Il musicista ed etnomusicologo veneto, tra i fondatori dell’ensemble Calicanto, ci racconta in questa intervista come è nata la passione per gli strumenti della cultura rurale e ancestrale, dei quali è diventato uno dei maggiori esperti a livello internazionale, oltre che un entusiasta collezionista
Maestro Tombesi, quando ha cominciato a raccogliere gli strumenti che fanno parte della sua collezione e, attualmente, quanti sono?
Devo confessare che all’inizio non c’era nessun intento di mettere insieme una collezione. Tutto partì come passione, inizialmente per gli strumenti a corda. Chitarre, mandolini, liuti, cetre, erano gli strumenti che agli inizi degli anni ’80 mi appassionavano e ai quali ho dedicato parecchio studio anche dal punto di vista della liuteria. Successivamente, quando decisi che l’organetto (strumento a mantice antenato della fisarmonica che suonava mio nonno) sarebbe diventato il mio strumento principale, mi sono dedicato anima e corpo alla sua rivalutazione, studiando e raccogliendo altri strumenti della famiglia quali armoniche a bocca, concertine, fisarmoniche, armonium e bandoneon. In seguito, con la nascita del gruppo Calicanto e le conseguenti tournée in giro per il mondo, ho potuto conoscere e apprezzare strumenti di altre culture, e da lì il desiderio di impararli almeno nelle loro strutture essenziali, come si impara una lingua e la cultura che ci sta dietro. Ricordo che negli anni ’80 e ‘90 ad ogni tournée tornavo a casa con qualche nuovo oggetto sonoro e così senza una precisa consapevolezza e una logica da collezionista, dopo quarant’anni mi sono ritrovato con una raccolta sicuramente significativa che oggi conta oltre 250 strumenti.
Come avviene la ricerca di questi strumenti? Viene condotta direttamente sul campo o si avvale di cittadini privati o di istituzioni che li mettono a disposizione?
Come dicevo la ricerca è maturata all’inizio degli anni ’80 quando, con gli amici di Calicanto, abbiamo cominciato a intervistare gli anziani per raccogliere, canzoni, danze e musiche della tradizione veneta, istriana e dalmata. Così facendo siamo venuti a contatto con anziani violinisti, mandolinisti, formidabili direttori e suonatori di banda o di orchestrine da ballo che ci hanno fatto conoscere un vero patrimonio strumentale. Succede poi che dei privati, che magari ci hanno visto in concerto o in qualche conferenza, ci prestino e a volte ci regalino qualche strumento appartenuto ai parenti nell’intento che con le nostre mostre e seminari possano tornare utili alle nuove generazioni. Alcuni strumenti inoltre sono stati da noi commissionati a ottimi liutai interessati a questo tipo di ricerche per essere utilizzati in una nuova registrazione discografica o in un nuovo spettacolo o concerto di Calicanto. È il caso di strumenti ricostruiti su nostre indicazioni come la chitarra battente, il mandoloncello, il dulcimer o vari tipi di organetti (magnifici quelli della ditta Castagnari di Recanati).
Quali sono gli esemplari più rari e particolari, quelli a cui è maggiormente affezionato, magari perché dietro c’è una storia che merita di essere raccontata?
Tengo a sottolineare che ho sempre avuto particolare attenzione non tanto per gli strumenti “preziosi”, ma per quelli con forte connotazione antropologica che tracciano la storia del suono dall’antichità come le conchiglie, i corni, le cornamuse o le varie percussioni spesso usate come richiami o segnali. In questo senso, pur avendo una affezione particolare per un bel liuto comperato tanti anni fa a Portobello Road a Londra con i soldi dei primi concertini, conservo gelosamente uno strumento (una sorta di tamburo a frizione oggi pressoché scomparso) della tradizione cimbra dell’alto vicentino chiamato “rekubele” e donatomi nel 1997 da un anziano di Valli del Pasubio.
Quanto può essere debitrice la musica colta, quella comunemente definita classica, degli strumenti che appartengono alla tradizione popolare?
Moltissimo. Gran parte gli strumenti, prima di essere perfezionati organologicamente e anche esteticamente da mani sapienti, nascono in ambiti popolari per esigenze e ritualità primarie: la caccia, la comunicazione tra vallate o imbarcazioni, l’invocazione della pioggia, la festa. Durante gli incontri con le scolaresche racconto spesso (suonando), che le trombe nascono dall’evoluzione di corni animali opportunamente sagomati, ma che la tecnica di emissione del suono è rimasta la stessa da secoli: questo è davvero sorprendente e affascina.
Un’ultima domanda: dopo quarant’anni di attività, fatta di registrazioni discografiche, di concerti e di diffusione della musica popolare, quali sono i prossimi obiettivi dell’ensemble Calicanto, del quale lei è stato tra i fondatori?
Nonostante tutte le difficoltà di questo periodo stiamo festeggiando i nostri quarant’anni di attività con vari concerti e diverse iniziative culturali. La mostra di strumenti musicali inaugurata l’11 dicembre e il concerto che terremo il 28 dicembre, sempre al Museo Mac di Teolo, sono alcune di queste. Per almeno un altro paio di mesi credo resteremo concentrati su queste iniziative che ci consentono di guardarci indietro e godere di tutto l’immenso lavoro compiuto fin qui per la rivalutazione della musica e della cultura popolare veneta e nord adriatica. Per il futuro ci sarebbe l’ambizione di lavorare su qualche progetto musicale dedicato a Padova, magari per gli ottocento anni dell’università o per le pitture dell’Urbis Picta. A livello personale sono poi coinvolto in un progetto artistico con Corrado Corradi e Rachele Colombo che sia chiama “Passeggeri”, volto a ricordare la figura della grande attrice Adelaide Ristori di cui nel prossimo gennaio si ricorderanno i 200 anni dalla nascita.
Andrea Bedetti