Chi si prende la briga di leggere i miei scritti e i miei articoli critici in ambito musicale si sarà reso conto che non nutro una particolare simpatia, né una malcelata ammirazione, nei confronti di quelli che personalmente definisco i cosiddetti “neomelodici” (tengo subito a precisare che con tale termine non mi riferisco a quegli “artisti” partenopei postmeroliani alcuni dei quali sarebbero in odor, più o meno, di camorra, quanto a quei musicisti che rimangono fedeli sostenitori non solo del caro, vecchio sistema tonale, ma soprattutto della melodia, fondando su di essa il loro costrutto creativo).

La cover del CD Percorsi dell'anima del compositore e pianista Antonio Trovato.

Quindi, quando ho ricevuto il CD Percorsi dell'anima, del compositore e pianista palermitano Antonio Trovato, dopo aver dato un'occhiata alle scarne note di accompagnamento ed essermi insospettito di fronte ad alcuni titoli dei sedici brani che ne fanno parte, del tipo “Nostalgia di Sicilia”, “Palpiti d'Amore”, “Fragilità”, “Il Viandante smarrito”, “Desiderio di un Fauno” (e qui, sinceramente, ho temuto il peggio), ho aggrottato entrambe le sopracciglia e, con un atto di incosciente temerarietà, ho inserito il CD nel lettore per ascoltarlo.

Sebbene un adagio insegni che ad essere prevenuti si rischia di cadere nella presunzione, l'esperienza mi ha insegnato che laddove in un'opera contemporanea trionfa la melodia, allo stesso tempo la medesima viene a mancare di buona parte di tutto quel resto che governa necessariamente la sua creazione, vale a dire che dietro la facciata dell'impianto melodico vi è il nulla, poiché lo scopo di chi le ha dato vita è solo quello di “emozionare”, di far palpitare, di coinvolgere sterilmente nell'attimo stesso in cui il suono aleggia ancora fuggevolmente nell'aria, per poi decadere e sparire un momento dopo, con la stessa velocità dei suoi armonici. Insomma, quella che chiamo musica “a presa rapida”, che cattura l'anima (quella evocata dal suddetto titolo), ma che lascia indifferente il cervello e che non attiva il pensiero, quello che continua a mantenere viva la musica in noi quando finiamo di ascoltarla.

Però, il fatto che io magari sia un prevenuto, non significa necessariamente che non sappia rendermi conto che in Danimarca non sempre vi risiede del marcio, così come che l'uso e l'abuso della melodia non sempre comporta l'incontrastato dominio del nulla in una composizione musicale odierna. Quindi, dopo aver ascoltato il disco di Antonio Trovato, pubblicato dall'etichetta BAM, ho potuto fare un paio di considerazioni; la prima è stata di riconoscere al compositore e pianista siciliano la capacità di impiegare e plasmare l'impianto melodico in un modo tale da non portare, come risultato, l'instaurarsi di “effettacci” destinati solo a coinvolgere superficialmente l'ascoltatore, ma di immetterlo in una costruzione in cui la dimensione armonica ha un suo perché, una sua ragione d'essere, facendo sì che dietro la facciata vi sia anche un cortile, per giunta ordinato, con tutte le sue cose e i suoi oggetti al posto giusto (e ciò dimostra che Trovato, oltre ad essere un ottimo pianista, sa anche come affrontare il pentagramma vuoto).

Il compositore e pianista palermitano Antonio Trovato.

La seconda è che dietro a una presunta patina “da nipotino” di Rachmaninov e del primissimo Skrjabin (con tanto di intenti “programmatici”, visto che lo stesso autore verga di proprio pugno alcuni spunti, determinate visioni da trasmettere all'ascoltatore nelle note di accompagnamento per ogni brano qui registrato), poiché è questo il sapore che tale impianto melodico lascia nelle papille auditive, in realtà non vi è solo il desiderio di stupire, di épater le bourgeois in senso benefico, di spedirlo in un mondo di sogni ad occhi aperti, ma di trasmettere a chi ascolta il sentimento di una passione, di un sentimento nei confronti della musica che solo i puri, che siano parsifalianamente inconsapevoli o meno, sanno provare e vivere. Insomma, si potrà essere d'accordo oppure no con il compositore palermitano quando afferma, come si legge nelle note di accompagnamento, che «la mia arte esprime la mia anima e la mia anima esprime Dio», ma di fronte a questo atto di ammissione totale non si può fare a meno di ammettere che al di là di tali slanci “neoromantici” vi sia soprattutto il desiderio di comunicare con la musica sensazioni impellenti, necessità di intenti e che il volerlo fare con un modo di comporre saturo di melodia non è per circonvenire gli incapaci di ascolto, ma per creare un ponte di comunicazione diretto, attraverso il quale poter trasmettere quella purezza di sentire e rendere il “suo” mondo dei suoni. Si badi bene, ciò può essere accettato e condiviso o meno, ma tenuto conto dei risultati, del modo di proporre articolatamente tale costrutto melodico come fa Antonio Trovato nel suo disco, il quale non si pone l'obiettivo di “scimmiottare” gli ultimi epigoni tonalisti del Novecento, non si può fare a meno di rispettare tale desiderio.

Enzo Puccio si è occupato della presa del suono; la dinamica è corposa, anche se non esplosiva, ma in grado di restituire una congrua velocità dei transienti, mentre il palcoscenico sonoro ricostruisce correttamente lo strumento al centro dei diffusori con una discreta e apprezzata profondità. E se l'equilibrio tonale non manifesta difetti nella proposizione dei registri, il dettaglio è sufficientemente materico e dotato di nero.

Andrea Bedetti

Antonio Trovato – Percorsi dell'anima

Antonio Trovato (pianoforte)

CD BAM 20619

Giudizio artistico 3,5/5
Giudizio tecnico 3,5/5