Il violinista e compositore genovese Marcello Fera è il direttore artistico della rassegna musicale meranese SONORA che si propone, di anno in anno, di esporre con il mondo dei suoni un tema conduttore dato da un concetto o da una categoria speculativa. Ne abbiamo parlato con lui in questa intervista alle porte della nuova edizione dedicata al tema dell’indifferenza
Maestro Fera, Sonora 704, la rassegna musicale che ha ideato e del quale è il direttore artistico, si basa su un particolare rapporto, quello che scaturisce da un concetto, una parola chiave, da una categoria speculativa, che viene trasferito, sviscerato e presentato mediante l’universo sonoro; un qualcosa, quindi, che sorge dal logos per tramutarsi nella mousikè technè. Quali possono essere i possibili rischi e i risvolti positivi che si possono presentare in questo rapporto?
È evidente che questo genere di operazione comporti dei rischi, principalmente costituiti dall’essere didascalici oppure dal finire per forzare a proprio piacimento natura e contenuto dei lavori musicali scelti nella prospettiva del tema dato. Tuttavia, è evidente che pensare la musica (nella sua alterità di mezzi rispetto al “logos”) come strumento di intelligenza del mondo e quindi capace di acuire il nostro sguardo su ciò che è e circonda la nostra vita, sia estremamente importante e arricchente. Costruire un programma intorno al tema dell’indifferenza non è stato semplice. La musica stessa, man mano che pensavo ai possibili brani da scegliere, mi ha suggerito aspetti contenutistici e connessioni che altrimenti non avrei considerato. Spero che questi stimoli “passino” agli ascoltatori e siano per loro altrettanto illuminanti.
Nell’edizione di quest’anno, che vede quale concetto/tema conduttore l’indifferenza, spiccano l’esecuzione in prima italiana di Ouroboros del compositore austriaco Thomas Larcher e la particolare opera del musicista italiano Andrea Chenna, che ha composto il brano Lilì per viola, pianoforte e archi mediante un software che può essere utilizzato da chiunque via web, il GPT-3. Sa dirci com’è nata quest’opera e come si può usare il software in questione? E per quale motivo ha scelto la composizione di Larcher?
È evidente che il deep learning, la capacità cioè di sviluppare autonomamente da parte delle macchine, a partire dall’acquisizione di un certo numero di informazioni, processi di apprendimento e comprensione fino a ieri ritenuti di esclusiva competenza della mente umana, sia oggi un tema centrale. Ognuno di noi, pur senza sapere esattamente cosa siano, è in rapporto quotidiano con i cosiddetti algoritmi, che capiscono chi siamo e cosa desideriamo per proporci merci da acquistare e per anticipare i nostri desideri sui più svariati temi, dalle vacanze, all’eros, alla politica. Cosa sia la coscienza e se eventualmente si possa parlare di coscienza per una macchina pensante è oggi oggetto delle ricerche più attive che coinvolgono diverse discipline: filosofia, neuroscienze, informatica. Ci è difficile però immaginare la coscienza come qualcosa disgiunta da istanze etiche ed emotive. La macchina ne è evidentemente priva, è per antonomasia indifferente. Eppure, sappiamo di persone che risolvono la propria solitudine e le proprie istanze relazionali, sentimentali ed erotiche grazie a specifiche macchine che sono in grado di diventare vere e proprie compagne/i di vita. Allo stesso modo altre macchine sono in grado di comporre musica. Per dare un piccolo saggio di questo scarto tra l’indifferenza della macchina la quale è in grado di muovere la natura invece inevitabilmente calda, emozionalmente partecipativa della nostra percezione, ho dato così incarico ad Andrea Chenna, compositore straordinariamente capace, intelligente e ironico, con una lunga esperienza nell’uso “caldo” dell’elettronica, di “istruire” il GPT-3 affinché componesse un brano. A quanto ne so si tratta di “alimentare” la macchina con le informazioni sufficienti da permetterle di proseguire il discorso musicale per conto proprio. Ovviamente il risultato è determinato dal tipo di informazioni che le vengono date e, eventualmente, da quanto “l’istruttore” decida o meno di intervenire nel processo. Esiste quindi in questo stadio ancora una rilevanza decisiva riguardo alle scelte umane.
Per quanto riguarda Larcher invece, si tratta di un brano che mi è casualmente venuto incontro ed è di per sé perfetto per il nostro tema. Ouroboros, ossia l’oroboro, l’antico simbolo del serpente che divora la propria coda rappresentato in forma di cerchio, esprime l’idea del tempo circolare, sempre uguale a sé stesso, opposto all’idea di tempo direzionale che si è sviluppato in modo univoco tra cultura classica e cristiana. Un tempo perfettamente indifferente alle cure e preoccupazioni umane. Larcher è uno dei compositori più interessanti ed eseguiti del nostro tempo, ancora un po’ sottorappresentato in Italia.
Da parte sua, Maestro Fera, lei eseguirà con l’Orchestra Haydn una sua opera, intitolata Sull’indifferenza, e dirigerà, tra l’altro, alla testa dell’Ensemble Conductus, la versione per orchestra d’archi fatta da Mahler del Quartetto Der Tod und das Mädchen di Schubert. Com’è nata la sua composizione e per quale motivo ha voluto presentare proprio la versione mahleriana di questo capolavoro, tenuto conto che sia il sommo compositore boemo, sia quello viennese hanno sempre dovuto convivere, durante la loro breve vita, con l’idea stessa della morte?
Anni fa avevo in testa un progetto tra architettura, letteratura e musica che spero ancora, forse, di poter realizzare. Roberta Dapunt compose un testo sull’indifferenza, intesa come uno dei mali che affligge l’uomo verso sé e i suoi simili. Il brano è stato scritto nel tentativo di render conto del risuonare delle parole di Dapunt nella mente e nella coscienza del lettore/compositore. Su Schubert/Mahler la prospettiva è questa: se da un lato la vicenda biografica di Schubert è un esempio lampante di quanto violenta e desertificante possa essere l’indifferenza umana verso il valore e la specificità altrui (pensando al rapporto tra la sofferenza che gli procurò l’essere misconosciuto e l’incredibile patrimonio che ci ha lasciato e di cui tutt’oggi godiamo), dall’altro c’è appunto il rapporto con la morte. Nel topos medioevale/romantico dell’incontro tra la giovane e la morte si esprime in parte l’idea epicurea della morte pacificatrice, di quel calmiere che ci induce a relativizzare con filosofica indifferenza le pulsioni infuocate che tendono a determinarci. Sul piano più squisitamente musicale la versione orchestrale di Mahler, oltre a corrispondere al campo d’azione del nostro ensemble, rappresenta uno dei rari casi in cui la trascrizione sembra addirittura potenziare le qualità del dettato originale.
Un’ultima domanda. Ha già deciso quale sarà il tema conduttore della prossima edizione di Sonora? O, quantomeno, quale le piacerebbe poter proporre e attuare?
Il Festival di quest’anno per la seconda volta corrisponde all’iniziativa lanciata dalla casa editrice edizioni alphabeta Verlag, Zeitworte/parole del tempo, volta a indagare di anno in anno una parola, un termine che sia significativo per illustrare il nostro tempo, lo Zeitgeist. Funziona così: alphabeta incarica dieci scrittori (cinque di lingua italiana e cinque di lingua tedesca) di lavorare sulla parola scelta raccolti in un’antologia che incrocia le traduzioni. Il nostro festival e altre istituzioni sono state invitate a dare il loro contributo attraverso la disciplina artistica di cui si occupano. L’intento di rappresentare un “blocco” multidisciplinare che lavora su un unico soggetto è stato vanificato sul piano operativo e del calendario dall’emergenza sanitaria in corso. Non so ancora se l’iniziativa proseguirà. Attualmente sono in attesa di capire. Nel caso andassimo avanti la scelta del tema sarebbe collegiale. I desideri da parte mia comunque non mancano. D’altronde procedere in base all’individuazione di un tema per la programmazione è cosa che ho sempre fatto, assai prima della nascita di questo progetto.
Andrea Bedetti