Il jazzista Roberto Beggio continua il suo racconto dedicato a questo genere musicale, ricordando la leggendaria figura del grande cornettista, morto giovanissimo, e una band odierna che lo ripropone con un’originale inventiva
Naturalmente, New Orleans non fu l’unica città dove si suonasse il dixieland, che nel frattempo aveva cambiato pelle arricchendosi di una qualità tecnica a dir poco invidiabile, visto che in altri centri e città statunitensi si cominciò a suonare e a diffondere questo nuovo genere musicale. Così, a esibirsi non furono più gli inesperti “strimpellatori” della prima ora, ma artisti e interpreti che avevano studiato e imparato molto dai loro predecessori, come il trombettista Bix Beiderbecke, nato a Davenport (nello Stato dell’Iowa) nel marzo del 1903. Leon Bix Beiderbacke, questo il suo vero nome, imparò a suonare prima il pianoforte con studi regolari e in seguito la cornetta, ma da autodidatta.
Fin da bambino, Bix prese ad ascoltare i musicisti che suonavano sui battelli, sia bianchi sia neri, quando si esibivano sui ponti dei riverboats, seguendoli mentre risalivano lungo il fiume Mississippi. Ben presto il giovane Bix fu affascinato dall’Original Dixieland Jazz Band, quella di Nick La Rocca, e fu proprio dal musicista italo-americano che prese spunto per improvvisare in modo raffinato ed elegante. Nel 1921, Beiderbecke, sebben non fosse portato per lo studio, si iscrisse a un college, quello di Lake Forest Academy, nei pressi di Chicago. Bix, infatti, aveva un carattere fragile, irrequieto, e alla scuola preferiva solo lo sport e la musica. Quest’ultima divenne sempre più importante nella sua vita, al punto che Bix decise di lasciare la scuola per iniziare una brillante, e purtroppo breve, carriera da cornettista e pianista. Inizialmente, l’artista di Davenport non sapeva leggere la musica e per questo motivo veniva sempre cacciato dalle orchestre. Ma fu proprio in una di queste occasioni che conobbe il suo mentore, il sassofonista Frank Trumbauer, con il quale imparò i rudimenti del solfeggio.
Anche grazie a questi insegnamenti, Bix Beiderbacke riuscì a incidere diversi dischi con The Wolverine Orchestra, scrivendo per questa band dei temi fantastici come The Jazz Me Blues. Ma non dobbiamo dimenticare che questo grande artista fu anche un valente pianista e che scrisse in tale veste uno dei più bei temi per pianoforte della storia del jazz, In a Misty, un brano nel quale si avverte distintamente l’influsso classico dato dalla madre, un’insegnante di pianoforte di origini tedesche.
Bix Beiderbecke divenne un’icona del jazz nascente e la sua scomparsa precoce (morì nell’agosto del 1931, a soli ventotto anni, distrutto dall’alcol) contribuì a renderlo ancora più famoso e leggendario agli occhi dei giovani trombettisti che presero a venerarlo. La sua leggenda non è mai venuta meno e il regista Pupi Avati, grande appassionato del jazz, soprattutto quello delle origini, ha voluto ricordare Bix Beiderbecke in un film uscito nel 1991, intitolato Bix – Un’ipotesi leggendaria, in cui ha rievocato la sua vita. Per farlo, il regista bolognese decise addirittura, con il fratello Antonio, di acquistare la casa di Davenport dove Beiderbecke nacque e che versava in uno stato di abbandono, restaurandola e utilizzandola per girare alcune scene della pellicola.
Tra coloro che idealmente, a distanza di tanto tempo, hanno raccolto l’eredità musicale di Bix Beiderbecke vi è una band di jazz tradizionale, nata nel 2009 proprio a New Orleans, i Tuba Skinny, che ripropongono il tipico swing dell’Old Style, che include voce, cornetta, trombone, clarinetto, banjo tenore, chitarra, basso tuba e washboard. Il loro genere è per l’appunto ispirato al jazz tradizionale degli anni Venti e Trenta, alla musica che si suonava in quell’epoca a New Orleans e a Chicago (il nome della band deriva da quello di un famoso musicista, “Tuba Fats”, al secolo Anthony Lacen, uno dei membri fondatori della Dirty Dozen Brass Band, un gruppo di ottoni fondato sempre a New Orleans nel 1977.
Nella New Orleans dei nostri giorni, tra i musicisti, un giovane suonatore di sousaphone (ossia la tuba), Todd Burdick, soprannominato “Skinny” per via della sua esile corporatura, assieme alla cornettista Shaye Cohn e alla cantante Erika Lewis, ha deciso di formare questa band chiamata per l’appunto Tuba Skinny per ricordare il grande Anthony Lacen. La peculiarità di questo gruppo sta nella scrupolosa preparazione dei brani, molto ben strutturati e coordinati dalla leader del gruppo, la cornettista Shaye Cohn.
Naturalmente molto spazio viene dato all’improvvisazione, tenendo presente la struttura stessa dei brani, che non dev’essere lunga e complessa. Questo perché lo stile e il fraseggio degli strumenti a fiato devono essere molto semplici, simili a quelli del jazz tradizionale di New Orleans degli anni Venti e Trenta. I Tuba Skinny vantano un vasto repertorio che comprende più di 350 brani, prevalentemente suonati a memoria.
Nel corso di un decennio diversi musicisti si sono alternati all’interno della band, mentre alla cornetta è sempre rimasta Shaye Cohn, con Erika Lewis alla voce, Barnabus Jones al trombone, Todd Burdick al basso tuba e Robin Rapuzzi, di chiare origini italo-americane, al washboard. Per quanto riguarda Shaye Cohn bisogna dire che è figlia d’arte, visto che il nonno è stato il famoso sassofonista Al Cohn, senza dimenticare che Shaye è anche una validissima polistrumentista, poiché oltre alla cornetta, suona anche il violino, il pianoforte e il trombone. La cantante Erika Lewis ha un timbro di voce molto particolare, in quanto non vanta un timbro melodioso, ma sa interpretare i brani della band nello spirito dei cantanti dell’epoca, ossia con sentimento e partecipazione, mentre il trombonista Barnabus Jones crea dei contrappunti molto semplici, delicati, ma incisivi (anche lui è un polistrumentista, in quanto suona la tromba e il banjo e canta).
Da parte sua, Robin Rapuzzi è un autentico virtuoso del washboard, capace di destreggiarsi con padronanza su questo particolare strumento a percussione, che ha la forma di un’asse da lavare, usando dei particolari ditali con i quali sfrega l’asse, in modo da fornire la giusta sonorità per la band, che ha bisogno di un sostegno molto ritmico. Infine, Todd Burdick è il basso tubista sempre presente, costantemente sul tempo, dando vita al “basso continuo” assieme al banjo e alla chitarra.
Roberto Beggio
(2. Fine)