Un teatro giustamente gremito quello che ha caratterizzato il quarto appuntamento della stagione sinfonica 2019/20 della Fondazione Teatro La Fenice di Venezia con gli appuntamenti del 5 e del 6 dicembre dedicati a uno dei pilastri della letteratura sinfonica, la Sinfonia n. 9 in re maggiore di Gustav Mahler, affrontata dalla bacchetta del direttore coreano Myung-Whun Chung. Opera che rientra nella cosiddetta “trilogia della morte” di Mahler (le altre, come si sa, sono la Sinfonia di Lieder Das Lied von der Erde e l’incompiuta Decima sinfonia) e che conduce l’ascoltatore a intraprendere un sentiero dove la contemplazione della natura, la sua piena, totale accettazione viene bruscamente cancellata dall’irruzione dell’idea della morte che accompagna ineluttabilmente l’ultima parte dell’attività artistica del grande compositore boemo.

La Nona diretta da Myung-Whun Chung ha preso avvio con un primo movimento contrassegnato da temi disgregati, quasi affaticati (il sommo Jascha Horenstein affermava che quest’opera dev’essere espressa con un suono orchestrale “malato”), dapprima con i violoncelli e i corni, poi con l’arpa e poi ancora con i corni. Eccezionale l’orchestrazione del maestro coreano nel richiamo mahleriano dei principi di doppia variazione e della forma sonata nell’Andante comodo, ottima anche nella coesione tra le due sezioni di timpani (da cui ne deriva anche una difficile gestione dell’organico) con il resto degli orchestrali, senza mai essere sovrastanti; ruolo complesso e ricoperto indubbiamente da eccellenti esecutori. Difficile la coesione, invece, dei fiati nel principio delle parti più rapide, prontamente recuperato poche battute in seguito.

Il direttore coreano Myung-Whun Chung sul podio durante l’esecuzione della Sinfonia n. 9 di Mahler (Photo Michele Crosera).

Il secondo movimento ha avuto inizio con un’irregolarità a salto, particolarmente difficile da leggere per le viole, mentre i violoncelli e i contrabbassi hanno sempre imbastito una linea melodica bel delineata e mai eccessiva, seguita da un gioco tra i fiati perfettamente riuscito che ha portato a un finale delicato e pulito.

È seguito il Rondo-Burleske, terzo tempo, su un piano più aggressivo del tema umoristico del secondo tema, ma sempre delineato e tratteggiato compiutamente dalla stabilità dei violoncelli e dei contrabbassi e da un’eccellente coesione e comunicazione tra tutti i membri dell’immenso organico. Chung è apparso deciso e ben chiaro con gli orchestrali, trasmettendo in maniera più che pulita la sua linea di lettura.

È stata poi la volta, in maniera altrettanto decisa e pulita, dell’esecuzione dell’Adagio, il quarto tempo, nuovamente segnato del contrasto tra i due movimenti, con il finale che si articola in maniera particolarmente statica, introdotto da un eccellente solo di fagotto nella presentazione del tema principale. Magistrale il culmine del movimento, anche se non costitutivo del finale, in cui il maestro coreano ha saputo unire l’intero organico in un magico crescendo perfettamente bilanciato. È seguito il vero finale, l’Adagio, terminante in suoni isolati in un diminuendo che va a svanire nel nulla, perfettamente calibrato da Myung-Whun Chung con gesti misurati, ma densi fino allo spasimo.

Inevitabili i meritatissimi applausi per un concerto che ha tenuto con il fiato sospeso il pubblico presente, coinvolto da una lettura che non ha lasciato scampo alla superficialità e al pressapochismo. D’altronde, con Myung-Whun Chung sul podio si va sempre sul sicuro.

Marco Pegoraro

 

Orchestra del Teatro La Fenice – Teatro La Fenice di Venezia

Gustav Mahler – Sinfonia n. 9 in re maggiore

Myung-Whun Chung (direzione)

5 & 6 dicembre 2019

 

Giudizio artistico 4/5