Del duo cameristico Mass & You abbiamo già avuto modo di parlare sulle pagine di questa rivista, [La maturità cameristica di Schumann e Brahms] in occasione della loro registrazione della Sonata n. 2 in re minore op. 121 per violino e pianoforte di Schumann e della Sonata in fa minore op. 121 per clarinetto e pianoforte, entrambe proposte nella versione per viola e pianoforte. Ora, i due interpreti, il tedesco Burkhard Maiss al violino e alla viola e la sudcoreana Ji-Yeoun You al pianoforte, proseguono idealmente il percorso di quella registrazione con una nuova incisione, sempre per l’etichetta discografica tedesca TYXart, presentando due lavori cameristici del Novecento, la Sonata per violino e pianoforte n. 2 Se 76 di Béla Bartók e la Sonata per violino e pianoforte n. 3 di Leóš Janáček, unitamente con la Sonata per viola e pianoforte op. 156 del compositore contemporaneo tedesco Roland Leistner-Mayer.
In effetti, la scelta fatta dal duo in questione pone le basi per un ascolto che partendo dal loro primo CD schumanniano e brahmsiano prosegue dando voce a due capolavori della musica da camera del Ventesimo secolo raffrontati con un’opera di uno dei più interessanti compositori attuali, la cui visione musicale prende spunto soprattutto dalla lezione dello stesso Béla Bartók e di Paul Hindemith, fissandosi in una storicità attraverso la quale esplorare una tonalità spinta agli estremi. Una scelta, la loro, che vanta un indubbio denominatore comune, sceverato dall’arte dei suoni del secolo scorso, quello che mette in evidenza il concetto dell’estraneità, della languente alienità dell’uomo, del suo distacco progressivo di fronte a una realtà oggettiva sempre più inconciliabile, anche se a tale distacco esistenziale e culturale, in sede musicale, non vi è la presenza di un altrettanto distacco netto e risoluto del linguaggio.
Come avviene appunto con la Sonata bartókiana, composta nel 1922, nella quale confluisce ogni possibilità tecnica ed espressiva del violino, meno legata ai canoni tradizionali dell’epoca, nella quale trova immancabilmente spazio la matrice folclorica della terra magiara. Questo, però, non impedisce al connotato melodico, così come al ritmo e alla metrica, di assurgere a una dimensione maggiormente astratta, debitrice di quel particolare momento “espressionista”, com’è stato fatto giustamente notare, rappresentato nella produzione del compositore ungherese dalla pantomima in un atto Il mandarino miracoloso, scritta tra il 1918 e il 1919. Inoltre, come avviene anche nella prima delle due Sonate violinistiche, latita, al punto di poter affermare che viene a mancare decisamente, un mutuo dialogo fra i due strumenti, un preciso e organico rapporto dialettico, con il risultato che soprattutto il violino è fautore di una pronunciata tensione espressiva, che lo distanzia dal pianoforte, estraniandolo dal tessuto connettivo. Tale principio estraniante viene acuito dall’impianto formale della composizione, suddivisa in due soli tempi, con il primo (Molto moderato) che vanta un tono squisitamente riflessivo, una sorta di propileo speculativo al successivo Allegretto, imbastito sulla tipica pulsazione ritmica bartókiana.
La Sonata per violino e pianoforte di Janáček, la terza da lui composta, ma la cui numerazione è del tutto superflua in quanto l’unica ad essere stata pubblicata, è il frutto di una maturazione stilistica e di un tormentato percorso creativo, in quanto ne esistono quantomeno due differenti versioni, con la prima, iniziata nel 1913 e terminata nel maggio dell’anno successivo, che prevedeva attorno al nucleo originario della Ballada, in origine concepita come lavoro del tutto autonomo e poi collocata nella Sonata al terzo posto, un Con moto iniziale, un Adagio e una Marcia finale. Ma in seguito Janáček, anche per via di quel procedere parallelo a una visione “espressionista”, della quale si è già accennato, sperimentata tra il 1915 e il 1919, decise di rivedere completamente il tempo iniziale, spostando di conseguenza la Ballada al secondo posto ed eliminando la Marcia finale, dapprima sostituendola con un altro Finale, poi rimpiazzandola definitivamente con l’Adagio e componendo il terzo tempo, vale a dire un Allegretto, ultimando l’opera nel 1921.
Rispetto a quel concetto di estraneità dell’uomo contemporaneo, la Sonata bartókiana è a dir poco emblematica, in quanto rappresenta una di quelle opere musicali create sulla base dello choc emotivo ed esistenziale causato dalla Prima guerra mondiale nella coscienza e nella sensibilità artistica (paradigmatico, in tal senso, è l’Adagio finale, in cui si concentrano vari stati d’animo, oscillanti tra un sentore di icastico furore e introversione, ansia dilaniante e vana speranza). Ma è tutto il tessuto dell’opera ad essere febbrilmente attraversato da un’implacabile nervosità, da patologici sbalzi umorali, elementi dissociativi e disgreganti che la struttura armonica mette in perenne evidenza.
La decisione di inserire tra queste due Sonate per violino la Sonata per viola e pianoforte di Roland Leistner-Mayer è all’insegna quindi di una precisa continuità, tenuto conto che il compositore di Graslitz (l’attuale Kraslice in Boemia), oltre ad essersi formato sul linguaggio bartókiano, ha in seguito mutuato comportamenti stilistici che si richiamano indubbiamente alla visione compositiva di Janáček. La sua Sonata, composta nel 2018 e suddivisa in quattro tempi, è una debita conferma di tali peculiarità (parlando della sua musica, il compositore tedesco la definisce «free-tonal», vale a dire dotata di una costruzione tonale in cui gli elementi dissonantici, dei quali sono ricchi i tempi veloci, lasciano invece spazio a un eloquio altamente espressivo in quelli lenti), in cui la lezione bartókiana/janáčekiana trova un interessante compendio negli stilemi e nelle proiezioni armonici, semmai con una maggiore complicità nel dialogo che si viene a imbastire tra i due strumenti, capaci di creare anche linee apertamente melodiche, recuperando in questo modo perfino una tonalità più convenzionale, ma mai banale (la musica di Roland Leistner-Mayer è debitrice dell’apporto letterario, soprattutto delle tematiche elaborate da autori quali Dostoevskij, Tolstoj e Proust, e di quello pittorico, e questo vale soprattutto per i tempi lenti, attraverso artisti come William Turner e Caspar David Friedrich).
Come nel caso della registrazione del disco dedicato a Schumann e a Brahms, Burkhard Maiss e Ji-Yeoun You sono risultati essere oltremodo convincenti; l’artista tedesco riesce a trasmutare la viola e il violino (quest’ultimo è un prezioso Lorenzo Storioni di Cremona del 1796) in due potenti sismografi con i quali tracciare la temperie lancinante e rarefatta delle tre composizioni in oggetto grazie a una lettura tersa, precisa, accorata, densa di significati, di immagini, di tensioni emotive capaci di avvinghiare e coinvolgere. Da parte sua, la pianista sudcoreana dipana una linea esecutiva che permette di rendere il suo strumento elemento autonomo e allo stesso tempo sotteso a un tentativo di dialogo con la viola e il violino, enunciando un timbro che trasmette invariabilmente quell’estraniamento esistenziale, quel distacco dissociante che caratterizza i brani presi in esame.
Anche la presa del suono, come da tradizione dell’etichetta discografica di Nittendorf, effettuata da Andreas Ziegler, è di ottima fattura, in cui predomina l’equilibrio tonale che vanta un ideale rispetto dei registri degli strumenti; la dinamica è corposa, nitida, adeguatamente veloce, mentre il palcoscenico sonoro restituisce la concretezza spaziale dei due interpreti, correttamente posizionati. Da ultimo, anche il dettaglio si contraddistingue per matericità.
Andrea Bedetti
Béla Bartók-Roland Leistner-Mayer-Leóš Janáček – Sonate für Violine und Klavier Nr. 2 Sz 76 – Sonate für Viola und Klavier op. 156 – Sonate für Violine und Klavier
Burkhard Maiss (violino & viola) - Ji-Yeoun You (pianoforte)
CD TYXart TXA 19130
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4,5/5