Se nel corso del tempo la storia dell’arte e della cultura occidentali ha fatto sì che l’opera musicale di Wolfgang Amadeus Mozart diventasse una delle sue colonne portanti lo dobbiamo a un ristretto numero di musicisti e appassionati che fecero in modo, nei primissimi decenni che seguirono alla morte del divino salisburghese, che il suo nome e i suoi capolavori non fossero dimenticati come le sue spoglie, gettate in una fossa comune e di cui si sono irrimediabilmente perse le tracce (il mistero, infatti, non riguarda solo le cause che portarono alla morte di Mozart, ma anche il funerale, la sepoltura e la fine delle sue ossa, a cominciare dal fatto che il teschio esposto sotto vetro nella biblioteca della fondazione Mozarteum di Salisburgo non sarebbe, alla luce delle ultimissime analisi, quello del sommo compositore).

Ma ciò che conta è la sua musica, la quale se non cadde nel dimenticatoio (ancora alla fine del Settecento sovente le opere di un compositore morivano con lui, nel senso che difficilmente continuavano ad essere eseguite dopo la sua scomparsa), e la cosa può sembrarci incredibile, fu solo grazie ad alcuni estimatori di Mozart che fecero praticamente da “cassa di risonanza”, oggi si direbbe “public relations”, a favore delle sue composizioni, salvando i manoscritti (a volte letteralmente strappandoli dalla voracità e dal cinismo della sciagurata Constanze, la vedova del genio salisburghese che, una volta resasi conto della grandezza del consorte, fece di tutto pur di monetizzare il suo nome e soprattutto le sue partiture, cercando di venderle a caro prezzo al miglior offerente) e diffondendo la sua musica organizzando concerti e rappresentazioni.

Tra coloro che rimasero folgorati dall’universo musicale mozartiano ci fu anche il compositore e medico austriaco Peter Lichtenthal nato nel 1780 a Pressburg, l’attuale Bratislava, e morto a Milano nel 1853, dove trascorse la seconda parte della sua vita, dedicandosi alla composizione (fu autore di sinfonie, di quartetti e trii, balletti) e alla divulgazione storica della musica (suo uno dei primi, attendibili dizionari musicali), oltre a una biografia dedicata a Niccolò Paganini, che ebbe modo di conoscere personalmente, oltre a incontrarsi a Vienna con Beethoven, Haydn, con la sciagurata Constanze e i figli di Mozart Franz Xaver e Karl, diventando tra l’altro amico di quest’ultimo. Ma il suo scopo prioritario fu indubbiamente quello di preservare e divulgare la musica mozartiana, che lo spinse tra l’altro nel 1842 a dare alle stampe il testo Mozart e le sue opere, una sorta di introduzione musicologica ai maggiori componimenti del genio salisburghese. Inoltre, la sua opera di diffusione avvenne anche attraverso la stessa musica, nel senso che per far conoscere meglio opere mozartiane di vaste proporzioni decise di farne degli adattamenti e delle riduzioni in modo che potessero essere eseguite anche da formazioni cameristiche, come avvenne per l’ultima grande pagina del divino Amadé, l’incompiuto Requiem, che Lichtenthal ebbe modo di trascrivere per quartetto d’archi nel 1802.

È stato il grande musicologo e storico della musica Alfred Einstein ad affermare, riferendosi proprio alla musica di Mozart, come la perfezione delle sue composizioni permettesse di essere esaltata attraverso un’esecuzione effettuata con qualsiasi tipo di formazione o di strumenti, riconoscendo quindi in tale peculiarità la dimensione eminentemente “universale” della produzione mozartiana. E questo perché l’impianto armonico che contraddistingue i lavori del compositore salisburghese è il frutto di un equilibrio formale unico (al quale si può aggiungere quello bachiano, altro autore che può essere eseguito con qualsiasi tipo di strumentazione senza che l’essenza della sua musica possa perdere un solo briciolo di essenza e di coinvolgimento emotivo ed estetico), tale da renderlo sempre pregnante, sempre perfettamente aderente rispetto al tipo di esecuzione e di scelta timbrica.

E questo vale naturalmente anche per ciò che riguarda la brillante trasposizione per quartetto d’archi del Requiem elaborata appunto da Peter Lichtenthal, che ha il merito, semmai, non solo di mettere in risalto il perfetto equilibrio formale enunciato da Einstein, quanto di fare affiorare il risultato degli sviluppi che Mozart apportò al tessuto contrappuntistico al quale si dedicò nell’ultima parte della sua vita, soprattutto dopo essere entrato in contatto con la cerchia viennese di musicisti dilettanti capeggiati dal barone Gottfried van Swieten, un accanito ed entusiasta cultore delle opere bachiane e del contrappunto. Studiando con più attenzione le partiture del Kantor e le leggi del contrappunto, Mozart indirizzò parte della sua ultima produzione proprio allo sviluppo di tale forma (lo testimoniano, tra l’altro, il rigoroso e severo Adagio e fuga in do minore per quartetto d’archi K 546, risalente al 1788, e il folgorante Finale della Sinfonia Jupiter composta in quello stesso anno), concretizzandolo da ultimo proprio nelle poche pagine da lui concluse del Requiem e in cui il filo delle linee viene tratteggiato sapientemente dai quattro strumenti ad arco cameristici (una possibile registrazione di riferimento, in tal senso, può essere quella stupendamente riflessiva e “immanente” data dal Kuijken Kwartet e incisa dalla Challenge Classics).

La compagine palermitana GliArchiEnsemble.

È ovvio che partendo da tale straordinario equilibrio timbrico-formale che si ha nella versione per quartetto d’archi di Lichtenthal, tale linea di perfezione espressiva si può perpetuare ad libitum, nel senso che la musica di Mozart permette di trasporre un’opera come il Requiem per una formazione cameristica, nulla vieta di effettuare di una “trascrizione della trascrizione”, come hanno fatto per l’appunto i componenti della compagine palermitana de GliArchiEnsemble capeggiati da Domenico Marco, formata da sei violini, due viole, due violoncelli e un contrabbasso, i quali hanno trascritto la versione di Lichtenthal per quartetto d’archi per i loro undici strumenti. E anche in questo caso il risultato non si è fatto attendere, in quanto la dinamica, la maggiore ricchezza timbrica, la possibilità di avere più materiale strumentale, con la conseguente possibilità di ampliare le connotazioni armoniche della composizione, hanno fatto sì che l’edificio sonoro eretto dagli undici membri de GliArchiEnsemble mettesse in luce, come se fosse una proiezione olografica, l’intera architettura dell’opera (almeno una volta lasciamo da parte la querelle relativa a quanto ci sia effettivamente del sommo salisburghese e quanto invece appartenga ad altri che ci misero mano dopo la sua morte, Franz Xaver Süßmayr su tutti), con le sue travi portanti, i suoi scorci, le sue prospettive. Ma ciò che più importa è che la compagine palermitana non si è limitata a proporre unicamente una nuova versione, ma attraverso di essa ha messo ulteriormente in luce la dimensione emotiva, facendo sì che affiorasse un elemento che resta indissolubile dalla proiezione estetico-spirituale che quest’opera esprime, quella che potremmo rendere con la sfera di quel durch Mitleid squisitamente wagneriano che contraddistinguerà il Parsifal, ossia quell’“attraverso la compassione”, che sovente ascoltando il Requiem nella sua versione originale non riusciamo a distinguere, a rendere palpabile nel nostro ascoltare interiore. Ebbene, GliArchiEnsemble ha invece giustamente puntato a fare della trascrizione per soli archi dell’ultimo capolavoro mozartiano un’opera che esplora la stessa opera, uno specchio che ne riflette un altro, dando così modo di offrire nuove prospettive e altrettante dimensioni di ascolto, dietro le quali la severità dell’eloquio contrappuntistico si stemperano in una commovente e irrinunciabile “ultima compassione”.

Nulla da eccepire sul lavoro di presa del suono effettuata da Francesco Muratore, il quale è riuscito a fissare ottimamente la riproposizione dell’evento sonoro; la dinamica e la microdinamica sono oltremodo prive di enfasi e più che ottimali nell’enunciazione dei transienti, mentre il palcoscenico sonoro ricrea efficacemente la profondità e la tridimensionalità del soundstage. Anche l’equilibrio tonale e il dettaglio sono della stessa qualità, permettendo un ascolto coinvolgente e fedele.

Andrea Bedetti

 

Wolfgang Amadeus Mozart/Peter Lichtenthal – Requiem (Version for String Ensemble)

GliArchiEnsemble

CD Da Vinci Classics C00106

Giudizio artistico 4/5

Giudizio tecnico 4/5