Il Namirovsky-Lark-Pae Trio, protagonista di questa registrazione per l’etichetta discografica TYXart, ha voluto accostare una delle composizioni cameristiche più celebri dell’Ottocento, il Trio per pianoforte n. 1 in si maggiore op. 8 di Johannes Brahms, con il Trio per pianoforte n. 2 H.178 del musicista inglese Frank Bridge, il cui nome, soprattutto presso il pubblico italiano, non è altrettanto famoso. Questo particolare abbinamento da parte dell’ensemble cameristico non nasce dalla medesima tonalità d’impianto delle due opere, così come da determinate affinità di linguaggio, ma solo con lo scopo di dimostrare che un’opera meno conosciuta, come nel caso del Trio del compositore inglese, rispetto a quella di Johannes Brahms non significa automaticamente che sia meno valida.
Entrando nello specifico del musicista britannico e del suo Trio n. 2, Frank Bridge studiò violino e composizione al Royal College of Music, dove fu tra l’altro allievo di Sir Charles Villiers Stanford dal 1899 al 1903. Oltre ad essere stato uno dei maggiori musicisti inglesi del primo Novecento, Bridge fu anche un apprezzato interprete (fu violista in diversi quartetti, in particolare nell’English String Quartet), direttore d’orchestra (sostituendo sovente Sir Henry Wood) e didatta (Benjamin Britten fu il suo allievo più famoso). I suoi primi lavori, come il Phantasie Trio (1907) e la suite orchestrale The Sea (1910-11), seguono il filone della tradizione tardo-romantica con una spiccata similitudine con Gabriel Fauré. Dopo la Prima guerra mondiale, tuttavia, la sua musica mutò, esaltando maggiormente un’intensa cromaticità, come dimostra la Sonata pianistica Scriabinesque (1921-1924), il cui linguaggio radicale fu poi proseguito e ampliato nei lavori cameristici degli anni Venti, al punto che nel suo Quartetto per archi n. 3 (1926) Bridge introdusse elementi stilistici e armonici che appartengono di diritto alla Seconda scuola viennese. Anche per via di questa progressiva radicalità, la musica del musicista inglese nei suoi ultimi anni di vita non trovò fortuna presso il pubblico e la critica del tempo, con il risultato che il suo Trio per pianoforte n. 2 (quello in oggetto nella presente registrazione) e il Quartetto per archi n. 4 non ebbero alcun riscontro. Solo a partire dagli anni Settanta, la musica di Bridge, dapprima in patria e poi all’estero, ha cominciato ad essere riscoperta e apprezzata.
Il Trio per pianoforte n. 2, composto tra il 1928 e il 1929, si colloca tra i capolavori cameristici di Bridge ed è stato dedicato alla patrona americana della musica della prima metà del secolo, Elizabeth Sprague Coolidge, la quale aiutò economicamente Bridge dalla metà degli anni Venti in poi. La prima assoluta ebbe luogo il 4 novembre 1929, con il violinista Antonio Brosa, il violoncellista Anthony Pini e la pianista Harriet Cohen ma, come si è già accennato, la critica rifiutò in toto l’opera (il critico di The Musical Times giunse a punto di scrivere, dopo la seconda esecuzione londinese: «Appare evidente che Bridge abbia sottoscritto un patto con i sostenitori della modernità e abbia posto l’interesse tecnico prima del piacere estetico»), al punto da causare una depressione psichica in Bridge. Questa pagina cameristica vede i primi due movimenti, l’Allegretto ben moderato e il Molto allegro, concentrarsi sullo sviluppo lineare del materiale tematico, mentre il terzo (l’Andante molto moderato) sulla sua espansione armonica, con il finale (l’Allegro ma non troppo) che ha la funzione di riassumere e collegare ciò che è stato espresso armonicamente nei tre tempi precedenti. Ascoltando il primo tempo di questo Trio n. 2 ci si rende conto di quanto la visione estetica in Bridge fosse cambiata dai tempi del Phantasie Trio, con la tragedia della Prima guerra mondiale a fare da implacabile spartiacque, poiché la musica sembra coesistere in un mondo infestato di ombre e penombre.
Ombre che non sono presenti invece nel Trio n. 1 di Brahms, composto nel 1853 all’età di vent’anni, che rappresenta la prima vera composizione del suo repertorio cameristico, vale a dire il più importante e basilare nella produzione del genio amburghese. E che questa pagina avesse un posto speciale nel cuore del compositore è testimoniato anche dal fatto che, contrariamente alle sue abitudini, Brahms decise di rimetterci mano nel suo estremo periodo creativo, ossia ben trentasei anni dopo la prima stesura, per limarne alcune ingenuità stilistiche e riducendo drasticamente alcune sezioni eccessivamente ridondanti; un’operazione di “pulizia” che non snaturò la freschezza e la straordinaria esuberanza originale di questa composizione. Il Trio venne ultimato da Brahms nel gennaio del 1854, ossia tre mesi dopo che il giovane musicista amburghese fu entusiasticamente presentato da Robert Schumann con il celebre articolo Neue Bahnen apparso sulla Neue Zeitschrift für Musik. In seguito, nel 1888 l’editore Simrock, che aveva acquistato da Breitkopf i diritti delle opere giovanili di Brahms, convinse il musicista a una nuova pubblicazione del brano, oltre al fatto che il critico e amico Eduard Hanslick mosse alcuni rilievi alla sua struttura formale. Ciò convinse Brahms a rimettere mano all’opera nel corso dell’estate del 1889. Così il compositore scrisse il 3 settembre a Clara Wieck: «Non puoi immaginare con quale fanciullaggine ho trascorso i bei giorni estivi. Ho riscritto il mio Trio in si maggiore e adesso posso chiamarlo op. 108 invece che op. 8. Non sarà più rozzo come prima - ma sarà migliore?».
Particolarmente coinvolgente l’interpretazione da parte dei tre componenti del Namirovsky-Lark-Pae Trio, formato da Misha Namirovsky al pianoforte, Tessa Lark al violino e Deborah Pae al violoncello; se la lettura del Trio di Frank Bridge è all’insegna di un timbro rappreso, scarno, ma lucidissimo, improntato su una dimensione che si potrebbe definire “spettrale” (e questo vale soprattutto per l’Allegretto ben moderato iniziale e per l’Andante molto moderato), rendendo così in modo ideale la concezione dell’opera, evidenziando quelle ombre e penombre così fondamentali nella restituzione della pagina cameristica, quella dedicata al Trio brahmsiano trabocca di vitalità e di gioia, come può esserlo un ventenne di belle speranze che ha tutta la vita davanti a sé. Se Misha Namirovsky risulta essere sempre preciso nel gesto pianistico, capace di colloquiare esemplarmente in Brahms, così come di rapprendere il timbro nel Trio di Bridge, sia Tessa Lark sia Deborah Pae sono in grado di rendere al meglio le due pagine, calandosi tra le ombre e tra le luci di entrambe le composizioni, mostrando un affiatamento davvero notevole.
Anche la presa del suono, effettuata da Andrew Tripp, è oltremodo valida: la ricostruzione dei tre strumenti all’interno del palcoscenico sonoro è corretta, con i due strumenti ad arco posizionati leggermente avanti rispetto al pianoforte, la dinamica è rocciosa, velocissima, permettendo agli armonici una decadenza ottimale. Infine, sia l’equilibrio tonale sia il dettaglio risultano essere ottimali nella restituzione delle informazioni sonore.
Andrea Bedetti
Frank Bridge – Masterpieces Among Peers-Trios by Frank Bridge and Johannes Brahms
Namirovsky-Lark-Pae Trio
CD TYXart TXA 18104
Giudizio artistico 4,5/5
Giudizio tecnico 4,5/5