La musica, come qualsiasi altra espressione artistica, non necessariamente deve fornire delle risposte, poiché l’arte, nelle sue varie manifestazioni, rappresenta primariamente la ricerca e l’esposizione di una domanda che si offre a chi legge, ascolta e guarda. L’arte, quindi, è anche la concretizzazione di una non-risposta, di una domanda che resta tale, mistero nel mistero, manifestazione che resta irrisolta, viaggio che ha un punto di partenza senza garantire un punto di arrivo, in quanto se ci fosse un traguardo non sarebbe arte, ma artigianato, vale a dire una finalità che presuppone un fine. Partendo da tale assunto, per ciò che riguarda l’arte dei suoni, uno dei presupposti più affascinanti che la musica contemporanea è riuscita a manifestare riguarda proprio l’esigenza primaria di porre delle domande senza ottenere di conseguenza delle risposte. Forma, sostanza, ricerca sonora, essenza epifanica di uno spazio e di un tempo che restano tali nella loro esigenza di esistere senza demandarne un punto nel quale trovare un’applicazione che coinvolga la necessità di una funzione che faccia da risposta; un continuo vagare, aleggiare, peregrinare dal punto di origine (lo/gli strumento/strumenti) fino al punto di ricezione (lo/gli ascoltatore/ascoltatori), senza che chi riceve possa ravvisare nel suo ascolto il soddisfacimento di una conclusione, di un traguardo.
Ma una domanda, posta in termini artistici, presuppone sovente anche la presenza parallela di una solitudine, di un qualcosa che è destinato a un non-incontro, se tale incontro ha per l’appunto la ricerca di una risposta. Domanda/solitudine che contraddistingue la musica di autori, tanto per fare pochi nomi, come Lachenmann, Sciarrino, Ligeti, Kagel, chi in modo tragico, chi ironico e grottesco, chi con implacabile lucidità. Ma questa solitudine coinvolge in primo luogo il binomio creatore/esecutore, i quali si assumono l’onere, il compito o, per meglio dire, la missione di portare avanti e manifestare una ricerca che inevitabilmente tende a isolarli, a renderli avulsi sul piano della ricezione. In ciò, la musica contemporanea, o quantomeno buona parte di essa, è soprattutto la realizzazione di un coraggio che cerca di coinvolgere l’ascoltatore, il quale dev’essere in grado prima di tutto di comprendere tale atto di coraggio, dietro il quale la musica gli offre un presupposto fatto di quella domanda che non pretende nulla, se non un’affascinante, dilaniante, straniante non-risposta.
Tali caratteristiche sono emblematicamente riassunte in una recente registrazione discografica della Da Vinci Classics che presenta nove brani, sette per sassofono solo e due per sassofono e electronics, di altrettanti compositori italiani attuali, eseguiti dalla giovane sassofonista siciliana Marina Notaro (leggi qui la sua intervista); gli autori in questione sono Alberto Di Priolo, Orazio Sciortino, Angelo Sormani, Fabio Massimo Capogrosso, Nelly Li Puma, Massimiliano Viel, Giulio Marazia, Giorgio Colombo Taccani e Leonardo Marino, e i brani sono rispettivamente LO! per sax contralto, Driade fuggitiva per sax soprano, Hexatonal per sax tenore ed electronics, Notte di luna per sax soprano, Überlegung per sax contralto, Diafonie per sax contralto, Anthésis VI per sax soprano, Blank per sax soprano ed electronics e Breaker per sax tenore.
Devo ammettere che raramente mi è capitato di assimilare, fin dal primo ascolto, la dimensione di questa trimurti, rappresentata proprio dal concetto di solitudine, ricerca e non-risposta, grazie alla disperante bellezza dei brani eseguiti e alla medium in questione, ossia Marina Notaro, la quale dimostra di essere lo strumento che ha scelto, per dare vita alle pulsioni artistiche che la intridono. Brani che riassumono esemplarmente il rapporto erotico (nel senso greco del termine) che lega il compositore-ricercatore con il ricercatore-interprete, vale a dire l’osmosi vibratile che unisce il creatore con il dispensatore, con il secondo che accoglie e raccoglie quanto gettato (nel senso heideggeriano del termine) dal primo e con lo strumento musicale che fa da membro (nel senso tantrico del termine), con la sassofonista siciliana che, per esaudire l’accoglimento-raccoglimento dei nove compositori, ha dovuto necessariamente attuare un gioco di “maschere” esecutive che se da un lato rimandano, almeno a livello personale, al personaggio di Kochan, protagonista del romanzo semi-autobiografico Confessioni di una maschera di Yukio Mishima, dall’altro portano inevitabilmente all’universo pirandelliano, soprattutto ai sei personaggi in attesa del loro autore. Non per nulla, nella cover del disco Marina Notaro appare avvolta da un velo rosso che ne altera parzialmente il volto, quasi a voler simboleggiare la dimensione sfuggente che, di volta in volta, ha dovuto indossare e far indossare al suo strumento. Ricerca per esorcizzare la maschera del momento, solitudine per benedire l’irradiazione del suono che, uno dopo l’altro, dipana nel corso del disco, non-risposta per confortare l’ascoltatore facendogli intendere, e ci riesce benissimo, che le tante, disarmanti domande poste dai nove compositori in attesa della loro arte-ricerca sono in fondo la stessa attesa che Vladimir ed Estragon, i protagonisti di Aspettando Godot di Beckett, respirano epidermicamente al mutare delle stagioni incarnate dall’albero che si trova alle loro spalle. E l’albero che l’artista messinese ha tra le mani si chiama sassofono.
LO! di Alberto Di Priolo è il risultato di una ricerca che il compositore e sassofonista siciliano ha compiuto nel tentativo di esplorare lo stile vocale di Jeff Buckley, contraddistinto da sfumature timbriche diverse, unitamente al suo stile improvvisativo esibito nei suoi concerti; oltre a ciò Di Priolo ha voluto fissare nel suo brano alcuni aspetti che appartengono all’universo musicale di Giacinto Scelsi. Driade Fuggitiva di Orazio Sciortino, invece, rappresenta la maschera/immagine di una driade che esce dalla penombra dei boschi, alla ricerca di uno spirito mortale con cui unirsi; tale immagine, evanescente, sfuggente, viene incarnata dalla cellula generatrice di questa composizione, che porta il sax soprano a disegnare una trama ansimante, fissata in un tempo senza fine. Hexatonal di Angelo Sormani, come suggerisce il titolo, è costruito su scala esatonica e la sua caratteristica principale è data dall’alternanza delle due gamme esatoniche contenute nell’intervallo di un’ottava. Nella prima parte del brano, queste due gamme sono molto dilatate e distinte, mentre dalla parte centrale fino alla fine, tale alternanza s’intensifica, dando luogo quasi a una convergenza, con la parte data dagli electronics che sostiene e amplifica il tessuto sonoro dato dal sax tenore.
Notte di luna di Fabio Massimo Capogrosso nasce originariamente nel 2018 per flauto solo ed è ispirato all’omonimo dipinto di Vasilij Kandinskij. Una ricerca sonora che intende evocare i colori e le sfumature di questo quadro, la sua atmosfera sognante e i motivi delle fiabe russe che vivono nell’immaginazione del pittore (anche se a me, personalmente, sono tornate alla mente le opere pittoriche di Rousseau il Doganiere). Lo stesso compositore perugino precisa che nella sua esecuzione viene lasciata assoluta libertà all’interprete, anche perché non ci sono indicazioni metronomiche o numeri di battuta, e la costruzione formale ed espressiva viene plasmata unicamente dalla sensibilità estetica di chi lo esegue, a cominciare dal respiro, dalle pause, dall’aria che contraddistinguono questo brano. Überlegung della compositrice e pianista siciliana Nelly Li Puma è stato composto espressamente per Marina Notaro ed è stato scritto con lo scopo di esplorare le possibilità tecniche e sonore del sax contralto. Si tratta, come recita testualmente il titolo tedesco, di una “riflessione”, incarnata dai momenti lenti del brano, in cui intervalli di quarta aumentata ascendente o discendente interrompono il flusso di rapidi passaggi fatti di note ripetute, onde sonore e linee musicali casuali. Diafonie per sax contralto di Massimiliano Viel deve il suo titolo all’interferenza causata dal segnale sonoro trasferito, a causa di accoppiamenti indesiderati con altri canali di comunicazione, nei sistemi di telecomunicazione, registrazione e riproduzione, e nasce dalla trascrizione di un brano del 2004, il IV Frammento di Heterodyne per clarinetto solo. È la ricostruzione immaginaria di un paesaggio sonoro elettromagnetico, cioè di ciò che è possibile ricevere con una radio in modulazione di ampiezza (AM), sintonizzata sulle onde medie. Da qui, il sorgere di segnali Morse, rumori in banda larga, frammenti di messaggi automatizzati e altri eventi, ardui da decifrare. Su questo mare magnum di interferenze, fatto di brandelli di comunicazioni, per noi incomprensibili, spicca un segnale più chiaro, una sorta di messaggio proiettato nell’infinito, nella speranza che possa essere ricevuto, un giorno, da colui che lo interpreta e da chi lo ascolta.
Anthésis VI per sax soprano di Giulio Marazia fa parte di una serie di brani che il compositore e direttore orchestrale campano ha scritto per diversi strumenti solisti, che hanno lo scopo di esplorare tutte le individualità linguistiche di uno strumento, la possibilità di trasformare il suo linguaggio in materia e la corporeità stessa dello strumento in questione. In questo modo, gli strumenti musicali diventano veri e propri “personaggi”, con i quali il compositore e, parallelamente, l’interprete si possono identificare, con la loro capacità/maschera di osservare e plasmare la complessità di ogni produzione sonora. Nello specifico, Anthésis VI è una lunga melodia (il brano dura quasi quindici minuti) intrisa di ridondanze, simmetrie, trasformazioni e ritorni, in cui si sviluppa una trasformazione costante tra due diversi campi intervallari: uno è composto da sei note (FA, LA bemolle, RE, SI, SOL diesis, LA naturale), che tendono ad apparire sempre nella stessa estensione, e l’altra è composta da cinque note (sol, la bemolle, fa, re e la naturale), che invece compaiono sempre in registri diversi. Da questi due campi intervallari deriva una specie di “crittogramma musicale” in cui è contenuto il nome della stessa interprete a cui è dedicato il brano.
Blank di Giorgio Colombo Taccani è nato originariamente combinando il tarógató (uno strumento aerofono ad ancia semplice, tipico della musica popolare ungherese) con l’elettronica, grazie a una commissione del solista tedesco Nikola Lutz. Contando sulle grandi affinità timbriche e sull’estensione coincidente del tarógató e del sax soprano, il compositore milanese è venuto incontro alla proposta di Marina Notaro, realizzando così una seconda versione di questo brano per lo strumento dell’interprete siciliana. In una trama narrativa che rimane sostanzialmente immutata, la parte strumentale alterna parti fortemente energiche, del tutto prevalenti nel corso del pezzo, a zone di distensione melodica. La componente elettronica deriva da campionamenti dello stesso tarógató, elaborati da Taccani impiegando svariate tecniche di trattamento. Infine, Breaker di Leonardo Marino vede nel suo titolo un duplice significato: il primo non è altro che un riferimento al grande sassofonista Michael Brecker e parallelamente un omaggio al suo indimenticabile stile strumentale; il secondo, invece, è legato a uno dei significati della parola inglese breaker, ovvero di “interruttore”. Da qui, la ripetizione ritmica e insistente della nota RE riporta alla mente questa immagine; si realizza così uno sfondo dinamico in cui sono incastonate le variegate figure, di chiara derivazione jazzistica, con il brano, come suggerisce lo stesso compositore siciliano, che va interpretato e ascoltato “d’un fiato”, per meglio apprezzare il vortice di tensione che lo caratterizza.
Ho già fatto presente l’assoluta resa di lettura che Marina Notaro ha fatto di questi nove pezzi/maschere/personaggi; a dire il vero, definirla lettura è fin troppo riduttivo: si tratta, semmai, di totale identificazione/trasformazione, un meraviglioso atto alla Fregoli, la capacità, tanto per restare nell’ambito dell’opera pirandelliana, un essere Vitangelo Moscarda, ossia il protagonista di Uno, nessuno e centomila, in grado di frammentarsi, di moltiplicarsi, di essere di volta in volta qualcuno di diverso. Reputo che si debba entrare in una sorta di trance non solo interpretativa per rendere al meglio questi nove pezzi di acuta ricerca musicale ed estetica, ma soprattutto calarsi, essere-altro-da-sé, per poterli eseguire. Ecco perché prima ho citato la dimensione dell’eros greco e del tantra orientale, di un fluire da una cosa in un’altra: in ognuno di questi brani, Marina Notaro dimostra di possedere quel grado di “schizofrenia estetico-interpretativa” che solo colui che la possiede gli permette di manifestare artisticamente, rendendo appassionante il rito dell’ascolto, quanto viene enunciato con la sfera dei suoni. Esaltante.
Anche la presa del suono, effettuata da Matteo Castiglioni nella Sala del Caminetto che si trova nella Villa Comunale di Fino Mornasco, vicino a Como, aiuta in quest’opera di coinvolgimento d’ascolto. La dinamica è a dir poco energica, velocissima, anche nel rendere la microdinamica, assai naturale; ciò permette una ricostruzione dei vari sax e degli electronics in modo corretto in sede di palcoscenico sonoro, anche se nello spazio fisico gli strumenti risultano essere alquanto ravvicinati, ma senza fornire una rappresentazione falsata. L’equilibrio tonale è sempre rispettoso dei vari registri, di cui si coglie sempre il debito contorno; infine, il dettaglio è ricchissimo di matericità, con gli strumenti circondati da dosi abbondanti di nero, capaci di esaltare la loro fisicità.
Andrea Bedetti
AA.VV. – Maschere - New Music for Solo Saxophone and Saxophone and Electronic Music
Marina Notaro (sax)
CD Da Vinci Classics C00470