Disco del mese di Aprile 2023 

Che il Romanticismo musicale europeo abbia saputo sfruttare in modo esplosivo le peculiarità e le potenzialità del genere cameristico del pianoforte a quattro mani è cosa risaputa anche dai sassi più ostinati in fatto di comprendonio. Lo sfruttamento totale della tastiera compiuto da due interpreti permise infatti di esplorare contemporaneamente tutte le sonorità dello strumento principe dell’Ottocento, permettendo di fatto non solo di comporre appositamente opere in tal senso, ma anche di rielaborare e di trascrivere brillantemente riduzioni di capolavori sinfonici e orchestrali. E ciò valse sia per la musica occidentale, in particolar modo nei Paesi di lingua germanica (la pratica della Hausmusik fu indubbiamente un ottimo viatico), sia per quella orientale, focalizzata nella grande scuola russa.

La cover del CD La Bottega Discantica con la versione per pianoforte a quattro mani di Shéhérazade e de Lo Schiaccianoci.

Questa peculiarità, condivisa sia dalla tradizione musicale occidentale, sia da quella della scuola russa, viene esemplarmente evidenziata da due progetti discografici, entrambi pubblicati dall’etichetta La Bottega Discantica, che vedono il duo pianistico Tiziana Moneta e Gabriele Rota eseguire nel primo disco la trascrizione per pianoforte a quattro mani della Suite sinfonica Shéhérazade di Nikolaj Rimskij-Korsakov e la Suite tratta dal balletto Lo schiaccianoci di Pëtr Il’ič Čajkovskij e nel secondo la Serenata in re maggiore op. 11 e Souvenir de la Russie di Johannes Brahms.

È risaputo come i compositori della scuola nazionale russa, fatta eccezione per Modest Musorgskij, fecero ampio uso del cosiddetto “orientalismo” per evidenziare le loro specificità stilistiche e d’intento rispetto ai colleghi dell’Europa occidentale, ma per Nikolaj Rimskij-Korsakov il concetto dell’esotismo rappresentò una componente a dir poco indispensabile, in quanto l’Oriente pittoresco e meraviglioso fu un humus ideale per confezionare al meglio le magie del suo impianto armonico e per arricchire prodigiosamente la sua leggendaria orchestrazione. E ciò appare ancor più straordinario, se si pensa che il compositore di Tichvin almeno per la prima metà della sua vita fu un musicista del tutto amatoriale, poiché destinato, secondo le tradizioni di famiglia, alla carriera di ufficiale di marina. Solo intorno ai trent’anni decise di mettersi a studiare seriamente la composizione, applicandosi alla Guida allo studio pratico dell’armonia scritta da Čajkovskij, oltre ai classici trattati di contrappunto di Luigi Cherubini (Cours de Contrepoint et de Fugue) e di Johann Gottfried Heinrich Bellermann (Der Contrapunkt), con il preciso obiettivo di comporre decine di Fughe come esercizio a dir poco indispensabile per impadronirsi della materia musicale. Un altro aspetto da non sottovalutare è che quando Rimskij-Korsakov fu nominato Ispettore delle Bande Musicali della Flotta del Mar Nero (sic), ne approfittò per approfondire la meccanica e la tecnica degli strumenti a fiato, scoprendone così tutte le potenzialità più recondite che seppe poi mettere in pratica esaltando questa sezione orchestrale come prima non era stato fatto. Solo grazie a questo studio accanito e sistematico l’ufficiale di marina seppe trasformarsi in uno dei musicisti tecnicamente più preparati e visionari della sua epoca.

in questa rara foto del 1908, da sinistra a destra: Igor Stravinskij, Nikolaj Rimskij-Korsakov, sua figlia Nadezhda Rimskaja-Korsakova con il fidanzato Maximilian Steinberg, ed Ekaterina Stravinskaja, nata Nosenko, la prima moglie di Stravinskij.

Una preparazione e una visionarietà che si concretizzarono in quello che viene giustamente ritenuto il capolavoro sinfonico del compositore russo, ossia la Suite (ma sarebbe più corretto definirlo poema sinfonico) Shéhérazade op. 35, composta nel 1888 e presentata in pubblico il 9 novembre di quell’anno, diretta dallo stesso Rimskij-Korsakov. Attingendo dall’infinito serbatoio di fiabe arabe rappresentato dalle Mille e una notte (grazie all’arabista francese Jean-Antoine Galland, che le trasse da un dimenticato manoscritto trovato in una biblioteca araba e integrate da altre favole elaborate dalla tradizione orale locale), la Suite, più che raccontare, punta a evidenziare l’atmosfera fatta di colori, sfumature, immagini opulenti e fantastiche, in nome di uno stile compositivo che è maggiormente elaborazione della materia sonora (non per nulla, lo stesso Rimskij-Korsakov amava ripetere che «Il popolo compone, noi ci accontentiamo di elaborare»).

Fu poi lo stesso autore, dopo il clamoroso successo ottenuto con la versione orchestrale, a elaborarne un’altra per pianoforte a quattro mani che fu pubblicata per la prima volta dal musicista ed editore Mitrofan Petrovič Beljaev nel 1889 (un ennesimo artista che si consacrò alla musica dopo aver fatto per trent’anni ben altro, ossia il commerciante di legname), anche se si ignora a tutt’oggi dove venga conservato il manoscritto (l’edizione moderna si basa su una copia a stampa, curata a suo tempo dallo stesso Beljaev, che risale al 1956).

Il compositore Eduard Leopoldovich Langer.

Se la trascrizione di Shéhérazade non mi convince per i motivi che vado adesso a spiegare, la stessa cosa invece non può essere affermata per quanto riguarda quella che fu fatta da un allievo dello stesso Čajkovskij, Eduard Leopoldovich Langer, dalla partitura de Lo Schiaccianoci. Non è che Rimskij-Korsakov sia stato inferiore come trascrittore rispetto alla sua straordinaria capacità di orchestratore, ma è indubbio che a livello di riduzione nella versione per pianoforte a quattro mani la partitura di Shéhérazade pone alcuni problemi; il primo è che la lussureggiante tessitura data da un organico non indifferente (per la precisione, ottavino, due flauti, due oboi, corno inglese, due clarinetti, due fagotti, quattro corni, due trombe, tre tromboni, basso tuba, timpani, tamburo, grancassa, tamburello, arpa, archi) non può essere facilmente “liofilizzata” in una riduzione che non permette di restituire le tantissime sfumature, gli sbalzi timbrici, le atmosfere sospese e le frustate dei fff, così come i passaggi dalle stasi alle riprese, che se in una versione orchestrale non penalizza l’andamento agogico, nella trascrizione pianistica, anche a quattro mani, tende al contrario a una resa che fa parzialmente svanire la magia della composizione, oltre a manifestare degli “ingolfamenti” timbrici, soprattutto nel corso della quarta e ultima parte, la quale condensa passaggi alquanto convulsi, che vengono gestiti assai bene tra le varie sezioni dell’orchestra, ma che quattro mani sulla tastiera faticano a ripercorre idealmente.

Il processo di “liofilizzazione” che avviene invece nella trascrizione effettuata da Langer sulla partitura de Lo Schiaccianoci non soffre di alcun squilibrio, con la materia musicale che viene puntualmente restituita nella sua brillantezza e nei tanti, tantissimi colori che l’arricchiscono. Certo, qui il compito trascrittivo viene facilitato da una maggiore “ortodossia” ritmica, da una naturale fluidità delle sonorità enunciate dalle danze (la presenza, in tal senso, della celesta nella versione originale orchestrale è una manna per esaltare il suo timbro attraverso la tastiera pianistica). Questo risultato viene ottenuto con esiti felici grazie alla presenza di quattro mani che riescono a gestire compiutamente il fitto e raffinato ordito, cosa che invece con la presenza di un solo pianista può risultare più arduo (non è un mistero che uno degli allievi prediletti di Čajkovskij, Sergej Taneev, fece una riduzione per pianoforte della partitura, ma il suo illustre maestro non la ritenne idonea in quanto di ardua esecuzione, oltre a risultare melodicamente carente rispetto all’originale).

La cover del CD La Bottega Discantica con la versione per pianoforte a quattro mani della Serenata op. 11 e Souvenir de la Russie di Brahms.

Un altro autore che non solo era solito dare del tu al lavoro trascrittivo, ma che fece della trascrizione un punto fermo della sua visione musicale, fu il sommo Johannes Brahms. E l’atto di omaggio, in tale veste, che il duo Moneta & Rota ha voluto dedicare al grande amburghese riguarda la trascrizione della Serenata op. 11 e, aspetto ancor più importante e meritevole di attenzione, la presenza di una rarissima pagina giovanile, Souvenir de la Russie. La prima delle due Serenate, concepite entrambe per orchestra, rappresenta il tipico esempio di come l’approccio compositivo brahmsiano sia stato fondamentalmente basato sul concetto stilistico ed esplorativo della ri-proposizione, vale a dire di prendere in considerazione nell’opera creativa un genere, un costrutto, una tradizione musicale del passato rielaborandola alla luce delle necessità e delle peculiarità estetiche presenti nell’epoca in cui l’autore visse. Nel caso specifico della Serenata op. 11, Brahms volle riprendere e adattare il genere della cosiddetta “musica d'intrattenimento”, che proprio all’inizio dell’Ottocento mutò pelle e caratteristiche, sostituendo di fatto il genere del Divertimento, della Serenata, del Notturno, della Cassazione, che ebbero il loro periodo d’oro durante il classicismo viennese, con quello delle Marce, delle Scozzesi, dei Ländler. Quando il compositore anseatico decise di affrontare per la prima volta, a ventiquattro anni, il repertorio orchestrale, puntò la propria attenzione proprio sul genere della Serenata, da lui considerata non più come pagina da comporre per ricordare una festa o una circostanza da celebrare, bensì con il preciso obiettivo di ripensarne il quadro estetico privato della sua funzione originaria: una forma svuotata dalle caratteristiche del suo tempo e riempita con le prerogative di una sensibilità compositiva che, a più di mezzo secolo di distanza, era del tutto mutata nella sua essenza. Il pubblico che assistette alla prima, avvenuta nel marzo 1859, colse gli obiettivi prefissati e accettò la Serenata con entusiasmo, spingendo così il giovane Brahms, a trascriverne la versione orchestrale in quella per pianoforte a quattro mani, cosa che fece l’anno successivo, con il preciso intento di modificare ulteriormente la resa timbrica della materia musicale di una propria opera, come poi avvenne tantissime altre volte, riducendo partiture orchestrale e cameristiche delle proprie composizioni nella versione per pianoforte a quattro mani, nel quale riconobbe fin da subito il suo ideale per poter esprimere quel concetto tipicamente “nordico” (quindi, non solo tedesco) di Hausmusik.

In questa foto del 1855, Johannes Brahms (seduto) e Joseph Joachim, il quale diresse la prima assoluta della Serenata op. 11 nella versione orchestrale il 3 marzo 1860.

Per ciò che riguarda, invece, Souvenir de la Russie, autentica rarità giovanile del nostro, la genesi di quest’opera per pianoforte a quattro mani la si deve a un editore musicale amburghese, August Cranz, il quale commissionò al diciassettenne Brahms degli arrangiamenti di melodie operistiche alla moda per pianoforte a quattro mani, che vennero poi pubblicati non con il nome e il cognome del loro autore, ma con lo pseudonimo di G.W. Marks. Tutti questi arrangiamenti, nel tempo, sono andati purtroppo perduti, tranne uno, per l’appunto Souvenir de la Russie, anche se a lungo la sua autenticità è stata messa in dubbio. Ora, però, non sembrano esserci più dubbi, anche perché una copia della serie completa di queste sei Fantasie fu ritrovata, alla morte di Brahms, nella sua biblioteca personale (questa copia è attualmente conservata negli archivi della Gesellschaft der Musikfreunde a Vienna). Nella versione pubblicata fu presentata come Trascrizioni in forma di fantasia su arie russe e canti bohémiens, per pianoforte a quattro mani, con la suite iniziale che presenta una citazione della Marcia Rákoczy, cui segue l’inno nazionale russo adottato ai tempi dello zar, composto da Alexis Lvov nel 1833, dal carattere spiccatamente trionfante. Sopra Il ramo, una canzonetta scritta da Fëdor Ivanovič Tjutčev, il giovanissimo Brahms si abbandonò alla creazione di quattro variazioni, un procedimento compositivo del quale divenne maestro assoluto nella seconda metà del secolo. Segue la romanza Non svegliarla all’alba ripresa da un componimento per voce e pianoforte di Aleksandr Egorovič Varlamov, che rimanda alla futura struttura delle sue Ventuno Danze ungheresi sempre per pianoforte a quattro mani. Il quarto brano è un’altra romanza, L’usignolo, la più famosa scritta da Alexander Alyabiev e resa celebre da Franz Liszt nella versione pianistica. Segue il brano C’è un grande villaggio laggiù sulla strada, di cui non si conosce l’autore del testo poetico e che rimanda, quasi in una prefigurazione futura, alle tipiche atmosfere trasfigurate di Antonín Dvořák. Infine, l’ultimo pezzo, La treccia, conclude con brillantezza questa suite troppo a lungo dimenticata.

Tiziana Moneta e Gabriele Rota formano un duo pianistico consolidato che ha permesso loro di affrontare, anche nel campo discografico, diversi autori nel repertorio del pianoforte a quattro mani (la loro discografia spazia da Ravel a Debussy, da Smetana a Dvořák, da Mendelssohn a Schumann, da Grieg a Fellegara, da Respighi a Stravinskij); io partirei proprio da tale fatto, ossia da questo livello assoluto di affiatamento con il quale restituire le visioni musicali di autori così diversi e le cui peculiarità tecniche ed espressive differiscono in modo profondo e articolato. Un esempio perfetto in tal senso è dato proprio dal loro Rimskij-Korsakov, per via delle innumerevoli trappole agogiche delle quali è disseminato e che impone di conseguenza una lettura la cui trasposizione dall’impianto originale non deve forzatamente tramutare il macro in micro, vale a dire condensare l’opulenta orchestrazione illudendosi si riprodurla con le fattezze della tastiera pianistica, ma esaltando, laddove la partitura lo permette, sonorità che sono esclusivamente pensate per questo strumento. Da qui, la ricerca di una squisita espressività data da una raffinatezza timbrica che si estrinseca fin dal primo movimento nel registro acuto, creando quindi un equilibrio formale e sonoro sul quale basarsi costantemente nel corso dell’opera e che rappresenta un benefico “salvacondotto” per affrontare e dipanare il momento più ostico dell’intera composizione, ossia l’ultimo, caotico, agogicamente impervio tempo, nel quale i passaggi da ppp a fff si fanno repentini, improvvisi, e che devono essere letteralmente domati e conformati all’interno di un’arcata generale che abbia un senso e una prospettiva di racconto, formato da continue immagini che si sovrappongono le une sulle altre, rese anche dal variare fremente dei piani ritmici. Ebbene, la disciplina formale che il nostro duo riesce a sprigionare è pari alla forza dell’espressività del suono ottenuto, in nome di un necessario compromesso dell’equilibrio proiettato da questi due piani cartesiani, come raramente mi è stato dato modo di ascoltare e apprezzare.

Gabriele Rota e Tiziana Moneta, protagonisti di queste due registrazioni discografiche.

Questa raffinatezza di suono, questo supremo equilibrio ritmico poi trovano perfetta istanza in Čajkovskij, che sotto le loro dita assume realmente un contesto “fiabesco”, nel senso che nella costruzione ritmica delle danze che si alternano si avverte sempre un sentore sfumato, una sofficità che impermeabilizza la dimensione timbrica, facendo sì che l’ascoltatore, quello attento ovviamente, possa percepire la scomparsa di ogni richiamo votato alla realtà e proiettandolo di fatto in una sfera magica (il dominio dei mezzi toni è dato proprio da questa delicata vaporosità che evita al senso ritmico di apparire fin troppo ossessivo nel suo realizzarsi). Infine, Brahms: quello proposto dal duo Moneta & Rota è un omaggio a una forma che non è mai rigida, squadrata, una Torre di Babele che si innalza sterilmente blocco di pietra dopo blocco di pietra, ma che restituisce un’innata “cantabilità” la quale, d’altronde, nel concetto di Serenata non deve venire mai meno; semmai, la forma che il nostro duo erige nel corso dei sei tempi si trasforma in un’incessante ricerca, in un’esplorazione attraverso la quale si materializza quel processo di costruzione settoriale che il Brahms maturo ergerà a proprio altare compositivo, davanti al quale inginocchiarsi per ottenere quelle straordinarie scintille di genialità creativa. Inoltre, anche in questo caso, la fissità di una forma sciaguratamente passiva viene aggirata dalla capacità, da parte dei due interpreti, di scioglierla, di decodificarla in una libertà sottilmente controllata, in un affiorare continuo di elementi sonori che si atteggiano a passi di danza, una geometria poetica capace di cancellare, all’ascolto, le inesorabili leggi armoniche che la impregnano.

Disco del mese di Aprile di MusicVoice.

Entrambe le prese del suono sono state effettuate da Renato Campajola e Mario Bertodo e denotano un’ottima qualità equamente distribuita nei quattro parametri; la dinamica ottenuta esalta sia la velocità dei transienti, sia una corposità energica tale da mettere in risalto i numerosi passaggi in ppp senza perdere in naturalezza e nella messa a fuoco della resa timbrica. Il palcoscenico sonoro ricostruisce il pianoforte e il duo al centro dei diffusori, scolpiti a una discreta profondità, permettendo altresì l’irradiarsi del suono sia in altezza che in ampiezza. E se l’equilibrio tonale risulta sempre essere oltremodo rispettoso del registro medio-grave, così come di quello acuto, in modo che non si sovrappongano mai grazie a un provvidenziale scontorno, il dettaglio evidenzia la fisicità dello Steinway Gran Coda, con una confortante dose di nero che lo circonda.

Andrea Bedetti

Rimsky-Korsakov – Tchaikovsky – Sheherazade-The Nutcracker

Tiziana Moneta & Gabriele Rota (pianoforte)

CD La Bottega Discantica - Discantica 315

Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 4,5/5

Johannes Brahms – Serenade in D Major op. 11 – Souvenir de la Russie

Tiziana Moneta & Gabriele Rota (pianoforte)

CD La Bottega Discantica - Discantica 323

Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 4,5/5