L’arte della trascrizione musicale tra i suoi indubbi pregi ha quello, decisamente affascinante, di poter ricreare uno spazio sonoro partendo da un contesto macrocosmico, rappresentato da una composizione orchestrale o di vaste proporzioni, ad uno microcosmico, dato da una struttura strumentale più ridotta, per così dire “liofilizzata”. Ed è anche vero che tale arte si applica benissimo con i lavori musicali che appartengono all’epoca barocca, ossia in un periodo che vede l’espressività sonora strutturata su principi “matematici”, tali da permettere, rispettando le “formule” e le “equazioni” armoniche, una resa ideale nel passaggio tra il macrocosmo originario al microcosmo derivato dalla trascrizione.
Un esempio di tale prerogativa tra macro e micro fornito dalla trascrizione è dato da un disco, a dire il vero non recentissimo, registrato dal duo Angelo Cavallo alla tromba e Michele Fontana all’organo, che presenta sotto il titolo di Italian Baroque Concertos, pubblicato dall’etichetta Fluente Records, trascrizioni per tale organico cameristico (tenuto conto che al posto dell’organo storico presente nella Chiesa di San Zeno in Santa Maria Assunta di Cerea, in provincia di Verona, impiegato da Fontana si potrebbe usare tranquillamente anche un organo portativo) di tre concerti barocchi, più precisamente il celeberrimo Concerto per oboe in re minore di Alessandro Marcello, il Concerto per violino in mi maggiore D 53 di Giuseppe Tartini e il Concerto in re maggiore di Giuseppe Torelli, oltre all’adattamento per solo organo dei Concerti in re maggiore BWV 972 e in do maggiore BWV 976 per clavicembalo di Johann Sebastian Bach, trascritti a loro volta dai concerti originali che Antonio Vivaldi compose per il suo Estro Armonico, testimonianza inoppugnabile del grande interesse e del sommo rispetto che il Kantor ebbe soprattutto per la musica della scuola veneziana di inizio Settecento.
Non per nulla, del Concerto per oboe in re minore di Alessandro Marcello abbiamo la prima testimonianza proprio dal manoscritto contenente l’arrangiamento per tastiera da parte di Bach nell’opera BWV 974, che risale al 1715 circa, mentre le prime fonti della partitura per oboe, archi e continuo risalgono al 1717, quando fu stampata ad Amsterdam, con il vero nome del compositore veneziano, il quale al contrario amava quasi sempre firmare le sue creazioni con lo pseudonimo di Eterio Stinfalico. È interessante notare come la trascrizione manualiter fatta da Bach di questo concerto marcelliano non sia basata sull’edizione stampata ad Amsterdam, ma su una versione manoscritta, andata poi perduta, che circolava precedentemente. Inoltre, è anche vero che se il manoscritto autografo bachiano è andato anch’esso perduto, a noi è giunta la copia redatta dal cugino di secondo grado del Kantor, Johann Bernhard Bach, che lo fece intorno al 1715 (il che fa supporre che Bach elaborò la sua trascrizione tra il 1713 e il 1714).
L’asse Torelli - Tartini già di per sé risulta essere un ottimo esempio per comprendere l’evoluzione del genere concertistico nella primissima parte del XVIII secolo, in quanto se il primo fu artefice dello sviluppo della tromba e del suo utilizzo, soprattutto in chiave concertante e liturgica, il secondo seppe perfezionare, nell’ambito del concerto violinistico, l’uso dell’ornamentazione, dell’abbellimento, inserendo il contesto virtuosistico all’interno dell’eloquio melodico, eliminando di fatto la frattura netta data dall’alternanza tra sezione tematica, con relativo sviluppo, e quella di esclusiva bravura, esaltata dalle capacità tecniche dell’interprete. Nel caso specifico della registrazione in questione, il Concerto in mi maggiore per violino tartiniano, oltre alla trasposizione nella chiave di re maggiore fatta da Michel Rondeau, vede l’utilizzo da parte di Angelo Cavallo di un trombino in si bemolle acuto, capace di raggiungere un’ottava superiore rispetto alla comune tromba in si bemolle, per poter rendere in modo più agevole il registro acuto del violino.
Nel periodo trascorso a Weimar (tra il 1708 e il 1717) Bach arrangiò per clavicembalo diversi concerti di compositori veneziani, la maggior parte dei quali di Antonio Vivaldi. Questa opportunità gli venne offerta dal principe Johann Ernst di Sassonia-Weimar che nel luglio 1713 tornò dai Paesi Bassi con diverse composizioni di maestri italiani. Siccome la raccolta vivaldiana dell’Estro Armonico op. 3 era stata pubblicata ad Amsterdam due anni prima, non c’è motivo di dubitare sul fatto che il principe donò a Bach anche una copia di tale edizione, contenente dodici concerti, tre dei quali furono trasposti da Bach per il clavicembalo (esattamente il Concerto n. 1 in re maggiore BWV 972 dal n. 7 RV567, il Concerto n. 5 in do maggiore BWV 976 dal n. 12 RV265 e il Concerto n. 7 in fa maggiore BWV 978 dal n. 3 RV310). I due concerti vivaldiani dai quali Bach trascrisse in seguito la versione per clavicembalo rappresentano delle composizioni tipiche nel loro genere. Il Concerto in fa maggiore per quattro violini, violoncello, archi e basso continuo, op. 3 n. 7 RV567 vanta un respiro di ampie proporzioni, che rimanda alla tradizione concertistica händeliana, con i quattro violini che si staccano dall’eloquio dato dal violoncello e che procedono non insieme, ma sfruttando sovente un andamento individuale, mentre il Concerto in mi maggiore per violino, archi e basso continuo, op. 3 n. 12 RV265 si caratterizza per un piano espressivo che rappresenta il cuore del Settecento musicale veneziano, con un’evidente presenza, nel primo tempo veloce, di due contrapposte sonorità, date dalla sfera del “forte” e da quella del “piano” e con il tempo lento, un sentimentale Largo, che dispiega tutta la sua cantabilità.
Se Bach rimase affascinato da questi concerti vivaldiani, è altrettanto vero che la sua capacità di racchiudere tutte le strutture portanti di entrambe le pagine all’interno della tastiera del clavicembalo è altrettanto mirabile. E il passaggio da clavicembalo a organo, fatto da Michele Fontana, è allo stesso tempo valido ed efficace. Mi piace pensare che la scelta dello strumento, l’organo che si trova nella Chiesa di San Zeno in Santa Maria Assunta di Cerea, costruito nel 1875 da Giovanni Battista De Lorenzi, dotato di un manuale e posto nella cantoria, addossato alla parte di controfacciata della chiesa, sia stato scelto da Fontana non tanto per una questione di comodità logistica, quanto per le qualità timbriche e sonore, in cui primeggia quella di un’alta cantabilità. Questo perché l’esaltazione della linea melodica di entrambi i Concerti è fondamentale per la loro resa, oltre a far trasparire i giochi di contrasti tanto cari al Prete rosso e ribaditi nella geniale trascrizione fatta dal Kantor. Questo si evince soprattutto dalla tenuta del suono nel registro medio-basso che contraddistingue i due tempi lenti dei Concerti in chiave bachiana, che devono saper trasmettere la profondità del timbro grave senza svilire la dolcezza melodica (quello del concerto BWV 972 è semplicemente emozionante). Il respiro che Michele Fontana riesce a esprimere nella lettura di queste due pagine restituisce pienamente non solo la maestosità della loro struttura (cosa che con un organo può apparire scontata), ma anche, cosa più importante, il dovuto senso ritmico, l’incedere della costruzione che governa i due Concerti (si ascolti, a tale proposito, l’Allegro del BWV 976 in cui l’obbligo di servirsi di un solo manuale impone quasi un approccio “pianistico” per la resa del piano sonoro dato, come si è accennato sopra, dal “forte” e dal “piano”).
Lo stesso elevato grado di lettura si presenta anche nei concerti di Marcello, Tartini e Torelli, dove interviene la tromba di Angelo Cavallo. L’interpretazione di quest’ultimo si pone su un livello di altissima espressività senza tradire mai la traccia formale dell’eloquio (ciò significa che non si lascia mai prendere la mano nei momenti in cui il virtuosismo la fa da padrone); anche qui la cantabilità della melodia (e non potrebbe essere altrimenti) fa in modo che i due interpreti riescano a imbastire un incalzante dialogo che non mostra mai attimi di stanchezza o di cedevolezza, anche grazie a un senso ritmico che non viene mai meno (si prendano come esempio l’Allegro moderato del Concerto tartiniano, reso sempre con un piglio che non mostra crepe, e l’Allegro grazioso finale). Anche l’intonazione che Angelo Cavallo evidenzia è di pregevole fattura, capace di superare i passaggi più ostici senza mostrare alcuna fatica nell’emissione timbrica (come accade, esemplarmente, nella cadenza del già citato Allegro grazioso tartiniano).
La presa del suono è stata effettuata dallo stesso Michele Fontana, il quale è anche un valente ingegnere del suono, con risultati ottimi. La dinamica è rocciosa, velocissima sia nel rendere la tromba, sia l’organo, facendo attenzione a non svilire le sfumature offerte da entrambi gli strumenti e racchiuse nella microdinamica, oltre a proporre un corretto decadimento degli armonici. La ricostruzione del palcoscenico sonoro, particolarmente delicato all’interno di una chiesa, è esente da pecche, in quanto entrambi gli strumenti, con la tromba leggermente più avanzata rispetto l’organo, sono posti a una debita profondità, che viene percepita anche senza la presenza (decisamente fastidiosa) di un riverbero, cosa che invece accade sovente di ascoltare. Anche l’equilibrio tonale è di pregevole fattura e altrettanto delicato, visto che si devono salvaguardare il registro acuto della tromba e quello più ancorato sul registro medio-basso dell’organo, mantenendoli sempre distinti per cogliere appieno il colloquio e il contrasto fornito da entrambi, cosa che qui avviene senza sbavature o spiacevoli scollamenti. Infine, il dettaglio offre un’ottima messa a fuoco dei due strumenti, con una conseguente presenza di matericità che li impregna.
Andrea Bedetti
AA.VV. – Italian Baroque Concertos
Angelo Cavallo (tromba) – Michele Fontana (organo)
CD Fluente Records FL 14647
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5