Ho ascoltato di recente l’ultima fatica discografica di Maria Grazia Amoruso, la pianista-organista genovese che conta al suo attivo già diverse incisioni con le quali ha indagato il mondo pianistico di Beethoven, Chopin, Debussy e Schubert. Il suo nome viene accostato da molti al suo maestro Giorgio Questa, organista e figura poliedrica (fu anche ingegnere presso l’Ansaldo di Genova), musicista appassionato e singolare, noto tra i cultori di musica organaria in quanto molti anni fa fu probabilmente il primo interprete a costruirsi da solo un organo portativo interamente in legno, che smontava e rimontava in occasione di ogni suo concerto. Ma se è vero che Maria Grazia Amoruso molto deve al suo maestro nella sua formazione, è altrettanto vero che in questo disco, dedicato ad alcune pagine schubertiane, la giovane interprete dimostra di essere sé stessa, volendo fissare indelebilmente un’interpretazione del tutto personale, addirittura intimistica, quasi fosse un rapporto d’amore con lo stesso Schubert in nome di un motto che potrebbe essere “Amo ciò che suono”.

Ecco che ne esce un’interpretazione pulita, essenziale, attraente, a volte incantevole e allo stesso tempo ricca di quei contrasti che sono così caratteristici della musica romantica e della personalità dello stesso Schubert, un animo dotato di profonda sensibilità, pronto a improvvisi mutamenti temperamentali. Dopo un ascolto attento  dei Six Moments Musicaux D. 780, si può affermare che dall’esecuzione dell’artista genovese ne viene fuori una lettura a tratti entusiasmante, oltre a una scorrevole discorsività che sembra non aver mai fine, capace di procedere di pagina in pagina sempre con molta musicalità, interrotta qua e là da singoli sentimenti violenti pronti a calmarsi subitamente, tutte indicazioni interpretative che risultano essere ancora oggi insostituibili per capire il messaggio, apparentemente semplice, della musica di Schubert, ma che in realtà è chiamata a incarnare il senso di smarrimento dell’uomo moderno.

Non è certo la prima volta che Maria Grazia Amoruso affronta un’opera così impegnativa come lo è in effetti la grande sonata in do minore D.958 ed è doveroso ricordare che questa talentuosa artista ligure, oltre alle incisioni dedicate a Beethoven, Chopin, Brahms, Schumann, Fauré e Debussy, ha fatto registrazioni nelle quali si è esibita con il famoso organo di Giorgio Questa, che ha ricevuto in eredità dal maestro. Questa ennesima fatica discografica, che avrebbe potuto apparire rischiosa, non dev’essere letta però nemmeno come una sfida, bensì come il desiderio di coronare un sogno, quello di far rivivere l’anima, l’afflato di un compositore tra i suoi più amati. Ecco, allora, che l’esecuzione della Sonata D.958 proposta da Maria Grazia Amoruso risulta essere straordinaria, pulita, attenta e, allo stesso tempo, brillante, con il secondo movimento molto intimistico, dove emerge bene il contrasto tra i due temi. Il terzo tempo, nella forma tipica del Rondò, spicca nella variazione tonale degli episodi, mentre nel finale, su un ritmo di tarantella, risaltano le qualità virtuosistiche della giovane pianista, mettendo in evidenza nei continui cambi un ritmo incalzante del tema ricorrente dal respiro affannoso, ricollegando così, con coerenza, l’ultimo tempo all’impostazione del movimento iniziale.

La registrazione live è di ottima fattura, con una dinamica pulita e precisa, mentre il palcoscenico sonoro riesce a ricreare l’evento sonoro dal vivo, esaltando il meraviglioso timbro del pianoforte Steinway appartenuto al leggendario Mieczyslaw Horszowski, il pianista polacco naturalizzato statunitense scomparso nel 1993, che fu in un certo senso anche un po’ genovese, avendo sposato a 89 anni la pianista Bice Costa, nata proprio nel capoluogo ligure.

Claudio Rigon

Franz Schubert – Six moments musicaux D.780-Piano Sonata in C minor D.958

Maria Grazia Amoruso (pianoforte)

CD Zecchini editore CD 0047

Giudizio artistico 5/5

Giudizio tecnico 4/5