Il 27 settembre dello scorso anno Mario Bortolotto, uno degli ultimissimi “grandi vecchi” della musicologia nostrana, ci ha lasciato dopo aver percorso per più di cinquanta dei suoi novant’anni il sentiero variegato e labirintico della musica nelle vesti di un Wanderer, ossia di un “viandante”, come quello incarnato dal suo Schubert (uno dei compositori da lui prediletti). Autore di svariati libri sulla musica, che si concentrano soprattutto su quella moderna, a partire dal Lied romantico fino ad arrivare a quella contemporanea, della quale il musicologo friulano è stato uno dei massimi conoscitori e divulgatori, Mario Bortolotto è appartenuto a quella categoria di geniali e formidabili personaggi della cultura che sono in realtà degli “onniscienti”, in grado di fare della critica e della trasmissione culturale un valore aggiunto in termini enciclopedici, ossia uscendo dal seminato della loro visione specialistica per investire una totalità di intenti a tutto tondo, trasformando uno scritto o un saggio in una salita di montagna per giungere infine alla vetta, dalla quale ammirare un paesaggio a trecentosessanta gradi. Ecco perché il suo nome dev’essere accostato di diritto a quelli di Gianfranco Contini, Mario Praz e Giovanni Macchia, autorità nel campo del sapere musicale e letterario dei quali fu un fervente ammiratore.

Quindi, leggere Mario Bortolotto significa non solo addentrarsi nel sentiero infinito della grande musica ma, attraverso di esso, aggiungere di volta in volta una miriade di scorci e di radure grazie ai quali avere nuove e illuminanti prospettive; da qui, si può ben arguire che leggere i suoi scritti vuol dire costruire un sapere, più che conoscere i risvolti magici e affascinanti della storia e dell’evoluzione musicale. E un’ulteriore conferma di questa prodigiosa capacità ce la offre l’ultimo libro che raccoglie saggi, articoli, testi di programmi di sala che il musicologo e storico della musica di Pordenone scrisse tra il 1960 e il 2004. Un testo che, data la sua scomparsa, rappresenta idealmente un passo d’addio con il quale Bortolotto, senza poterlo vedere una volta dato alle stampe, ha voluto accomiatarsi dal suo ruolo di “viandante musicale”, quale è per l’appunto il titolo del volume in questione. Volume che ospita scritti dedicati, tra gli altri, a Fryderyk Chopin (con un mirabile saggio pubblicato nel 1960), a Luciano Berio (e tanto per restare nell’arcipelago della contemporaneità, anche a Camillo Togni, Bruno Maderna, Luigi Nono, Franco Donatoni, Sylvano Bussotti, Karl-Heinz Stockhausen, John Cage e Steve Reich, oltre a interviste ad Aldo Clementi, Mauricio Kagel e Goffredo Petrassi), al trittico della Seconda Scuola di Vienna (Schönberg, Berg e Webern), Benjamin Britten, Georges Bizet, Sergej Rachmaninov e Igor Stravinskij, ponendo un paletto iniziale, a livello cronologico, con una riflessione su Bach e i posteri che si confrontarono con il sommo Kantor. Ma è indubbio che lo zoccolo duro di questi interventi, saggi e articoli si pone a ridosso del Novecento e soprattutto su di esso, il vero campo d’elezione su cui si pone la lettura e l’ingrandimento critico e metodologico di Mario Bortolotto.

Interventi e riflessioni che vengono arricchiti sistematicamente da una visione culturale ed estetica interdisciplinare che se da una parte può rendere difficoltosa la lettura (ma non vi è mai conquista senza alcuna difficoltà), dall’altra le conferisce un fascino di acquisizione, per cui un saggio o un articolo su Weber e Ravel, tanto per fare due esempi, non si fissano mai esclusivamente sui protagonisti musicali in questione, ma debordano a livello centrifugo verso altre dimensioni che conglobano e arricchiscono i soggetti stessi, incastonandoli nel loro tempo, nella loro dimensione creativa e sempre in rapporto con altri artisti o intellettuali e con la società del loro tempo. Un coinvolgimento interdisciplinare che, come si è già accennato, appartiene a pochi, pochissimi eruditi la cui lettura non rimanda a un campo specifico, ma potendo spaziare lo sguardo oltre, proprio come fa il viandante che nel sentiero che intraprende non lo fissa solo sul suo cammino, ma lo fa guardandosi intorno e facendo in modo che ciò che vede possa essere poi trasmesso e comunicato. Perché come disse lo stesso Bortolotto in un’intervista che conclude questa meraviglioso libro, «Non si legge, o si ascolta musica, per istruirsi. Si legge, o si ascolta musica, per vivere».

Andrea Bedetti

 

Mario Bortolotto – Il viandante musicale

Adelphi, 2018, pagg. 520

 

Giudizio artistico 5/5