La gloriosa scuola violinistica italiana ha un preciso punto di partenza, quello rappresentato dall’istriano Giuseppe Tartini (1692-1770), che continua con un suo allievo, il livornese Pietro Nardini (1722-1793) e prosegue poi con il romagnolo Bartolomeo Campagnoli (1751-1827), che di Nardini fu a sua volta allievo. Una scuola che, oltre a gettare le fondamenta e a costruire un meraviglioso e articolato edificio consacrato allo sviluppo della musica violinistica, seppe illuminare e irradiarsi anche nel resto del continente europeo, in un’epoca in cui il nostro Paese era ancora in grado di esportare linee guida nel campo dell’arte e della cultura.

D’altronde, basta conoscere nelle linee essenziali la biografia di Campagnoli per capire come un musicista italiano, tra la fine del XVIII secolo e l’inizio di quello successivo, poteva trovare facilmente uno sbocco professionale e artistico al di là delle Alpi, facendo in modo che i risultati delle varie scuole presenti nel nostro territorio (si pensi solo a quella veneziana, napoletana e, ancor prima, romana) trovassero presso il pubblico estero sempre grande favore e prestigio. Per ciò che riguarda il musicista di Cento, dopo aver approfondito lo studio del violino con Pietro Nardini, Campagnoli intraprese una carriera concertistica che dapprima lo portò a esibirsi in diverse città italiane e poi all’estero, nelle maggiori città europee. Nel 1776, il musicista ferrarese ottenne l’incarico di Konzertmeister presso la corte del vescovo di Freising, per poi entrare al servizio del duca di Curlandia a Dresda nel 1779. Al 1797 risale il suo incarico più prestigioso, quello di Konzertmeister presso la prestigiosa Gewandhaus di Lipsia, oltre ad acquisire il titolo di maestro di cappella di corte nella località di Neustrelitz nel 1826, dove appunto morì l’anno successivo.

La copertina del CD Brilliant con il Duo Parrino che esegue i Sei duetti op. 2 di Bartolomeo Campagnoli.

Eppure, di fronte a questo curriculum, impreziosito da un’attività di compositore che gli permise di avere in catalogo ventidue opere, la maggior parte delle quali ovviamente dedicate al suo strumento (ricordo, a tale proposito, i 30 preludi op. 12 e i 7 Divertissements op. 18), oggigiorno il nome di Bartolomeo Campagnoli è di casa quasi esclusivamente tra gli addetti ai lavori e gli appassionati dell’arte violinistica.

Questo perché il musicista di Cento decise di dare molta più importanza, nel corso della sua vita, all’attività didattica (la sua maggiore opera teorica, in tal senso, la Nouvelle méthode, rappresenta ancora un testo importante per gli studenti di violino) piuttosto che a quella concertistica e, soprattutto, compositiva. Inoltre, la visione violinistica di Campagnoli non fu di certo improntata a una concezione “modernista” dello strumento, a una ricerca innovatrice delle sue potenzialità tecniche, restando piuttosto ancorato a una rappresentazione conservatrice, votata a una purezza del suono, esaltando la matrice melodica, rispetto alla ventata rivoluzionaria data da un Niccolò Paganini (la cui attività artistica fu in pratica concomitante con quella del musicista ferrarese), la cui portata nell’immaginario collettivo, vista a posteriori, rappresenta un ineludibile spartiacque per cui buona parte di quanto avvenuto prima del grande violinista genovese è stato inevitabilmente messo da parte o dirottato nel dimenticatoio della storia musicale.

Un ritratto a stampa dell’epoca di Bartolomeo Campagnoli.

A parte questa visione “passatista”, senza darne ovviamente una connotazione denigratoria, l’opera di Bartolomeo Campagnoli merita di essere “riproposta” e ascoltata, anche per ciò che esula dal puro contesto violinistico (a cominciare dai suoi Sei quartetti per archi, registrati dall’Ensemble Symposium e pubblicati nel 2014 dalla Brilliant Classics, così come il suo Concerto per flauto op. 3 n. 2 e la Sinfonia concertante per flauto, violino e orchestra, registrati dal flautista Mario Folena e dal violinista Francesco Manara, con Giancarlo Andretta alla testa dell’Orchestra di Padova e del Veneto, per la casa discografica Dynamic), affrontando invece pagine in cui, per l’appunto, il violino si confronta con altri strumenti. Come avviene con i Sei Duetti per flauto e violino op. 2 che sono stati recentemente registrati per la Brilliant Classics dal duo Stefano Parrino al flauto e Francesco Parrino al violino.

Questi Duetti furono pubblicati a Berlino, anche se non si conosce la data precisa di pubblicazione (più o meno nei primissimi anni del XIX secolo), ma che risalgono almeno nella loro composizione a quindici anni prima e sono suddivisi, tranne il primo che ne ha soltanto due, da uno schema in tre tempi, con il primo in forma sonata, con il secondo suddiviso in ABA’ e con il terzo come Rondò, tranne il terzo Duetto che si conclude con una Polonaise. Se i primi quattro Duetti, al di là di qualche passaggio o tessitura oltremodo interessante (e questo soprattutto nel secondo e nel terzo, in cui il dialogo tra flauto e violino è più articolato e impreziosito da accenni di virtuosismo) risultano essere votati a una piacevole convenzionalità, il discorso cambia con il quinto e il sesto, in cui si avverte distintamente una maggiore maturità stilistica e una linea melodica plasmata dai due strumenti decisamente più interessante nello sviluppo e nel rapporto tra pesi e contrappesi, oltre a sfruttare maggiormente le peculiarità tecniche del flauto e del violino (per quanto riguarda il primo fa fede il Rondò del Quinto duetto in cui fa sfoggio di una notevole cantabilità, mentre per il secondo spicca sempre il tempo finale del Sesto duetto, con quest’ultimo che presenta anche un interessante primo tempo concepito come Andante con variazioni).

Ciò che colpisce, però, è come Bartolomeo Campagnoli riesca in questi Sei duetti a evitare una tessitura che alla lunga rischia di divenire stucchevole, soprattutto alle orecchie di un ascoltatore contemporaneo, non abituato a pagine in cui due strumenti come il violino e il flauto dialogano per oltre settanta minuti, come avviene in questa registrazione. E questo se si tiene anche conto del fatto che il musicista di Cento, come si è già accennato, non fu certo un innovatore, se non in determinati aspetti che riguardano ambiti squisitamente tecnici (la sua avversione per il temperamento equabile), non facilmente riconoscibili da parte di chi non è un “addetto ai lavori”, anche se il suo “conservatorismo” non gli impedì certo di diventare massone (nel dicembre del 1808 fu iniziato nella Loggia Minerva zu den drei Palmen di Lipsia, andando a infoltire il numero di musicisti che a quell’epoca decisero di aderire alla squadra e al compasso).

I fratelli Stefano & Francesco Parrino interpreti di questo CD.

Ma, sia ben chiaro, la fruibilità, la piacevolezza delle pagine raccolte nell’op. 2 sono anche rese dall’interpretazione dei due fratelli Parrino che hanno saputo rendere al meglio queste pagine, esaltandone le peculiarità positive (la brillantezza dell’eloquio e del dialogo tra i due strumenti) e smussando quelle meno felici (la mancanza di originalità che permea soprattutto i primi quattro duetti) grazie a una lettura in cui la leggerezza timbrica si coniuga con un fraseggio in cui è bandita ogni pesantezza stilistica, trasformando questi duetti in un piatto appetibile e per nulla indigesto.

Detto in tali termini sembrerebbe un’operazione di semplice portata per una coppia di interpreti come possono esserlo Stefano & Francesco Parrino, ma non è così, perché subentra una duttilità di eloquio, una capacità di saper scavare nel suono e di farlo affiorare nel modo più corretto senza aggiungere un’oncia di enfasi, che non appartiene di certo a queste pagine, tali da inficiarne la trasparenza, oserei dire l’innocenza che le permea. Questo perché, al di là della musica in sé, si deve rendere anche l’idea, la raffigurazione di un’epoca, di cui queste pagine sono una palpabile testimonianza che dev’essere resa storicamente. E anche se i fratelli Parrino non hanno voluto presentare una versione filologica tout court, è chiaro che il rispetto, la focalizzazione, la loro dimensione esecutiva hanno il merito di riportare indietro nel tempo l’ascoltatore, permettendogli di comprendere meglio, al di là della piacevolezza, dell’ésprit incarnato da questi duetti, come Bartolomeo Campagnoli si pone all’interno della galassia del violinismo di inizio Ottocento, con i suoi difetti e le sue virtù.

Andrea Dandolo ha confezionato una pregevole presa del suono, capace di restituire idealmente lo spazio sonoro in cui si trovano i due strumenti (la location è la chiesa di San Bartolomeo a Nomaglio, in provincia di Torino), con un equilibrio tonale rispettoso del timbro del violino e del flauto e con un dettaglio sufficientemente materico. Di buona fattura anche la dinamica, contraddistinta da una buona velocità dei transienti.

Andrea Bedetti

 

Bartolomeo Campagnoli – 6 Duos for Flute & Violin Op. 2

Stefano Parrino (flauto) – Francesco Parrino (violino)

CD Brilliant Classics 95974

 

Giudizio artistico 4/5

Giudizio tecnico 4/5