Quanto scritto da Robert Schumann, nell'incipit nell'ormai famoso articolo pubblicato il 23 ottobre 1853 sulla Neue Zeitschrift für Musik di Lipsia riguardo le Sonate pianistiche del giovanissimo Johannes Brahms, fa venire ancora i brividi: «Io pensavo che un giorno sarebbe apparso, e apparso improvvisamente, qualcuno chiamato a render palese in modo ideale la più alta espressione del tempo, qualcuno che ci avrebbe apportato la perfezione magistrale non attraverso uno sviluppo graduale del suo ingegno, ma di colpo, come Minerva, quando uscì interamente armata dal capo di Cronide. Ed è venuto questo giovane sangue, alla culla del quale hanno vegliato Grazie ed Eroi. Si chiama Johannes Brahms... ». Quell'articolo, oltre ad essere un lungimirante e profetico atto di omaggio nei confronti di un giovane pianista e compositore destinato a lasciare un marchio indelebile nella storia della musica colta occidentale, rappresenta anche un indubbio esempio della generosità di Schumann, del suo saper mettere a disposizione il magistero musicale e culturale di cui era impregnato, nella sua capacità di stimolare quel concetto di Bildung, di crescita interiore votata a saper generare una Weltanschauung(immagine così cara alla filosofia romantica) a favore di quei giovani pronti ad assumere il ruolo di novalis (come nel caso del grande poeta e filosofo Friedrich Leopold von Hardenberg, che decise di assumere come pseudonimo questo termine latino), ossia di un “terreno incolto adattato per la prima volta a coltura”.
E Brahms, che solo dopo pochi mesi, tra la fine del 1853 e gli inizi dell'anno successivo, vide interrotto bruscamente e traumaticamente il suo fecondo rapporto con Schumann a causa della follia e della successiva morte del suo magister avvenuta nel 1856,crebbe e formò la sua Weltanschauung nella speranza di trovare, a sua volta, giovani musicisti capaci di incarnare il prezioso dono di un terreno incolto destinato a fiorire e a dare i suoi frutti. A dire il vero, la sua amarezza, il suo mondo popolato da continue disillusioni, e questo soprattutto con l'avanzare dell'età, la sua proverbiale scontrosità non lo aiutarono di certo in tale opera ma, nonostante ciò, la porta del suo cuore seppe spalancarsi quando si rese conto di avere di fronte a sé giovani nei quali riconoscere quell'imberbe pianista che un giorno dell'autunno del 1853 bussò alla porta di casa Schumann in quel di Düsseldorf. E tra quei giovani nei quali il sommo di Amburgo seppe in un certo senso rivedere se stesso ci fu anche un italiano, il torinese Leone Sinigaglia, destinato, a sua volta, a diventare uno dei musicisti più interessanti, stimolanti e musicalmente preparati della prima metà del Novecento europeo, sebbene, dopo la sua morte, avvenuta tragicamente nella città sabauda il 16 maggio 1944, a causa di un infarto provocato dall'ordine di arresto da parte dei nazisti che avrebbero dovuto deportarlo in quanto di razza ebraica, il suo nome e la sua opera siano poi ingiustamente e inspiegabilmente confluiti nel dimenticatoio storico.
Quando Sinigaglia conobbe Brahms a Vienna nel 1894, divenendone amico e in un certo senso discepolo, aveva compiuto da poco ventisei anni. Secondogenito di Abramo Alberto Sinigaglia e della milanese Emilia Romanelli, Leone era cresciuto in una famiglia dell'alta borghesia torinese di fine Ottocento; appassionato di letteratura e di alpinismo fin dalla giovinezza, il giovane Sinigaglia, dopo gli studi musicali di violino, pianoforte e composizione, effettuati fra l'altro con Giovanni Bolzoni e Federico Buffaletti, iniziò a viaggiare per affinare gli studi musicali. Così, dopo aver soggiornato in varie città europee, dal 1894 risiedette a Vienna, dove appunto conobbe Brahms, avendo modo di studiare anche con il compositore rumeno Eusebius Mandyczewski, straordinario didatta del contrappunto. Dopo Vienna e Brahms, per Sinigaglia, a partire dal 1900, ci furono Praga e la sua amicizia con un altro grande, Antonín Dvořák, dal quale il compositore torinese apprese l'uso dell'armonia e della melodia popolari da utilizzare e plasmare nel costrutto colto della musica.
Quando Sinigaglia tornò a Torino nel 1901 nel suo ruolo di compositore, ebbe quindi ben chiara la lezione brahmsiana e quella dvořákiana, avendo consolidato dal primo una rigorosa analisi armonica e dal secondo l'amore per la trascrizione del patrimonio musicale popolare. Così, nel successivo decennio, il musicista torinese trascrisse circa cinquecento canti popolari, provenienti dalla tradizione orale, di cui la maggior parte fu da lui raccolta dal canto dei contadini sulla collina di Cavoretto, nei pressi di Torino, dove la famiglia possedeva una proprietà. Sulla base della lezione di Brahms e di Dvořák, il musicista torinese arrangiò nel corso degli anni alcuni di essi, esattamente trentasei, in una versione destinata per canto e pianoforte intitolata Vecchie canzoni popolari del Piemonte. Al di là di questa raccolta, praticamente tutto il catalogo delle opere di Sinigaglia, che va dalla musica per concerto a quella cameristica, passando per quella orchestrale e pianistica, è improntata sull'imprescindibile visione dettata dagli ultimi bagliori di un tardoromanticismo europeo, allergico alle posizioni moderniste dei nuovi linguaggi musicali (a cominciare da quello seriale) e ancorato su un classicismo di chiara matrice brahmsiana, ricevendo attestati di ammirazione da parte di sommi direttori, come Wilhelm Furtwängler, Arturo Toscanini e Sir John Barbirolli, che sovente eseguirono sue composizioni orchestrali, a cominciare dall'ouverture Baruffe Chiozzotte.
Un interessante, recente progetto discografico, pubblicato dalla Da Vinci Classics, ha visto il pianista torinese Edoardo Turbil ripercorrere idealmente il fecondo rapporto tra Brahms e Sinigaglia, proponendo del primo la Sonata n. 1 in do maggiore op. 1 e del secondo alcuni pezzi pianistici, per la precisione il 2° Studio in re maggiore, l'Improvviso, la Fleurette d'Avril, l'Air de Ballet(tutti in prima registrazione mondiale), i cinque brani che compongono i Fogli d'Album op. 7 e gli Zwei Klavierstücke, op. 24, proprio con l'intento di evidenziare i collegamenti musicali, gli influssi, la volontà, da parte del compositore torinese di raccogliere il testimone del sommo genio di Amburgo. La scelta dell'op. 1 brahmsiano rappresenta una sorta di viatico, di sentiero periglioso ed esaltante, irruzione sublime di un ventenne che con questa composizione, sebbene cronologicamente sia posteriore alla Sonata n. 2 in fa diesis minore, dà inizio al catalogo, come se il suo autore avesse voluto definirla una specie di novantacinque tesi di luterana memoria affisse sul portone della musica pianistica romantica tedesca a mo' di manifesto programmatico per indicare la strada da intraprendere per tutti coloro che volevano agire sotto il vessillo della Neue Musik, una sonata che si articola in strutture a dir poco grandiose (il celebre richiamo alla Sonata op. 106 di Beethoven... ), frutto di una consapevolezza espressiva non intaccata minimamente da un'inevitabile esuberanza e sfrenato entusiasmo giovanili, ma già offerta prodigiosa, il cui succo ha il sapore di un'indubbia maturità stilistica.
Proprio quella maturità stilistica alla cui fonte ebbero modi di abbeverarsi nei decenni successivi diversi giovani musicisti europei, tra cui Leone Sinigaglia e il cui risultato si mostra nella sua evidenza proprio nelle pagine che Edoardo Turbil ha voluto presentare nel suo programma discografico, frutto anche del suo lavoro di tesi di dottorato che riguarda i pezzi registrati in prima mondiale e i cui manoscritti, conservati nella Biblioteca del Conservatorio di Torino, sono stati da lui curati e studiati. Il 2° Studio in re maggiore è paradigmatico in tal senso: in questa pagina il compositore torinese mette a frutto sia la lezione brahmsiana nell'articolazione armonica che forma il costrutto della composizione, sia lo sfruttamento melodico dato dalle indicazioni dvořákiane, che portano alla formazione di segmenti sagacemente collegati, fornendo alla pagina una convincente fluidità espositiva. L'andamento melodico, frutto anche delle ricerche sul campo effettuate da Sinigaglia, il nostro autentico Bartók italico, risultato di uno sfruttamento esplorativo in ambito armonico, si nota poi nell'Improvviso, mentre Fleurette d'Avril e Air de Ballet sono figlie di quelle atmosfere tipicamente gozzaniane, affioramenti di un sentore borghese, la cui agiatezza è motore di una sottile spensieratezza.
I Fogli d'Album sono vessilliferi di una delicata rimembranza e richiamano l'ésprit delle romanze da camera, testimonianza ancestrale di una melodiosità interiore che si sprigiona come quando si sfoglia un album fotografico (il terzo brano della composizione, Nostalgia, ne rappresenta l'emblema), anche se l'intelligenza compositiva di Sinigaglia fa in modo di immettere sempre cellule esplorative, tali da non restituire mai un'idea, un tema fini a se stessi, come avviene appunto in Così va il mondo, bimba mia e in Scherzino. Strutturalmente, i brani più interessanti sono sicuramente il Capriccio e l'Humoreske che compongono gli Zwei Klavierstücke, che rappresentano il tributo di Sinigaglia nei confronti rispettivamente di Brahms e Dvořák, nei quali avviene uno sfruttamento della tastiera in chiave germanica e mitteleuropea. Nel primo brano, il compositore torinese sistematizza la tipica costruzione “cellulare” cara al genio amburghese, affastellando il tutto con coerenza organica, mentre il secondo brano vede nel suo andamento sbarazzino il concretizzarsi di un sentore popolaresco che tradisce lo studio della cultura folkloristica effettuato dal nostro autore, sintesi interessante di elementi autoctoni in chiave classica.
Della lettura fatta della Sonata brahmsiana e dei brani di Sinigaglia, fatta da Edoardo Turbil, colpisce un fatto: la sua capacità di penetrare la materia musicale, di aderire quindi alla loro dimensione storica e interpretativa. Ciò vuol dire, a proposito della Sonata, restituirla come atto d'entusiasmo, come risultato creativo che miscela perfettamente le nervature prometeiche con la sapienza stilistica nelle quali sono distribuite. L'op. 1 è un labirinto dal quale bisogna uscire vincitori se si riesce ad esprimerlo attraverso una serie di ingredienti il cui dosaggio dev'essere preciso al milligrammo; significa riproporne la dimensione titanica, fanciullesca vista attraverso la lente d'ingrandimento di una forma che non dev'essere però debordante, grossolanamente dionisiaca, ma inquadrata, bilanciata, poiché fin da questa straordinaria pagina Brahms detta le regole di un nuovo Classicismo che guarda al passato (Beethoven aleggia su questo capolavoro in modo inequivocabile). Da ciò, Turbil si è reso perfettamente conto che l'entusiasmo prorompente, ossia il carburante che mette in moto tutto il suo meccanismo, è solo un elemento di cui tenere conto, e il cui sapore deve fare i conti con quello degli altri ingredienti. Dunque, un entusiasmo che si sprigiona nei due tempi estremi e nel fantasmagorico Scherzo che abbisogna di una disciplina la quale, però non è da intendersi come il morso cui un cavallo deve ubbidire, ma come accorgimento disciplinante, equa distribuzione di pesi e contrappesi, capacità di supremo equilibrio. E Turbil ci riesce benissimo, poiché l'ascoltatore riesce a percepire l'effetto di questa cavalcata sulla tastiera, come se il rigore del passo di un cavallo Lipizzano riuscisse a ottenere lo stesso risultato se venisse lanciato al galoppo.
La medesima capacità di immedesimazione si coglie, almeno per le pagine che conosco a livello di partitura, per ciò che riguarda i brani di Sinigaglia. Se la primaria lezione che l'autore torinese seppe trarre dai suoi straordinari maestri fu quella di non mettere mai da parte un supremo equilibrio nelle sue opere, anche in quelle più leggere e spensierate, allora Turbil è stato fedele a tale indicazione: leggerezza e profondità, esplorazione e capacità di scolpirne l'immagine, senso ritmico nel parcellizzare le strutture mutevoli. Tutto ciò concorre nel restituire quella freschezza, in fondo quell'innocenza espositiva che contraddistingue il Sinigaglia pianistico e il cui risultato, ne sono certo, avrebbe fatto scappare un sorriso di compiacimento allo stesso Brahms.
La presa del suono fatta da Gabriele Zanetti è contraddistinta da una dinamica al fulmicotone, tale da restituire un'energia nucleare nella Sonata brahmsiana, tale da trasformare il Grand Piano Yamaha CFX in un ordigno atomico (gli innumerevoli fff di quest'opera metteranno a dura prova i tweeter dei vostri diffusori), ma questo non significa che ci siano colori ed effetti snaturanti nella sua riproposizione. Lo dimostra la resa timbrica nei brani di Sinigaglia che si fa apprezzare per una piacevolissima naturalezza. Ne consegue, a livello di palcoscenico sonoro, una ricostruzione alquanto ravvicinata del pianoforte, il quale però non perde mai nella spazialità fisica dell'evento una debita messa a fuoco, sebbene vanti una notevole ampiezza e altezza del suono, tale da andare oltre al raggio dei diffusori. Anche l'equilibrio tonale risulta convincente, con una resa del registro medio-grave e di quello acuto che mostrano un continuo scontorno, tale da esaltare il fraseggio, soprattutto nella Sonata brahmsiana. Da ultimo, il dettaglio, nonostante l'esplosività dinamica, è oltremodo materico, in grado di rendere la fisicità tridimensionale dello strumento, oltre a donare settanta minuti di ascolto esenti da ogni fatica per l'udito.
Andrea Bedetti
Johannes Brahms - Leone Sinigaglia - Klavierstücke, Album Leaves and other Piano Music
Edoardo Turbil (pianoforte)
CD Da Vinci Classics C00550