Una recentissima produzione discografica della Da Vinci Classics vede il pianista Igor Cognolato eseguire cinque composizioni per pianoforte di Maximiliano Amici, un musicista che è stato allievo di Luciano Pelosi e Stephen Jaffe, conseguendo il master in composizione presso il Conservatorio di Santa Cecilia a Roma. Ha poi proseguito gli studi, diplomandosi in musica elettronica e direzione d’orchestra presso lo stesso Conservatorio romano e il diploma in pianoforte presso il Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli. Oltre all’attività di compositore, Amici attualmente è professore associato di Musica e Composizione in Cina, presso la Duke Kunshan University.

La cover del CD Da Vinci Classics dedicato a pagine pianistiche del compositore contemporaneo Maximiliano Amici.

Onestamente, non conoscevo Amici e la sua musica, quindi ho ascoltato con curiosità e interesse queste cinque sue pagine pianistiche, composte tra il 2017 e il 2024, per la precisione Piano Pieces (2017), Ancora un Puro Giorno di Gioia (2020), Developments (2024), Kaleidoscopic Music (2023) e Solo (2021). Come spiega lo stesso compositore, il quale dovrebbe essere romano di nascita, il pianoforte rappresenta buona parte della centralità della sua musica, anche quella non dedicata a questo strumento, in quanto ritiene giustamente che vantare una solida padronanza pianistica risulti essere assai utile nel processo compositivo. Ci sono poi almeno altri tre fattori dei quali bisogna tenere conto per ciò che riguarda i brani contenuti in questo disco dal titolo Piano Works; il primo è che i ventotto tracks che compongono la playlist del CD sono assai brevi, con quello più corto che raggiunge i quarantacinque secondi, mentre il più esteso è proprio quello che chiude il disco, ossia Solo con i suoi sei minuti e due secondi. Tale peculiarità richiama alla mente le raccolte pianistiche schumanniane, composte da innumerevoli pezzi assai brevi ma, allo stesso tempo, prodigiosamente densi; è lo stesso Amici ad ammettere che il genio di Zwickau rappresenta un preciso punto di riferimento per la sua musica pianistica, frutto di una «ricerca di chiarezza, brevità e semplicità» sulla quale basare la sua creatività. Il secondo aspetto è che, come si vedrà, la composizione pianistica di questo musicista, oltre a rispecchiarsi in quella di Schumann, fa soventemente i conti anche con quella di altri grandi del passato, in un intrigante mix di confronto e dialogo stilistico ed espressivo; infine, anche se non si può parlare apertamente di “programmaticità”, lo stesso autore si affida a delle “linee-guida” per introdurre l’ascoltatore a questi suoi cinque brani pianistici, evidenziando così un piano “comunicativo”, il che rimanda alle tipiche dichiarazioni d’intenti d’impronta romantica, in primis lo stesso Schumann e Liszt.

Pieces for Piano è il pezzo più datato, visto che risale a otto anni fa ed è composto da quattro brani strettamente interconnessi, intervallati da tre intermezzi. Essendo i quattro brani principali imbastiti su un motivo a due voci, Maximiliano Amici invita l’ascoltatore a immaginare un “discorso amoroso”, per dirla con Roland Barthes. Tutto questo “discorso” ruota, nell’ambito dell’intera composizione, su un tema che si ripresenta ciclicamente e che prende avvio fin dal primo brano, che non porta alcun titolo (simbolo di incomunicabilità, a detta di Amici). La proiezione e la dilatazione di tale tema avvengono poi soprattutto nei due Corali, per la precisione terzo e quinto brano della raccolta, mentre l’ultimo brano, anch’esso senza titolo, porta tutta la pagina pianistica a trasfigurarsi, a rendersi altro, pur restando in modo ferreo legato al tema conduttore, che diviene a questo punto quasi ossessivo, come a dire che la passione amorosa può trascendere con irrisoria facilità in un’ossessione compulsiva.

Il compositore e didatta Maximiliano Amici.

Il “dialogo” con i grandi del passato si presenta nel brano che segue, Ancora un Puro Giorno di Gioia, composto nell’estate del 2020 e suddiviso in cinque tempi, ossia durante l’opprimente periodo del lockdown, e rappresenta una conseguente e inevitabile riflessione sulla guarigione. Qui, Maximiliano Amici si ricollega a un commovente passaggio del Testamento di Heiligenstadt di Beethoven, in cui il sommo di Bonn chiede una tregua, una pausa e un momentaneo sollievo dai suoi tormenti fisici legati all’irreparabile sordità che lo ha colpito. Lo fa scrivendo testualmente queste parole: «O Provvidenza, concedimi almeno un giorno di pura gioia» (la versione originale recita: laß einmal einen reinen Tag der Freude mir erscheinen). Oltre a questo rimando testamentario, Amici cita anche un preciso passaggio musicale tratto da uno dei capolavori quartettistici di Beethoven, ossia un frammento melodico presente nell’op. 132, il Quartetto n. 15 in la minore, estrapolato per la precisione dal terzo tempo che porta la famosa scritta Heiliger Dankgesang an die Gottheit eines Genesenen, in der Lydischen Tonart (Canzone di ringraziamento in modo lidico offerta alla Divinità da un guarito). Da questo celebre ed emozionante passaggio beethoveniano si comprende meglio il concetto di “dialogo” tra Amici e i grandi della tradizione del passato, in quanto l’elemento dialogico non si basa su una pura riproposizione melodica che viene applicata pedissequamente, ma su una dilatazione esplorativa armonica/melodica confezionata ad hoc dal musicista romano. Il frammento è un seme che genera autonomamente una composizione ex novo; dunque, dialogo da intendere come germoglio che si radica e fiorisce attraverso un procedimento che, lasciando Beethoven e approdando a Brahms, diviene “sviluppo” tout court. Semmai, il contatto diretto con il frammento può essere ricondotto all’aura, all’atmosfera emotiva che lega il terzo tempo dell’op. 132 alla composizione di Maximiliano Amici.

Developments rappresenta il pezzo più recente, visto che la sua composizione risale allo scorso anno e si basa su una raccolta di otto brevi brani il cui scopo è quello di rappresentare un lavoro di ricerca sulla coerenza in musica mediante la trasformazione dei motivi che lo compongono. Al di là del primo e dell’ultimo brano, che portano rispettivamente i titoli di Introduction e di Finale, gli altri sei portano il titolo della composizione con un numero progressivo da uno a sei. È interessante notare come la germinazione armonica e melodica, partendo proprio dall’Introduction, porti Amici ad esplorare dapprima il registro acuto sulla base di un fuggevole richiamo dell’accompagnamento che Chopin fece nel suo Preludio op. 28 n. 2, per poi elaborare una brevissima linea motivica, seguita da una vorticosa discesa e, subito dopo, da una rapinosa ascesa di nuovo sul registro acuto. Development I, a sua volta, è suddiviso in tre mini-segmenti: se il primo ha il compito di decostruire l’idea iniziale suggerita dall’Introduction, il secondo, al contrario, la evidenzia, ri-strutturandola, in chiave melodica, mentre il terzo rappresenta una sorta di mediazione dei primi due mini-segmenti. I Developments che vanno dal II al V anche se partono da premesse simili al I, si irradiano spazialmente in direzioni diverse, basati su una costruzione quantomeno “classica” nella forma, visto il II rappresenta una toccata, il III un adagio, il IV una fuga e il V un episodio squisitamente virtuosistico. Al contrario, il Development VI rivela una matrice temporale, in quanto tende a strutturare compiutamente il contenuto armonico che si celava nei quattro accordi dell’Introduction. Il Finale ha invece un compito per così dire riassuntivo attraverso l’andamento di un tempo adagio che progressivamente raggiunge il registro più acuto della tastiera, simbolo di una lenta ascesa che porta a un compimento trasfigurato.

Anche la pagina seguente, Kaleidoscopic Music, scritta nel 2023, presenta in parte le caratteristiche di un “dialogo” o, quantomeno, di un “rimando”; questo brano è composto da sette segmenti attraverso i quali il compositore romano elabora un flusso sonoro costante e, allo stesso tempo, in continua evoluzione. A un primo, distratto ascolto potrebbe apparire una composizione che strizza l’occhio a un certo minimalismo, ma in realtà il suo assemblamento è assai più complesso e variegato. Se per Kaleidoscopic Music preferisco parlare di “rimandi” invece di “dialogo” è per il fatto che in tre dei suoi sette segmenti ci sono dei fuggevoli, ma chiari, richiami legati a composizioni del passato, mentre nei restanti quattro il lavoro è principalmente incentrato sul concetto di sviluppo della materia musicale partendo da minime cellule primigenie.

Così, l’elemento evolutivo della matrice mutevole che incarna la materia sonora è prerogativa del primo brano di questa raccolta, intitolato Whorls of Color, tutto giocato su una base in continuo mutamento sulla quale si innesta fuggevolmente una brevissima idea melodica che, subito dopo, viene fagocitata dal processo di cambiamento in atto. Il concetto del “rimando” viene attuato da Maximiliano Amici nel secondo brano, Serene Spin, il quale è parzialmente ispirato a Visions de l’Amen di Olivier Messiaen e che ha lo scopo, su precisa indicazione dell’autore, di portare l’ascoltatore a proiettare l’immagine di un caleidoscopio che ruota lentamente, con il risultato che le pietre al suo interno tendono dapprima a cadere singolarmente per poi raggrumarsi in piccoli gruppi. Il raffronto con la tradizione classica, almeno nel suo apparato formale, Amici l’attua con il terzo brano, Claret Moonlight, che si presenta nelle fattezze di un notturno nel quale la chiave dominante è data da un contrappunto che viene sapientemente organizzato su una linea di basso formata, anche qui, da continui cangiamenti di un’idea primigenia. Il quarto brano, Iridescence, il cui titolo è a dir poco evocativo, è a mio avviso la sezione aurea di tutta la composizione, con la sua costruzione esemplarmente geometrica che si articola ancora una volta su una reiterata linea di basso, all’interno della quale le “iridescenti” armonie si dispiegano circolarmente. Iridescence rappresenta anche il punto di svolta dell’intera composizione, in quanto gli ultimi tre brani che la compongono, offrono all’ascoltatore nuove prospettive spaziali e temporali. Ciò si realizza a cominciare da Waxing and Waning, un brano basato sullo scontro/incontro tra due linee melodiche, una ascendente e l’altra, all’opposto, discendente, che si intrecciano formando una vera e propria spirale sonora. Un ennesimo “richiamo” alla tradizione è presente nel sesto brano, Nocturnal Glow, che intende incarnare l’esprit dei Lieder ohne Worte di mendelssohniana memoria e la cui matrice affiorante è data dal concetto di “circolarità”, ma sarebbe più corretto definire di “centripeticità”, mediante linee crescenti che affiorano dal registro grave e quelle calanti dal registro acuto. L’idea, la proiezione di circolarità viene ribadita ulteriormente dal compositore romano nel brano finale, Nacreous Clouds, che idealmente e formalmente è un’elaborazione del primo, ossia di Whorls of Color. Ciò viene attuato attraverso l’esemplificazione progressiva di arabeschi che portano inevitabilmente alla realizzazione di un climax che sintetizza lo spirito dell’intera composizione, la quale si conclude con un vero e proprio annientamento sonoro che si realizza nel registro acuto.

Il brano che conclude la playlist di questo CD è una sorta di tributo nei confronti di coloro che si siedono davanti alla tastiera del pianoforte e si sentono improvvisamente soli, quasi spaesati, di fronte ad essa. Da qui, il titolo di Solo, in cui il compositore romano lascia spazio a una dimensione quasi inconscia nella quale la materia musicale fluisce liberamente, alla stessa stregua delle “parole in libertà” sperimentate dai futuristi e dai surrealisti nei loro versi; ciò significa che il risultato ottenuto con questo pezzo non vuole essere ciò che si è “voluto”, bensì ciò che si è “tentato” di volere, proprio per rimarcare quanto l’atto del comporre non solo sia un sentiero irto di ostacoli, ma come ciò possa ingigantire la solitudine e quella sorta di inanità che può cogliere colui che crea e plasma la materia dei suoni.

Il pianista Igor Cognolato, ottimo interprete di questa registrazione.

Chi azzardasse, senza prima averla ascoltata e basandosi solo su quanto ho scritto, che la musica di Maximiliano Amici sia fondamentalmente speculativa, non andrebbe lontano da una certa realtà dei fatti. Solo che la speculazione che il nostro musicista mette in atto non è di certo fine a se stessa: insomma, non ci troviamo di fronte, come direbbero all’Accademia della Crusca, a delle pugnette mentali, ma a un universo sonoro in cui il pensiero non si disgiunge mai dalla piacevolezza del suo sviluppo. Ciò significa che l’ascolto stesso, sempre che sia attento e compartecipe, permette di “assaporare” le continue mutazioni, quei cambiamenti armonici e melodici sui quali Amici fissa la sua attenzione e la sua passione compositiva.

Allo stesso tempo, e qui entriamo nell’orbita interpretativa di questo disco, non bisogna dimenticare che questa elaborazione compositiva, questa creazione speculativo/sonora, comportano per chi esegue queste partiture un problema non solo nella resa espressiva, ma anche in quella tecnica. Questo perché la musica pianistica di Maximiliano Amici è assai esigente nei confronti di chi si pone il compito di interpretarla e una semplice esecuzione corretta, con tutti i puntini al posto giusto, non basterebbe per comunicare la sotterranea “elettricità” che la percorre dalla prima all’ultima nota. Per nostra fortuna, e per quella dello stesso autore, la lettura fatta da Igor Cognolato non è solo un solido e “corretto” edificio esecutivo, ma è anche degno di nota per ciò che riguarda la sua “tridimensionalità” applicativa, al cui interno trovano posto passione, lucidità, sensibilità, chiarezza di esposizione e la capacità, soprattutto, di rendere evidente come un processo speculativo in atto non debba per forza bandire un’esigenza estetica, come quella che Amici ha voluto instillare nelle sue pagine pianistiche.

L'ingegnere del suono Paolo Carrer.

Ho cominciato a seguire il lavoro di presa del suono di Paolo Carrer fin dai tempi in cui mise in atto la sua competenza professionale a favore di quell’illuminante etichetta discografica che è stata l’elvetica Divox del vulcanico Wolfram Burgert. Sarebbe, quindi, del tutto inutile aggiungere che ci troviamo di fronte a una cattura del suono effettuata con i fiocchi. Prima di tutto, colpisce l’estrema pulizia della dinamica, che ricorda quelle che contraddistinguono la filosofia di Manfred Eicher della ECM, ma a differenza di queste ultime, Carrer non tralascia di restituire anche una palpabilità, un “calore” che la label monacense mostra di possedere come può averla un istituto di medicina legale. Ergo, velocità ed energia a profusione, ma il tutto “arrotondato” da una naturalezza timbrica capace di esaltare il timbro dello strumento, permettendo così un’adeguata microdinamica, la quale abbonda grazie alla scrittura di Amici. Allo stesso modo, il palcoscenico sonoro ricostruisce il pianoforte al centro dello spazio sonoro con una giusta e apprezzabile profondità, con lo strumento perfettamente scontornato e percepibile nella sua tridimensionalità. Infine, sia l’equilibrio tonale, sia il dettaglio sono da encomio: il primo presenta ancora un’ottima pulizia, senza mai mostrare un pur minimo impasto tra registro medio-acuto e quello grave, mentre il secondo, anche grazie a quantità abbondanti di nero, offre alla percezione dell’ascoltatore tutta la matericità del pianoforte.

Andrea Bedetti

 

Maximiliano Amici – Piano Works

Igor Cognolato (pianoforte)

CD Da Vinci Classics C01004

Giudizio artistico 4,5/5
Giudizio tecnico 5/5