Di Nicolò Paganini si crede di conoscere ogni risvolto della sua avventurosa e tormentata vita, ma in realtà esiste un “buco nero” che la riguarda, per la precisione quella che si concentra sui primi due decenni, avvolti per buona parte ancora nelle nebbie dell’incertezza storica. Nebbie che vengono parzialmente spazzate intorno ai diciannove anni di Paganini, quando il musicista genovese durante una lunga permanenza in quel di Livorno ebbe modo di comporre tre Duetti per fagotto e violino, espressamente commissionati da un fagottista dilettante svedese (del quale non conosciamo il nome), che tra l’altro rimase insoddisfatto del risultato, imputando al futuro, geniale violinista di non aver costellato di difficoltà tecniche e virtuosistiche la parte destinata al suo strumento, anche se questa ultima parte della vicenda, raccontata da un certo Lichtenthal, corrispondente dall’Italia per il giornale tedesco Allgemeine Musikalische Zeitung, sembra appartenere maggiormente al contesto di un aneddoto dal sapore anacronistico. Comunque sia, ciò che conta è che oggi conosciamo l’esistenza di queste tre opere cameristiche paganiniane le cui partiture manoscritte sono state fortuitamente ritrovate sul finire dello scorso secolo. A prima vista l’accostamento di uno strumento come il fagotto con il violino può apparire bizzarro o quantomeno poco usuale: nulla di più sbagliato, però, visto che già nel Settecento compositori quali Telemann, Rosenmuller, Schmelzer, Fontana, Buchner e altri avevano già avuto modo di scrivere brani per questo duo cameristico. Quindi, il giovane Paganini, probabilmente a conoscenza di questa florida letteratura repertoriale, ebbe modo di partire già con il piede giusto, facendo leva su quanto la tradizione del passato aveva prodotto.

Ascoltando questi tre duetti, però, non si può certo essere d’accordo con il più che esigente e misterioso fagottista dilettante, visto che queste composizioni, sebbene siano contraddistinte da una scrittura che può apparire ancora convenzionale per l’epoca, non mancano di spunti interessanti sia per ciò che riguarda lo strumento prediletto da Paganini, sia per il fagotto. Proprio quest’ultimo, infatti, oltre a svolgere il compito di basso continuo, propone dei passaggi nei quali il giovane compositore genovese dimostrò il fatto suo, oltre a far intuire (si pensi all’Allegro con brio poco scherzando che apre il terzo Duetto) la sua futura brillantezza e la genialità delle trovate timbriche riservate al violino. Il duo Daphne & Thomas Oltheten dimostra con i suoi strumenti filologici (il violino è un Van der Sijde del XVII secolo, mentre il fagotto è una copia moderna di uno strumento di Heinrich Grenser) di essersi calato idealmente in queste tre opere che alternano momenti di puro intrattenimento a squarci più lirici e riflessivi.

Anche la registrazione, sotto l’aspetto tecnico, è più che valida e ripropone perfettamente al centro del palcoscenico sonoro i due strumenti, contraddistinti da una dinamica pulita e naturale, senza colorature e con un ottimo dettaglio che permette di cogliere anche le loro minime sfumature.

Andrea Bedetti

Giudizio artistico: 5/5

Giudizio tecnico: 4/5

Nicolò Paganini – “Tre Duetti Concertanti per Violino e Fagotto”

The Apollo Ensemble: Daphne Oltheten (violino) – Thomas Oltheten (fagotto)

CD Centaur CRC 3461