È più coinvolgente il concetto dell’inizio o della fine di una cosa, di un rapporto, di una storia? Personalmente, ho sempre considerato la seconda più affascinante della prima e tra le diverse motivazioni che fanno pendere l’ago della bilancia a favore della fine ne enumero soltanto una: l’inizio non sa che cosa sia il rimpianto, la fine invece lo sa e se ne nutre incessantemente. E il rimpianto può essere una potente arma anche quando si applica all’estrinsecazione estetica di una forma d’arte, come nel caso della musica. Entrando nello specifico, mi chiedo quanti altri momenti storico-artistici possano vantare lo stesso fascino, la stessa intensità di rimpianto, lo stesso struggente tramonto come nel caso della fine che riguarda il Romanticismo, avvenuto, per ciò che riguarda la sfera musicale, nella prima metà del Novecento.
Partendo da tale presupposto, risulta quindi evidente la scelta effettuata dal Duo cameristico Piancello, formato dal violoncellista Hristo Kouzmanov e dalla pianista Nadia Belneeva, che ha registrato per l’etichetta NovAntiqua il disco dal titolo Im Zimmer, con la Sonatina per violoncello e pianoforte di Zoltán Kodály, i Sieben frühe Lieder, nella trasposizione per violoncello e pianoforte, di Alban Berg e la Sonata per violoncello e pianoforte in do maggiore op. 119 di Sergej Prokof’ev, ossia tre opere cameristiche, ultimate rispettivamente nel 1922, nel 1908 e nel 1949, quindi in un lasso di tempo che si spalma su più di quattro decenni. Questo dato ci fa capire, tenuto conto che le tre composizioni in questione appartengono di diritto al variegato e sterminato arcipelago del tardoromanticismo, come il romanticismo stesso abbia dovuto affrontare un lungo periodo agonizzante, durante il quale il linguaggio musicale si è ramificato in innumerevoli rivoli, decretando di fatto, almeno a livello storico, la sua fine.
L’agonia è frutto di sospiri, di pallidi e nobili soprassalti, di reazioni stilistiche ed espressive che intendono ribellarsi alla morte di un mondo che si credeva immortale (l’opera di Sergej Rachmaninov è una valida ed emblematica testimonianza) e le tre pagine cameristiche qui presentate dal Duo Piancello rappresentano un esempio in grado di rendere l’idea del rimpianto, se non nei suoi intenti quantomeno nella parabola intimistica che intendono evidenziare. Ecco, allora, il titolo Im Zimmer, tratto dall’omonimo quinto dei Sieben frühe Lieder di Berg, proprio per delineare simbolicamente la ristrettezza di uno spazio come quello di una stanza, che se da una parte custodisce ciò che vi si trova, dall’altra con le sue pareti impedisce a ciò che si annida al di fuori di poter fare irruzione. Come a dire che il tramonto del Romanticismo musicale è all’insegna del “custodisci e preserva” di fronte alle ingerenze di più linguaggi arrembanti che non sapevano che farsene del bel Welt von gestern.
Tornando alle tre opere “intime” registrate dal Duo Piancello, la Sonatina per violoncello e pianoforte di Kodály fu originariamente concepita come movimento aggiuntivo per la Sonata a due tempi per violoncello e pianoforte op. 4 risalente al 1909. Tuttavia, il musicista magiaro scoprì che il suo stile era cambiato nel corso dell’ultimo decennio, rendendo del tutto inopportuna la sua inclusione nella precedente sonata. Opera squisitamente ungherese per ciò che riguarda i contorni melodici, la Sonatina si avvale di una struttura ampiamente simmetrica, con il materiale tematico che ritorna nella seconda parte del movimento.
I Sieben frühe Lieder (Sette Lieder giovanili) di Berg rappresentano una sorta di spartiacque tra la prima fase creativa, incentrata sulla copiosa produzione liederistica, e quella che segna la piena maturità dell’autore viennese, focalizzata quasi esclusivamente sul repertorio strumentale e teatrale. Berg pubblicò quest’opera giovanile, risalente agli anni di studio con Schönberg, soltanto nel 1928, presentando sia la versione originale per canto e pianoforte, sia una versione orchestrata proprio in quell’anno, mentre nella versione presentata dal Duo Piancello è il violoncello a prendere il posto della voce.
La versione per canto e pianoforte dei Sieben frühe Lieder, così come la sua trasposizione per violoncello e pianoforte, rende in modo esemplare non solo il concetto di “intimità”, ma anche lo sprigionarsi di sentori (e questo, all’interno della Seconda Scuola di Vienna, vale soprattutto per Alban Berg) in cui la dimensione dell’avvenire deve sempre necessariamente fare i conti con l’essenza del passato, come a dire che il processo del rimpianto scaturisce anche da un dilaniarsi tra ciò che dev’essere ineluttabilmente portato avanti in nome di una nuova temperie e ciò che al contrario resta punto inamovibile, senza il quale il nuovo non potrebbe sorgere e svilupparsi. E se la voce/violoncello nei Sieben frühe Lieder guarda ancora con nostalgia dietro di sé, la struttura dell’accompagnamento pianistico si proietta in avanti, con accordi e passaggi che già fanno prefigurare (nel 1928 tutto ciò sarà ovviamente ormai superato) l’avvento del nuovo (si ascoltino, a tale proposito, gli ultimi due Lieder del breve ciclo in questione, Liebesode e Sommertage). Da ciò si può ben comprendere come questi sette Lieder rappresentino, per dirla con il compianto Sergio Sablich, «una costellazione nella quale Berg esplora la storia del Lied romantico immettendovi elementi nuovi e nuove acquisizioni. Ognuno di questi Lieder sembra confrontarsi con l’eredità del passato, stabilendo la continuità ideale di una linea “viennese” che da Schubert, passando attraverso Brahms, Wolf e Mahler, giunge a sommare queste esperienze e ad annullarle nella sospensione del presente».
La Sonata per violoncello e pianoforte op. 119, la quale porta idealmente a conclusione il repertorio cameristico di Prokof’ev, nacque grazie alla feconda collaborazione tra il mostro sacro della musica sovietica dell’epoca e un giovane, brillante virtuoso del violoncello, Mstislav Rostropovič, destinato a diventare il più grande violoncellista del Novecento. La Sonata fu scritta espressamente proprio per il giovane interprete e fu eseguita in prima assoluta a Mosca da Prokof’ev al pianoforte, e ovviamente da Rostropovič, al quale si deve anche la supervisione della parte violoncellistica. Persa la propulsione iconoclastica del primo periodo, relegando all’ésprit ironico la verve della Sonata, il compositore sovietico confezionò una pagina che per via di un afflato indubbiamente melodico e tonale fu ampiamente criticata e stigmatizzata dalle avanguardie fresche di Darmstadt degli anni Cinquanta, al punto da essere addirittura definita «regressiva e disimpegnata».
D’altra parte, la sua semplicità di scrittura, la propensione ai valori melodici, oltre a una serena e ponderata discorsività intrisa perfino da nuances di lirismo non potevano non irritare i sacerdoti della Neue Musik, profondamente scandalizzati dalla cantabilità espressa dal violoncello, soprattutto nel corso dei momenti lenti o moderati o, all’opposto, dal carattere eminentemente virtuosistico del finale, espressamente richiesto da Rostropovič, che è saturo di difficoltà tecniche, memori di un certo romanticismo incline al saggio di bravura.
Queste tre pagine sono state interpretate dal Duo Piancello con estrema duttilità; se la Sonatina di Kodály e la Sonata di Prokof’ev vedono il violoncello di Hristo Kouzmanov esprimere la dovuta eloquenza, con una raffinata nota melanconica nella prima e quel debito velo ironico nella seconda, nei Sieben frühe Lieder di Berg il violoncellista non cede alla tentazione di rendere più “moderno” l’afflato melodico, semmai connotando il fraseggio di una patina di “oggettività” tale da restituire l’osmosi passato/presente che caratterizza l’opera. Da parte sua, Nadia Belneeva è capace di proporre un pianismo sempre perfettamente bilanciato nella scelta timbrica e nell’espressività; così in Berg l’esplorazione di nuove strutture viene ottimamente miscelato con l’inevitabile presenza di un fraseggio che non scade mai giustamente in aperto lirismo, così come nelle pagine di Kodály e Prokof’ev la filigrana del suono è restituita con intimismo, partecipazione e nostalgica passione.
La presa del suono, curata da Karel Valter, è più che buona; questo grazie a una dinamica corposa, piena, in grado di riprodurre la velocità e l’energia dei due strumenti, inoltre, il palcoscenico sonoro propone nello spazio il violoncello e il pianoforte in maniera corretta, con il primo più avanzato rispetto al secondo. Infine, equilibrio tonale e dettaglio sono all’altezza, sfoderando una correttezza timbrica e una matericità ottimali.
Andrea Bedetti
AA.VV. – Im Zimmer
Duo Piancello
CD NovAntiqua NA42
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5