, più precisamente in Sodome et Gomorrhe, Marcel Proust afferma che nell’arte dei suoni è possibile scorgere non solo «tutto un mondo di possibilità e combinazioni», ma soprattutto, che «un universo unicamente udibile potrebbe essere non meno vario dell’altro», ossia quello che appartiene al nostro reale. La musica, con le sue leggi, le sue regole, i suoi meccanismi compositivi, non è quindi solo un universo capace di tradurre con i suoni qualsiasi tipo di linguaggio altro dal suo, ma è un multiverso con il quale è possibile creare da un semplice intervallo, per via di un semplice calcolo combinatorio, come spiega il nostro autore nella premessa del voluminoso saggio, «valori potenzialmente infiniti e di ricombinarli in base a una varietà essa pure infinita di accordi, di certo più vario, e più variabile, di quello reale».
E a ciò che è potenzialmente infinito nella sua proiezione, nella sua elaborazione, nella sua creazione, che si fissa in un solo atto tra tutti quelli che potrebbero affiorare nella scrittura compositiva, si aggiunge un altro duplice problema che giustamente Carlo Alessandro Landini invita a non sottovalutare, quello che riguarda il concetto interpretativo di quel solo atto e di come può essere recepito, sempre sotto l’egida di una presunta, ma mai confortante, prassi ermeneutica, da parte di colui che lo ascolta. Questo perché sovente, ed è un vizio assurdo del quale perfino noi addetti ai lavori siamo afflitti, si dimentica che un processo sonoro, l’atto del suono è e non significa-ciò-che-è, anche se la sua esecuzione e la sua ricezione devono sempre fare i conti con un contesto “soggettivo” (interprete/ascoltatore) e mai “oggettivo-in-sè”. Insomma, un multiverso infinito che si affida, di volta in volta, a uno dei tanti, tantissimi soggetti interpretativi per finire poi in pasto ad un ancor più vasto proscenio di ascoltatori, il tutto in nome dell’ermeneutica e dei tanti significati che si possono dare a una data composizione musicale.
Ciò che qui è stato solamente accennato in poche, pochissime righe, Carlo Alessandro Landini lo espone in un tomo di quasi mille pagine, attingendo, come si è già detto, da una mole di conoscenze interdisciplinari che possono gettare il lettore meno preparato nello sgomento; è vero, il compositore e filosofo milanese è in grado di dare tanto al lettore, ma è anche incontrovertibile il fatto che quest’ultimo deve metterci del suo, ossia vantare un bagaglio culturale con il quale affrontare il temibile impatto cognitivo che trasuda da ogni proposizione presente in quest’opera. Per mostrare le sue tesi, quantomeno per permettere al lettore di acquisire una conoscenza del problema nella sua totalità, Landini espone tale totalità andando a perlustrare e a scavare nei territori di altri campi del sapere, nei quali l’indeterminatezza, la sfuggevolezza, l’alea della spinta creatrice portano a concretizzare l’idea, la visione, oscena e blasfema di primo acchito, che la Musica sia una meravigliosa dea bugiarda, falsa, una maga Circe sotto fattezze fisiche ed acustiche, che si serve per l’appunto di Proteo e del suo orecchio perennemente mutevole, cangiante, capace di assumere qualsiasi forma (come ogni interpretazione e relativo ascolto) per permettere il realizzarsi di uno dei molteplici, possibili atti che può manifestare.
Addentrandomi nei trentaquattro capitoli che formano questo trattato, leggendo e rileggendo, tornando indietro per ampliare raffronti e argomenti, riflettendo sulla portata generale dell’opera, mi sono sempre più convinto che la scrittura di Carlo Alessandro Landini è fatta dello stesso impasto creativo della sua musica (e ciò è oltremodo raro, in quanto non è facile individuare altrettanti esempi in compositori capaci di esporre attraverso una precisa matrice che accomuni le loro note e le loro parole); oserei dire che quella del musicista e pensatore milanese sia una scrittura poliespositiva, vale a dire che il suo modo di esporre idee, concetti, argomentazioni viene condotto sulla base più linee, quanti sono gli esempi, gli autori, gli ambiti specialistici tirati in ballo di volta in volta nel loro espletarsi all’interno di una sola frase, tale da richiamare inevitabilmente la sua scrittura musicale, in cui la dimensione polifonica è quasi sempre motore insostituibile e immancabile con il quale si deve fare i conti (e qui mi riferisco in modo particolare alla sua straordinaria Sonata n. 5 per pianoforte, registrata per l'etichetta Da Vinci, della quale ho già parlato in passato sulle pagine di questa rivista). Più linee sonore, così come più linee semantiche, in un continuo e inesauribile intrecciarsi, che possono mettere in crisi l’ascoltatore e il lettore più sprovveduti o, quantomeno, non più abituati a confrontarsi con suoni e parole in cui la pluriarticolazione è fonte stessa della loro esistenza.
A tutto ciò si deve aggiungere un ulteriore e ineludibile tassello, quello che è già esposto nel sottotitolo di questo trattato, Saggio di neuroestetica musicale - Ambiguità, trappole cognitive, strategie decisionali, un tassello che è in realtà una lucida, potente lente d’ingrandimento, grazie alla quale Landini si addentra con coraggio e indefessa curiosità nei meandri tentacolari della dea Musica, ossia la scienza neurologica, della quale è un appassionato studioso ed esperto, concentrando tra l’altro la sua attenzione sull’affascinante rapporto tra musica e nevrosi. La neurologia, che negli ultimi cinquant’anni ha fatto passi da gigante per farci comprendere come il nostro cervello sia in grado di decodificare i suoni, a tramutarli in immagini ed emozioni, è dunque elemento insostituibile e il nostro autore lo fa esemplarmente comprendere in capitoli come “Consonanze e dissonanze cognitive”, “Frizioni cognitive, alla ricerca (vana) di una regola”, “Il momento di scegliere. Decision-making musicale e cervello” e, soprattutto, “ I sensi a riposo, fate morgane e allucinazioni sonore”.
Un’opera del genere, per essere non solo affrontata e letta, ma prima di tutto metabolizzata, ha bisogno di tempo: “tempo esteriore”, quello che è necessario per assorbire quantitativamente quasi mille pagine, e “tempo interiore”, ancor più importante e basilare, senza la presenza del quale, non è possibile accedere alla sua piena comprensione, nel poter mettere ordine, come in un archivio che si rispecchi, all’implacabile irruzione interdisciplinare che Landini impone a chi vuole confrontarsi con il suo pensiero e con la sua scrittura.
In un’epoca nella quale le rovine di evoliana memoria si sono ulteriormente polverizzate, un’opera come L’orecchio di Proteo assume i contorni di una sfida che Carlo Alessandro Landini ha voluto lanciare anche nei confronti della comunità accademica, di coloro che affermano di sapere, ma che spesso e volentieri non sanno, di quelli che sono ormai schiavi della iperspecializzazione e che uscendo dal loro seminato si ritrovano a morire di ignoranza in deserti sconosciuti. Ma soprattutto, il musicista milanese, con questo libro “per tutti e per nessuno”, ci fa un dono inestimabile, poiché chi riuscirà a leggerlo fino in fondo o anche affrontando solo alcuni dei capitoli che lo compongono (i quali hanno la proprietà di poter essere considerati dei brillanti saggi del tutto autonomi, perfettamente conchiusi nel loro esporre) avrà modo alla fine di scoprirsi ancor più innamorato di quella dea che credevamo perfetta e sublime, ma che in realtà è prima di tutto fonte di un’inesauribile ambiguità, della quale, però, scopriamo sempre più di non poter fare assolutamente a meno: la Musica.
Andrea Bedetti
Carlo Alessandro Landini – L’orecchio di Proteo. Saggio di neuroestetica musicale - Ambiguità, trappole cognitive, strategie decisionali
LIM, 2021, pagg. 860
Giudizio artistico 4,5/5