Disco del mese di Marzo
«Allora vidi una cosa che non dimenticherò mai. Andavano e venivano facendosi smorfie infantili, sorridendosi, dondolandosi, inchinandosi e saltellando come due vecchie bambole messe in moto da un meccanismo antico, un poco guastato, ma ricostruito da un bravo operaio moderno.
«Io li guardavo, col cuore turbato da sensazioni strane, con l’animo commosso da una indicibile malinconia. Mi sembrava di vedere una apparizione triste e, nello stesso tempo, comica, l’ombra sdegnata di un secolo. Avevo voglia di ridere e bisogno di piangere.
«All’improvviso, essi di fermarono: avevano terminato le figure del ballo. Durante alcuni secondi restarono dritti, l’uno di faccia all’altro, facendosi ancora qualche smorfia graziosissima, poi s’abbracciarono, singhiozzando».
Questo breve brano, estrapolato da una novella di Guy de Maupassant, Minuetto, scritta dal grande romanziere francese nel 1882, rende alla perfezione la visione e la profondità di quella meravigliosa filosofia in movimento che è il minuetto, un passo di danza che unisce eleganza, sincronia, e che genera misteriosamente in chi lo balla e in chi l’osserva un misto, come scrive per l’appunto Maupassant, di tristezza e di comicità. E solo le forme, le dimensioni più pure, più assolute riescono a generare reazioni così opposte, talmente divergenti e lontane tra esse che, alla fine delle loro traiettorie, riescono perfino a congiungersi. E dove si attua tale congiunzione, là risiede un mistero ancora più grande, quello dell’espressione artistica, resa dalla maschera del tragico, così come da quella del comico. E nessun’altra forma di danza riesce a raggiungere tali “opposti estremismi”, tale da far di essa un Giano bifronte che tutto raccoglie e tutte esprime.
Questa breve, emozionante novella di Maupassant, presentata nell’aurea e raffinata traduzione di Onorato Roux, risalente al 1924, fa da booklet alla registrazione discografica che il pianista Alessandro Stella ha inciso per l’etichetta romana KHA e che porta il titolo di Minuetto - The art of the regal dance, visto che raccoglie ventuno minuetti composti da venti autori (solo a Händel è stato concesso l’onore di averne due: gli altri sono Purcell, Brahms, Giustini, Viñes, Schubert, Albéniz, Bach, Mozart, Beethoven, Rameau, Couperin, Haydn, Krieger, Dussek, Scarlatti, Zipoli, Dvořák, Ravel e Barber). Da quanto afferma una nota della stessa casa discografica, ci sono voluti due anni di lavoro e una ricerca tra centinaia di manoscritti e spartiti per assemblare questa silloge che riesce a sprigionare un indubbio fascino in chi l’ascolta e il cui scopo è di far capire che l’assolutismo incarnato dal Minuetto è senza tempo, come può averlo una cosa che non conosce un inizio e una fine, poiché la perfezione non è riconducibile al mondo del relativo.
Ed ecco perché la scelta di inserire il racconto di Maupassant a mo’ di booklet è molto più importante da quella di scrivere delle dotte e corpose note di accompagnamento, che avrebbero sicuramente potuto fornire maggiori informazioni, ma che non avrebbero mai potuto vantare la magia che il racconto del romanziere naturalista sa infondere in chi lo legge, facendo sì che le parole si possano stemperare idealmente nei suoni distillati in queste ventuno brevi composizioni (si va dai cinquantasei secondi del Minuetto in la minore del divino Purcell ai sei minuti e trentatré secondi del Minuetto in la bemolle maggiore di Dvořák), poiché il Minuetto, se non può essere danzato, quanto meno può essere sperimentato dentro di sé, danzato con il pensiero e con il bagaglio di ricordi personali che è in grado di far miracolosamente emergere in noi stessi. Per questo motivo, questo genere di danza riesce a far trasparire il triste e il comico, ossia il Tutto, poiché nei movimenti aggraziati, rispettosi sempre dell’altro, il suo ritmo interiore è fonte di una pletora di sensazioni che non fanno mai soltanto i conti con il presente, ma soprattutto con il passato che ci sovrasta, la cui somma è data dai nostri ricordi, come quelli con i quali devono fare i conti i due protagonisti del racconto di Maupassant, il decrepito maestro di ballo di Luigi XV e la sua consorte, la vecchia Castris, entrambi figli di un secolo passato e della sua «ombra sdegnata».
E anche chi scrive, mentre stava redigendo questa recensione, non ha potuto fare a meno di danzare dentro di sé, al suono di questi mirabili minuetti, immaginando i due vecchi figli del Settecento, secolo degli automi e delle parrucche incipriate, muoversi armoniosamente nella loro vetusta esistenzialità, magari al suono del Minuetto in sol minore di Händel, arrangiato da Wilhelm Kempff, un coacervo di malinconia e di senso perduto delle cose, quelle che assumono valore quando ormai non ci sono più. Sì, perché il Minuetto spinge a guardare indietro, quando invece il sogno illude a guardare avanti, facendo sì che questa danza, ballata o immaginata, sia in fondo un sogno rappreso, mai divenuto compiuto.
Di fronte alla mole di materiale e alle inevitabili differenze stilistiche, armoniche e di resa timbrica, la bontà del lavoro effettuato da Alessandro Stella (e questo depone anche a favore delle sue qualità di musicologo) si evidenzia nel risultato finale di questo progetto discografico: partendo da Henry Purcell (idilliaco il suo Minuetto in la minore, un emozionante cammeo introduttivo) fino a Samuel Barber, con il suo Minuetto tratto da Themes No. 1, che ha il sapore di un postludio, l’excursus preso in considerazione rappresenta un viaggio musicale/temporale di oltre tre secoli, fatto di delicatezza, di pacata nostalgia, di memoria che assurge a protagonista, un viatico con il quale coloro che ascolteranno questo CD saranno costretti a fare i conti con il proprio bagaglio di ricordi ed emozioni.
In questa deliziosa silloge emergono pagine sublimi come il Minuetto in sol minore tratto dalla Suite in si bemolle maggiore HWV 434 di Händel, il non frequentatissimo Minuetto in sol minore (casomai non si fosse compreso, questa tonalità si presta particolarmente bene con il ritmo interiorizzato di questa danza) BWV 842 di Bach, facente parte di quel trittico con l’opus precedente e quella posteriore del Klavierbüchlein für W.F. Bach, la dolce marzialità espressa dal Minuetto in do diesis minore di Schubert, il reclinare malinconico della sesta variazione in re minore dalle 9 Variazioni su un minuetto da Jean Pierre Duport K.573 di Mozart, la gaia freschezza del Minuetto in sol maggiore WoO 10 n. 2 di Beethoven, l’edulcorata eleganza del Minuetto tratto dalla Suite in sol maggiore di Rameau, il trillare di triste richiamo dato dal Minuetto in sol minore di Couperin, la carezza evocativa del Minuetto in la minore di Krieger, la mirabile costruzione armonica del Tempo di minuetto con moto dalla Sonata in fa minore Op. 77 di Dussek, la liquida geometria del Minuetto dalla Sonata in re minore K.77 di Scarlatti, la cristallina compostezza del Minuetto dalla Suite in re minore di Zipoli, il valzer camuffato da Minuetto decadente di Dvořák, la proverbiale e ironica raffinatezza di Ravel con il suo Menuet sur le nom d’Haydn, fino al già citato Minuetto in sol minore di Händel arrangiato da Kempff (che personalmente considero il brano-archetipo di tutta la raccolta).
Giunto alla fine di questo ascolto, ma sarebbe meglio definirlo viaggio iniziatico, colpisce un fatto: nonostante la differenza stilistica degli autori presi in oggetto, nonostante gli sbalzi temporali, avviene un miracolo, quello che sembrerà di aver ascoltato un brano unico suddiviso in ventun segmenti del tutto autonomi, ma tutti riconducibili a una sola origine, a un unico liquido amniotico capace di generare, di dare vita a molteplici sfaccettature che però si manifestano e mostrano il medesimo DNA creativo, una creatura multiforme che emana una pagina sonora dietro l’altra, come quando si sfoglia un album fotografico carico di ricordi e sapori passati.
Un filo che collega idealmente il senso, il respiro del minuetto con le rarefatte composizioni pianistiche dell’ucraino Valentyn Syl’vestrov è meno azzardato di quanto si possa credere. Al di là delle scontate e ovvie considerazioni che oggi vengono spese nei confronti del musicista ex-sovietico, sovente stucchevoli e banali, a mio parere non si riflette abbastanza sul fatto, e qui sta il suo legame con la dimensione del minuetto come fenomeno sociale e culturale oltre che musicale, come la musica pianistica di Syl’vestrov sia improntata in una concezione “ideologicamente” conservatrice o, quantomeno, conservativa rispetto a determinati sviluppi dei quali si sono persi i connotati creativi e stilistici. Se il minuetto rappresenta all’interno di una composizione un punto fermo, ineludibile, di una stabilità formale, nel suo valore ritmico, rispetto a quanto viene enunciato dagli altri tempi proposti, che rappresentano altrettante forme di danza maggiormente votate a sviluppi meno vincolati, meno rigidi, è altrettanto vero che la progressiva mutazione creativa nella musica del compositore ucraino risulta essere altrettanto “reazionaria”, anche a livello storico, rispetto a una concezione in cui gli elementi sperimentali e avanguardistici della musica sovietica post-brezneviana risultarono predominanti, al limite di un’ubriacatura estetica, frutto però di quell’immobilismo creativo causato dall’epoca culturale dominata e dettata da Andrej Ždanov e durata ben oltre la sua morte, avvenuta nel 1948. Quindi, il minuetto da una parte e il pianismo di Syl’vestrov dall’altra, rappresentano tentativi storici, prima ancora che musicali, il cui obiettivo è di perpetuare qualcosa che rischia di andare perso, di mantenere nel tempo qualcosa che rientra nel campo dell’inattuale, termine questo da intendere anche in chiave nietzschiana. Alla luce di ciò, ascoltare le pagine pianistiche del musicista ucraino contemporaneo è come guardare le evoluzioni danzanti, ora melanconiche, ora commoventi, dei due anziani e decrepiti ballerini nel giardino del Luxembourg, come li racconta l’attonito testimone nella novella di Maupassant.
Ecco perché mi piace pensare che la scelta di Alessandro Stella, la cui sensibilità musicologica non è certo inferiore alla sua sensibilità di interprete, ossia quella di registrare pagine pianistiche di Syl’vestrov, tra cui alcune Bagatelles, sia stata in fondo motivata dal fatto di continuare, sotto altre forme, sotto altre spinte emotive e culturali, quanto enunciato con il suo progetto di Minuetto(è interessante notare come sia quest’ultimo disco, sia Handsome Skies, dedicato per l’appunto al Syl’vestrov pianistico, sempre pubblicato per l’etichetta discografica KHA, siano stati registrati dall’artista romano negli ultimi giorni di giugno del 2017, come a dire che la loro “contemporaneità esecutiva” rappresenti un nucleo omogeneo, nelle intenzioni e nelle finalità, che ha saputo generare due autonome visioni). Non vorrei sembrare altrettanto “inattuale”, ma mi sembra che l’ascolto dell’uno sia necessariamente legato e “prolungato” dall’ascolto dell’altro, in quanto entrambe le incisioni inevitabilmente rappresentano un esempio di “sospensione temporale”, un nucleo musicale la cui dimensione falsamente avulsiva risalti in modo più netto se vengono accomunate in tal senso.
Della variegata produzione pianistica, oltre a tre Bagatelles dell’op. 1 & op. 4, il disco presenta Nostalghia, la cui omonimia sensibile con il film di Andrej Tarkovskij è pari all’importanza semantica che questo termine ricopre nella concezione estetica di Syl’vestrov, tre Waltzes with Postludium op. 3, 4 Pieces op. 2, il Postludium op. 5, Waltz and Two Serenades op. 193 e Melody; un quadro sufficientemente esaustivo per rendere e tratteggiare il pianoforte secondo le intenzioni del musicista ucraino, soprattutto nel delineare quella sospensione timbrica che rappresenta un elemento ineludibile per comprenderlo. Sia ben chiaro, nel suo esasperato semplicismo tecnico, non esiste autore più difficile, se non impossibile da interpretare, di Syl’vestrov, poiché il suo pianismo, il suo rapporto con lo strumento, è una trappola micidiale dalla quale si esce a dir poco sanguinanti se non si comprende che le sue pagine devono essere lette, eseguite con una interiorità espressiva che si deve realizzare prima del gesto fisico. Oltre a ciò, la tastiera deve dimenticarsi di un tempo fisico, oggettivo per abbracciare, per così dire, un tempo bergsoniano, ossia un tempo nel tempo, poiché se l’interprete non riesce a costruirsi questo “micro-tempo interiore” il suono che ne esce è del tutto antitetico alle intenzioni del suo autore, vale a dire viene reso come semplice e bastarda dimensione fisica, un nudo timbro incapace di trasmettere la sua indispensabile complessità e infinitezza metafisica. È come se i due “nostalgici” rappresentanti dell’Ancien régime, descritti magnificamente da Maupassant, avessero voluto esibirsi solo per soddisfare la curiosità del loro stupito spettatore nel giardino parigino e non per reiterare l’essenza, la ritualità di gesti incarnanti un’epoca che continuavano a perpetuare, nonostante il tempo oggettivo, con i loro decrepiti corpi.
Il pianismo di Alessandro Stella è all’insegna di un’eleganza stilistica, del gesto in sé che si cala nella forma da esprimere, qualunque essa sia. Un pianista è elegante quando fa sempre la cosa giusta al momento giusto: la sua eleganza si estrinseca così in una fluidità timbrica, espressiva che è il fluire del tempo eracliteo, in cui ogni goccia d’acqua concorre a formare il corso perenne del fiume. Così è la capacità di restituire la musica in Stella partendo dalle gocce del segno tracciato nella partitura. Solo così si può far comprendere meglio quanto da lui enunciato sia nel progetto discografico del Minuetto, sia nelle pagine di Syl’vestrov; nel primo caso, il pianista romano elargisce con un fraseggio mirato il senso di una danza che però resta sempre miracolosamente implosiva, mai grossolanamente e pacchianamente manifesta, poiché ciò avrebbe involgarito la magica “sospensione” timbrica che deve aleggiare nella resa fisica del gesto pianistico, così come ci dev’essere una forma di “danza interiore” nell’interprete con la quale deve saper costruirsi quel “tempo interiore” senza il quale il pianismo di Syl’vestrov diventa solo un mero esercizio fisico, come una marionetta che scopre di essere tale nel momento stesso che si rende conto di essere alla mercé dei fili che la sorreggono.
Entrambe le prese del suono sono state realizzate da Tommaso Cancellieri, catturando il mirabile timbro di uno Steinway Model D. Se in Minuetto la dinamica rende giustizia alla riproposizione dello strumento, che si viene a trovare idealmente al centro dei diffusori, grazie a un’energia e ad una naturalezza scevra da indebite enfasi, nella registrazione delle pagine di Syl’vestrov il risultato è ulteriormente migliore (mi piacerebbe sapere se ciò è dovuto a una diversa microfonatura), in quanto la resa degli armonici, così fondamentale nella musica del compositore ucraino, viene restituita a livello audiofilo, con un’esemplare decadenza. In entrambi i lavori, infine, sia l’equilibrio tonale, sia il dettaglio sono di ottima fattura, il primo è capace di mantenere un rispetto costante dei registri, sempre conchiusi e riconoscibili, il secondo trasudante matericità, tale da rendere più piacevole e fedele l’esperienza di ascolto.
Andrea Bedetti
AA.VV. – Minuetto - The art of the regal dance
Alessandro Stella (pianoforte)
CD KHA 017
Giudizio artistico 4,5/5 Valentyn Syl’vestrov – Handsome Skies Alessandro Stella (pianoforte) CD KHA 019 Giudizio artistico 4,5/5
Giudizio tecnico 4/5
Giudizio tecnico 4,5/5