Il flauto è uno strumento capace di creare un mondo musicale a parte. E questo è stato principalmente il Novecento a insegnarcelo, al punto che non risulterà miscredente l’affermazione che è stata proprio l’irruzione dello scorso secolo a mettere finalmente a fuoco la costituzione “semantica” di questo strumento a fiato, capace come pochissimi altri di manifestare un’impronta espressiva/esplorativa. E se il Novecento musicale è stato il secolo per eccellenza in cui la matrice espressiva e quella esplorativa hanno proseguito parallelamente, questo procedere congiunto è dimostrato proprio dall’apporto insostituibile e fondamentale del flauto, il quale è in grado di percorrere perfettamente lungo la linea di demarcazione tra suono e silenzio, con quest’ultimo che non è da intendersi come semplice cesura o spazio di attesa, ma come suono “altro”.
Ecco, se teniamo conto di questi presupposti, allora il disco in questione è a dir poco idiomatico nella sua essenzialità esemplificativa, poiché Luisa Sello, una delle voci flautistiche più importanti nell’attuale panorama internazionale, ha saputo confezionare una registrazione, principalmente dedicata a brani per solo flauto, che ri-percorre idealmente il plasmarsi e il posizionarsi storicamente di questo strumento nel corso del Ventesimo secolo rappresentato attraverso quindici autori e diciannove brani, una sorta di vademecum per comprendere il flauto e il suo percorso in un lasso di tempo che parte staccando la crosta del tardoromanticismo fino al momento in cui si depone un mazzo di fiori sulla tomba che raccoglie i resti della Scuola di Darmstadt (e se proprio devo fare un appunto, che ha il sapore del pelo intinto nell’uovo, dispiace non trovare nemmeno un brano di Sciarrino che nel presente è colui che più di ogni altro ha saputo sondare la dimensione sonora e metasonora del flauto).
Sarebbe puramente sterile e pleonastico fare l’elenco degli autori e dei relativi brani, ma basterà indicare, tra gli altri, la presenza di un musicista come il thailandese Narong Prangcharoen che con il pezzo Lom permette all’ascoltatore di capire come voce e soffio possono interagire con questo strumento, di Paul Hindemith con i preziosi Acht Stücke, dell’onnipresente Debussy con l’altrettanto onnipresente Syrinx (ma che qui ha il compito di fare da termine di paragone per un ipotetico start novecentesco), di Aldo Clementi con la sua “spettrale” Canzonetta per flauto in sol e base e di Marino Baratello con i particolarissimi Songs da “VoodooChild” di Jimi Hendrix per flauto in sol e flauto di loto, che salvano la faccia alle tanto conclamate e “politicamente corrette” contaminazioni che oggidì vanno tanto di moda. E poi la stessa Luisa Sello, autrice di Echi della Mongolia per flauto e base, in cui il suono del flauto si stempera in richiami che annunciano spazi sterminati e colori senza tempo.
Che dire dell’interpretazione della stessa flautista friulana? Che il suono che riesce a ottenere dal suo strumento è la quintessenza del soffio vitale che anima la presa di coscienza del flauto nel Novecento, l’esempio palpabile di come si devono eseguire i brani presi in considerazione, la spinta “decisionistica” per alzare il livello di fascino di musiche che rappresentano momenti precisi del progredire temporale di un viaggio del quale Luisa Sello è l’ideale traghettatrice sonora.
Anche le varie prese del suono, effettuate in tempi diversi e in differenti location, sono più che buone e capaci di restituire dinamicamente e spazialmente il suono dello strumento e degli altri presenti in questo CD.
Andrea Bedetti
AA.VV. – Solo ma non solo
Luisa Sello (flauto) e altri
CD Falaut Collection FC1074
Giudizio artistico: 5/5
Giudizio tecnico: 3/5