I Trii per pianoforte, violino e violoncello Op. 1 di Beethoven, composti nel 1794-95, furono con le Sonate Op. 2 per pianoforte, il biglietto da visita di un giovane musicista di fronte al mondo musicale viennese che lo stava attendendo con non poco interesse e curiosità, un pubblico costituito da musicisti, intenditori e nobili dilettanti, oltre che da appassionati, come avvenne in occasione della loro prima esecuzione in casa del principe Karl von Lichnowsky, benefattore e amico del musicista (e al quale furono dedicati). A quella serata era stata invitata la maggior parte degli artisti e degli appassionati di musica, primo fra tutti Haydn il cui giudizio era atteso con ansia. I trii vennero eseguiti e suscitarono subito uno straordinario effetto. Anche Haydn espresse parole incoraggianti, ma consigliò a Beethoven di non pubblicare il terzo, provocando lo stupore dello stesso musicista di Bonn che lo riteneva invece il migliore.

Ad un attento ascolto del primo dei tre Trii, quello in mi bemolle maggiore, si può avvertire come Beethoven riesca a imprimere una vivace ricchezza di dialogo al circoscritto quadro del trio settecentesco con pianoforte, così da aprire nuovi orizzonti a questa forma cameristica, in preparazione di traguardi ben più ambiti, ossia quelli per dominare lo stile del quartetto d’archi, ritenuto sin d’allora la base primaria di tutta la musica strumentale, il genere perfetto per eccellenza. In questo senso è significativo il modo in cui si sviluppano i vari movimenti, a cominciare dall’Allegro iniziale, vivace e brillante, ma anche elaborato nel passaggio da un tema all’altro e da una modulazione all’altra. Nell’Adagio cantabile si dispiega quell’intensità lirica e quell’interiorità espressiva che appartengono già alla sigla stilistica del grande Beethoven. Lo Scherzo, a volte indicato in qualche partitura come Menuetto quasi allegro assai, e il Finale mostrano un compositore già maturo in fatto di invenzione tematica e di espressione ritmica.

Il secondo Trio, in sol maggiore, si apre con un’introduzione lenta e pensosa, secondo un modo di comporre preferito sin d’allora da Beethoven, quasi a dare maggiore espressione e risalto al successivo Allegro, contrassegnato da un’elegante spigliatezza nel dialogo tra pianoforte e violino in un saldo contesto tematico, al quale partecipa con misurato equilibrio la voce del violoncello. Di notevole efficacia, per il suo romanticismo premonitore, è il Largo del secondo tempo, considerato per via della sua linea di canto di purissima lega melodica, una tra le più felici invenzioni del primo Beethoven. Il gioco armonico si snoda con straordinaria misura di accenti, senza mai venir meno all’essenzialità dell’espressione. L’ultimo movimento è sostanziato di piacevoli umori mozartiani, ma nasconde tra le pieghe un preciso e determinato razionalismo tutto beethoveniano.

Non stupisce del terzo Trio, in do minore, a proposito del quale si è già visto il giudizio di Haydn, come fosse quello preferito dall’autore; esso appare infatti come il più maturo e personale della raccolta. Già la scelta della tonalità di do minore può essere messa in correlazione con un contenuto drammatico, che si impone soprattutto nei tempi estremi. Nell’Allegro con brio iniziale l’elemento principale, dopo l’interrogativa frase iniziale, esposta all’unisono, è rappresentato da una cellula tematica discendente, breve e incalzante, che permea l’intero movimento; il secondo tema, un’ampia scala discendente esposta dal pianoforte, trova il suo carattere più esatto, coerente con l’impostazione dell’intero movimento, non nella prima serena apparizione, ma nella sezione della ripresa. Nell’insieme, il movimento presenta continui rivolgimenti espressivi, rispondenti a una logica di studiati contrasti. Al contrario, contrasto solo apparente è quello del secondo movimento, un tema cantabile con variazioni; le variazioni infatti si dipanano senza nulla concedere al gusto decorativo e allontanandosi perlopiù dal carattere sereno del tema. Segue un Minuetto che ha quasi il carattere di Scherzo e presenta un Trio di impostazione brillante. Con il Finale torniamo all’ambientazione iniziale; i tre strumenti si impegnano in una sorta di moto perpetuo che vede l’opposizione fra l’aggressivo ritmo iniziale e la melodia cantabile del secondo tema; il movimento segue la stessa logica di contrasti dell’Allegro con brio e trova il suo momento più sorprendente e innovativo nella coda, una lunga sezione sussurrata, che si spegne in pianissimo e nel modo maggiore, con “fruscianti” scale ascendenti del pianoforte.

Beethoven con queste opere, mirò a stupire fin da subito, così come stupisce, in senso decisamente positivo l’artefice di questa registrazione, il Trio Goya, che ci offre in una brillante e pulita interpretazione la fortepianista Maggie Cole capace di dipanare una sapiente lettura, sicura e ricca di espressività, così come è bello ascoltare il violino di Kati Debretzeni, la cui raffinata grazia del modo di suonare combacia con l’elegante tocco del violoncello di Sebastian Comberti, facendo sì che ogni movimento sia meticolosamente modellato. Il risultato ottenuto evidenzia un primo trio pieno di vita, specialmente nel finale Presto e con l’Adagio cantabile, dove a primeggiare è il tocco di Maggie Cole che ha del miracoloso. Il Trio in sol maggiore è probabilmente il meno conosciuto dei tre, eppure l’opera respira serenità, raggiungendo il suo apice nel movimento lento e qui il Trio Goya riesce a catturare il cuore. Le fasi finali del Trio in do minore sono eseguite superbamente, il suono gradualmente si addolcisce in lontananza, senza dimenticare l’esplosività timbrica espressa negli ultimi due movimenti, al punto che la lettura fatta dal Trio Goya rappresenti una delle migliori esecuzioni in assoluto e non solo tra quelle che appartengono alla sfera filologica.

Decisamente ottimo il lavoro di Ralph Couzens per ciò che riguarda la presa del suono, contrassegnata da una dinamica corposa, energica, veloce, ma anche naturale e con un palcoscenico sonoro che ricostruisce spazialmente l’evento sonoro in maniera corretta, con i tre strumenti scolpiti tra i diffusori, con il fortepiano posto leggermente dietro tra i due strumenti ad arco. L’equilibrio tonale è superbo (nessun strumento primeggia sugli altri, sia nel registro grave sia in quello acuto) e il dettaglio restituisce la piena matericità fisica dei tre strumenti.

Claudio Rigon

 

Ludwig van Beethoven – Three Piano Trios Op.1

Trio Goya

2CD Chaconne CHAN 0822

Giudizio artistico 5/5

Giudizio tecnico 5/5