L’arte si è sempre confrontata con quel Leviatano che si chiama guerra, ma quando nel 1914 l’uomo fu costretto ad affrontare quello che è stato definito giustamente il primo conflitto moderno, votato allo sterminio indiscriminato, si rese improvvisamente conto che si stava affacciando sul limite di un nuovo abisso dal quale non solo sarebbe stato difficile risalire, ma che lo avrebbe avviluppato, anche se non poteva ancora immaginarlo, in un secondo conflitto che da lì a venticinque anni sarebbe stato ancor più annichilente annientante. Anche la musica del tempo, quindi, fu costretta a fare i conti con l’irruzione delle nuove micidiali armi, le mine, i carrarmati, la morte proveniente dai cieli con gli aerei, il gas e i massacri perpetrati in cinque anni vissuti tra le trincee.

Quest’anno, per l’appunto ricorre il primo centenario della fine di quel conflitto e tra le tante ricorrenze e iniziative c’è quella, in chiave musicale, voluta da un’etichetta discografica francese, l’Éditions Hortus, che ha voluto addirittura dare vita a una collana, “Les musiciens et la Grande Guerre”, che annovera finora più di venticinque titoli di opere create da musicisti europei nel corso di quel primo conflitto, dando voce al loro sbigottimento, al loro sdegno, al loro dolore attraverso lavori che non rappresentano solo un modo di reagire di fronte alla guerra con la sensibilità dell’arte e con il mondo dei suoni, ma che sono soprattutto una testimonianza di come la musica, anche attraverso la reazione provocata dalla morte e dalla distruzione di massa, mutò necessariamente il proprio linguaggio, la propria forma di espressione, lasciandosi per sempre alle spalle le speranze e le istanze del Romanticismo per aderire a nuovi percorsi, a nuovi linguaggi, a un diverso sentire la rappresentazione del suono e della materia musicale. Il disco in questione è il ventiseiesimo titolo di questa interessante collana che, al di là di un valore squisitamente storico, vuole anche essere uno strumento di come la musica colta occidentale dei primi anni del Novecento perse, progressivamente o di colpo, quegli stilemi, quei meccanismi di rappresentazione artistica che portarono alla modernità anche attraverso l’irruzione di un conflitto, il quale trasformò in appena cinque anni quel presente nel sospirato e vagheggiato nostalgicamente “mondo di ieri”.

La presente registrazione presenta, se vogliamo intenderla secondo gli schieramenti dati da quel conflitto, tre sonate per violino e pianoforte e un breve componimento, sempre per lo stesso organico, di altrettanti autori “alleati”, ossia il francese Philippe Gaubert (1879-1941), l’americano Blair Fairchild (1877-1933), l’inglese Edward Elgar (1857-1934) e il conterraneo Benjamin Dale (1885-1943), tutte opere accomunate da una progressiva, chi più chi meno, dispersione dell’afflato romantico a fronte di un’insinuante e strisciante presenza di elementi alteranti, in cui le dissonanze, fuggevoli crepe tonali, vellutati squarci di tenebre rendono inevitabilmente instabile l’equilibrio tra il violino e il pianoforte. Se ciò non si evidenzia in modo particolare nella Sonata in quattro tempi di Gaubert, composta nel 1915, ancora inchiodata ai precetti per così dire rassicuranti di un Romanticismo che è ancora foriero di una struggente bellezza (anche se nell’ultimo tempo, l’Allegro ma non troppo, la limpidezza timbrica e la rasserenata solarità evidenziate nei tre movimenti precedenti lasciano spazio a sottili irrequietezze), paradossalmente è più presente nella Sonata per violino op. 43 di Fairchild (scritta intorno al 1919) il quale, proveniente da una facoltosa famiglia di Boston, alternò la carriera di diplomatico a quella di musicista in Francia, dove si nutrì delle opere di Debussy e Ravel, ereditando quelle instabilità armoniche e melodiche che sono presenti nella bellissima e sorprendente sonata in questione, in cui si avvertono tensioni lancinanti, sguardi colmi di timore e di paura, sentori che qualcosa sta finendo e non tornerà mai più.

Elgar, invece, nella sua Sonata per violino, datata 1918, osserva la fine di un’epoca nella quale è cresciuto e ha creduto con sguardo distaccato ma non immune da una sconfinata nostalgia (si ascolti l’Allegro iniziale), concedendo al pianoforte un ritaglio di presenza timbrica e di intervento che è quanto mai pervasivo, nel senso che i mutamenti stilistici, i cambiamenti di rotta vengono proprio da questo strumento, che sembra indicare al violino nuove vie, nuovi sentieri da intraprendere e percorrere (Allegro, ma non troppo). Da ultimo, la brevissima pagina di Benjamin Dale, il quale la guerra la visse sulla propria pelle, visto che nel 1914, allo scoppio del conflitto, mentre era in viaggio verso Bayreuth, fu fermato e rinchiuso come nemico in un campo di prigionia. Lì, si attivò, organizzando la vita musicale del campo e creando, tra l’altro, questa brevissima pagina, Prunella, un Andante grazioso che, nella sua visione ottimistica, intende mettere da parte ogni possibile ostacolo, regalando un motto di speranza, una soave piantina cameristica dalle tenui ma resistenti radici.

La bellezza e la profondità programmatica di queste composizioni vengono ulteriormente esaltate dalla brillante esecuzione dei due giovani interpreti, il violinista francese Ambroise Aubrun e il pianista belga Steven Vanhauwaert. Se il primo riesce a cogliere con il suo strumento la temperie, le ombre e le luci espresse da queste pagine, restituendo una tensione, una drammaticità, così come rivoli di speranza e di luce rasserenante con un piglio esecutivo davvero rimarchevole, facendo intendere di essere entrato perfettamente nell’ideale dimensione interpretativa, il secondo è un appassionato e presente interlocutore,  artefice di un pianismo che sa ergersi, dialogando e confrontandosi apertamente, senza essere succube dell’altro, manifestando padronanza e un senso “teatrale” dello strumento.

Pienamente convincente anche la presa del suono, con il violino leggermente e correttamente avanzato rispetto al pianoforte (la dinamica, in fatto di naturalezza e di velocità, è più che accettabile) e con un dettaglio e un equilibrio tonale che non mostrano la minima pecca in fatto di ricostruzione del timbro e della matericità.

Andrea Bedetti

 

AA.VV. – Romance de guerre

Ambroise Aubrun (violino) – Steven Vanhauwaert (pianoforte)

CD Éditions Hortus 726

Giudizio artistico 4/5

Giudizio tecnico 5/5