Il musicista veneziano, che ha registrato due CD con le trascrizioni bachiane di concerti di Vivaldi e Marcello e il primo volume dell’integrale delle Sonate di Mozart, è uno dei massimi interpreti italiani di questo strumento così affascinante e così poco conosciuto. Ne abbiamo parlato con lui
Maestro De Cecco, come sono nate le due registrazioni dedicate alle trascrizioni bachiane dei concerti di Vivaldi e di Alessandro Marcello e all’integrale delle sonate mozartiane?
Nel caso del disco bachiano, un giorno mi trovavo a leggere un po’ di repertorio al clavicordo. Mi resi conto di come sullo strumento quei concerti trascritti suonavano divinamente; del resto che cos’è la trascrizione per tastiera se non il portare un’intera orchestra in una dimensione intima e casalinga come quella del clavicordo? Riguardo a Mozart, il discorso è un po’ più complesso. Ho sempre adorato leggere le sonate di Mozart; ma ogni volta che le suonavo sul pianoforte moderno o le ascoltavo in una delle innumerevoli interpretazioni anche di grandi pianisti, mi dicevo: “Questo non è il MIO Mozart”. Sul clavicordo Silbermann ho trovato finalmente la dimensione del mio personalissimo Mozart. So che molti interpreti non amano ascoltare le proprie incisioni. Nel mio caso è avvenuto esattamente il contrario: avevo bisogno di mettere per “iscritto” (in questo caso incidendo) la mia idea della musica per tastiera sola di Mozart. Credo che l’avrei fatto anche se la Da Vinci Classics o qualunque altra etichetta discografica non avessero approvato questo progetto, che è decisamente a lungo termine. Nell’età senile, nella quale forse le mie mani non potranno più suonare come adesso, avrò la compagnia del “mio” Mozart in queste incisioni, che potrò sempre ascoltare. Può sembrare una risposta narcisistica e “poco professionale”, ma questo è il motivo principale che mi ha spinto a registrare Mozart al mio clavicordo.
Che cosa significa oggi proporre opere di Mozart eseguite al clavicordo? Quali altri autori possono e devono essere eseguiti con questo strumento per vedere valorizzate storicamente ed esecutivamente le loro opere?
Oggi proporre opere di Mozart al clavicordo dovrebbe essere considerata un’operazione assolutamente naturale e legittima, se non scontata. È mia ferma convinzione che la musica per sola tastiera di Mozart, a differenza dei concerti per pianoforte e orchestra, non fosse concepita per dimensioni sociali e mondane, quali l’attività concertistica; ci troviamo piuttosto di fronte a una “musica segreta” che ha a che fare con l’intimità di un musicista e di pochi ascoltatori. Anche per questo, quando mi trovo di fronte anche a grandi pianisti che suonano Mozart su lunghi pianoforti a coda in grandi teatri con più di mille persone, storco un po’ il naso. Ricordiamoci che Mozart suonò il clavicordo per una vita intera. In un suo clavicordo Stein c’è una targhetta commemorativa della moglie che reca la testimonianza secondo cui Mozart compose su quello strumento alcune delle sue ultime opere, tra cui il Flauto Magico.
Poi, è necessario abbattere la vulgata secondo cui il clavicordo era solo uno strumento da viaggio o da studio notturno per l’esile suono. Se è vero che certi piccoli clavicordi avevano questa funzione, bisogna tenere presente che sono esistiti moltissimi clavicordi particolarmente pesanti, molto difficili da trasportare. Perché li si comprava e li si suonava? Perché soprattutto in ambito germanico, dal ‘500 fino alla temperie culturale dello Sturm und Drang (alla quale Mozart deve molto), il clavicordo era considerato il re delle tastiere, per la sua capacità di ottenere timbri e suoni impossibili su altri strumenti a tasto. Il tasto del clavicordo non possiede un fine tasto; inoltre, a differenza della meccanica dei pianoforti o dei cembali, quando il musicista “tocca” il tasto, la tangente del tasto gli permette di continuare ad avere una presa sulla corda. Quindi, oltre a poter eseguire una enorme varietà di dinamiche e timbri, sul clavicordo si può vibrare la nota e avere il portamento del suono, cosa impossibile su un pianoforte o un cembalo.
Per quanto riguarda la seconda parte della domanda: l’interpretazione al clavicordo di qualunque autore di area germanica dal ‘500 fino alle prime sonate di Beethoven è legittima, se non doverosa. Penso, ovviamente, per citare i nomi più importanti, a Johann Sebastian Bach, Carl Philipp Emanuel Bach, Franz Joseph Haydn.
Ascoltando i due dischi da lei registrati, mi sono reso conto dell’incredibile suono prodotto dal clavicordo realizzato appositamente per lei nel 2015 da Michele Chiaramida, una copia dello strumento originale, attualmente conservato al Germanisches Nationalmuseum di Norimberga, attribuito a Johann Heinrich Silbermann. La timbrica e la dinamica di questo clavicordo si avvicinano maggiormente a quello di un clavicembalo e non danno l’idea di un suono flebile, come si ascolta invece in altri clavicordi. Inoltre, mi sono reso conto, soprattutto in Mozart, che è uno strumento che non è assolutamente semplice da affrontare, ma che in un certo modo dev’essere “domato” durante l’esecuzione.
Come accennavo prima, sono esistiti, soprattutto dalla seconda metà del ‘700 e ai primi dell’‘800, clavicordi anche molto imponenti. In una lettera di Leopold Mozart al figlio, egli esalta le caratteristiche di un clavicordo definendone il timbro dei tasti gravi simile a quello del trombone e quello degli acuti al suono dolce del violino (caratteristiche che in un certo senso si trovano anche nei coevi cembali e nei pianoforti viennesi). Naturalmente, interpretare Mozart al clavicordo per un certo verso è molto facile, perché ci si trova, soprattutto nel caso del mio strumento, ad avere a che fare con le sonorità dell’epoca. Il mito secondo il quale Bach o Mozart scrivevano musica “assoluta” nasconde un’idea ingenua secondo la quale questi compositori pensavano la musica senza un timbro specifico; ma, se è vero che il termine “Klavier” nella musica dell’epoca indicava spesso indistintamente tutti gli strumenti a tasto, è altrettanto vero che con i costruttori di cembali, pianoforti e clavicordi dell’epoca i compositori collaboravano assiduamente (si pensi a Bach e Silbermann, a Leopold Mozart e Friederici, Wolfgang Amadeus Mozart e Stein, ma poi anche Clementi, che addirittura costruiva pianoforti, o Chopin e Pleyel, ecc… ); a loro richiedevano determinate caratteristiche timbriche, in primis una forte disuguaglianza nella tastiera che non si trova nei pianoforti moderni. Ora, credere che questi compositori avrebbero potuto concepire la loro musica a prescindere dai timbri degli strumenti che avevano a disposizione è altrettanto assurdo quanto immaginare che sognassero o pensassero in una lingua che non avevano mai conosciuto, che ne so, l’esperanto o il giapponese.
Di fronte alla facilità di suonare uno strumento che si confà perfettamente agli idiomi musicali dell’epoca, ci si scontra invece con le difficoltà intrinseche del clavicordo: a differenza di altri strumenti a tasto, il clavicordo è l’unico strumento che obbliga l’esecutore ad una continua attenzione all’intonazione. Non solo, il suono particolarmente riverberante dello strumento e la meccanica primitiva (ma espressivissima) delle tangenti richiedono un grande sforzo; occorre una grande concentrazione “digitale” nel tocco; inoltre bisogna far attenzione a far “respirare” lo strumento nei momenti più “riverberanti”, un lavoro simile a quello dell’organista in chiesa. Se il pianista, una volta toccato il tasto, deve solo preoccuparsi di quando lo lascerà, il clavicordista deve anche stare attento a come lo lascia e come modifica la pressione; il che avrà un impatto molto importante sia sul timbro sia sul tono dello strumento.
Come è nato questo suo interesse nei confronti di una tastiera storica come il clavicordo? Che cosa l’affascina maggiormente in questo strumento?
L’amore è nato dalla conoscenza approfondita della musica di Carl Philipp Emanuel Bach, autore che trovo tra è più geniali dell’intera storia della musica. Le sue fantasie per clavicordo sono un delirio di sentimenti i più disparati, cambi umorali repentini, trovate formali e armoniche geniali. Alla trinità Haydn Mozart Beethoven aggiungerei senza esitazioni la figura di Carl Philipp Emanuel Bach, il loro padre. Del clavicordo, e in particolare del mio clavicordo, adoro il fatto che sia l’antitesi totale di ciò che detesto della modernità: la sonorità flebile ma coloratissima di contro al grigio rumore dei decibel assordanti; uno strumento che posso suonare la notte per me solo o pochi amici seduti intorno a me, mentre nel fragore delle sale da concerto si trova una star sul podio ed un pubblico che non si sa se osanni la musica o lo “show”; un suono esotico e fluttuante che invece di avvicinare l’ascoltatore in celebri opere, lo fa ritrarre e lo obbliga a “ripensare” tutto quello che dava per assodato in termini di tradizione interpretativa. In fondo, quello che mi aspetto da coloro che ascolteranno per la prima volta le mie interpretazioni è un iniziale rigetto; non voglio “avvicinare” Mozart al grande pubblico. Voglio farne sentire la grande lontananza di un mondo perduto, che aveva anche delle sonorità per certi versi “esotiche”. Vorrei che si dicesse che Mozart non era per niente moderno, che non anticipa Schubert ma si rifà a Schobert [Johann Schobert è stato un clavicembalista e compositore tedesco vissuto nel cuore del Settecento, la cui musica influenzò moltissimo Mozart, N.d.A.] che è figlio dei Bach e della musica barocca; mi aspetto ovviamente l’obiezione scontata, e un po’ sofistica, per cui anche questa è una “posa”, una “filosofia” che fa parte della contemporaneità.
Oltre a proseguire la registrazione dell’integrale mozartiana, quali sono i suoi prossimi progetti in ambito discografico?
Sicuramente alcune delle sonate e fantasie più significative di Carl Philipp Emanuel Bach. Sono almeno una trentina. Sto cercando anche una voce femminile che si adatti ad una registrazione integrale dei Lieder di Mozart, sempre al clavicordo. Spero di trovarla!
Andrea Bedetti