Abbiamo intervistato la giovane artista siciliana, che ha da poco pubblicato la sua prima registrazione discografica con la Da Vinci Classics, dedicata alla sperimentazione e alla ricerca sonore con lo strumento a fiato nel quale si è totalmente identificata fin da bambina, come ci racconta lei stessa

Maestro Notaro, quali sono i motivi che l’hanno spinta a scegliere uno strumento come il sax, il cui repertorio nell’ambito della musica classica è assai limitato, per esprimere la sua personalità artistica?

Ho iniziato a suonare il saxofono nella banda musicale del mio paese d’origine, S. Agata Militello, in provincia di Messina. Si vede che ero destinata a suonare uno strumento a fiato; ai tempi, veniva assegnato lo strumento secondo i bisogni delle varie sezioni e fui spinta a scegliere tra un sax contralto e un clarinetto: è stato amore a prima vista e non ho avuto dubbi! Avevo circa dieci anni e a quell’età non avevo una “consapevolezza musicale”. Pensavo solo a suonare il mio bellissimo strumento, con il cuore e basta. Devo ammettere che, da grande amante della musica classica, non mi sarebbe dispiaciuto approcciarmi allo studio di uno strumento orchestrale, ma allo stesso tempo sono felicissima di aver raggiunto traguardi molto importanti con il mio strumento, collaborando con le orchestre più importanti d’Italia e facendo anche la solista. D’altronde, ho un amore spassionato verso la musica contemporanea e tutto ciò che riguarda la ri-cerca e la sperimentazione sonora, e il saxofono mi permette di sperimentare, motivo per cui, se dovessi tornare indietro, rifarei esattamente la stessa scelta!

La giovane sassofonista siciliana Marina Notaro (© Giada Princiotto).

Il suo debutto discografico è avvenuto con un disco dedicato a nove composizioni di altrettanti autori italiani contemporanei che hanno accettato di collaborare al suo progetto. Com’è nato tale progetto e su quali basi ha scelto i brani in questione?

L’idea di Maschere nasce dall’esigenza di arricchire la letteratura saxofonista con-temporanea made in Italy, caratterizzata da un linguaggio innovativo che va di pari passo con l’evoluzione della tecnica strumentale. Ad eccezione dei tre adattamenti, Notte di Luna di Fabio Massimo Capogrosso, Diafonie di Massimiliano Viel e Blank di Giorgio Colombo Taccani, i brani presenti all’interno dell’album sono stati tutti pensati e scritti ad hoc per il progetto discografico. I nove compositori che hanno collaborato per la realizzazione di Maschere, e che non smetterò mai di ringraziare per il loro prezioso contributo, appartengono al panorama della musica italiana contemporanea e ognuno di essi presenta un proprio personale background, arricchito da una continua sperimentazione e ricerca musicale, motivo per il quale la mia scelta è ricaduta su di loro. I brani, infatti, presentano caratteristiche, stili e linguaggi differenti molto interessanti per il mondo del saxofono.

Restando al progetto discografico pubblicato dalla Da Vinci Classics, quali sono stati i pezzi più difficili da rendere e restituire nella loro espressività? Non mi riferisco tanto alla difficoltà tecnica, in quanto è questo il denominatore che li accomuna tutti, ma alla possibilità di far aderire all’ascolto la “maschera” che li contraddistingue.

In realtà, non esistono pezzi più difficili di altri; ogni brano, ogni nota e ogni pausa intese come alfabeto del linguaggio musicale hanno un’importanza specifica. Anche una nota lunga o una pausa hanno una fondamentale importanza nella resa e nella trasmissione di un determinato sentimento o espressione. Credo che la difficoltà, più che altro, sia proprio nel rendere significativo il contenuto del linguaggio del compositore che, attraverso l’interprete e lo strumento, deve giungere al pubblico. Per quanto riguarda il linguaggio contemporaneo, credo che la difficoltà maggiore sia proprio nel dovere trasmettere qualcosa di artisticamente significativo attraverso una grammatica musicale non convenzionale lontana dall’impianto tonale e che quindi risulta di non immediata comprensione.

Ancora Marina Notaro con il suo strumento (© Luca Rotondo).

Che tipo di apporto ha portato uno strumento come il saxofono nell’arcipelago dell’attuale panorama della musica contemporanea? E quali sono i margini della sua esplorazione timbrica e sonora che possono essere ancora indagati?

Nella musica contemporanea il saxofono ha portato un bagaglio di radici culturali extra, ossia provenienti da generi musicali diversi dalla classica. È infatti uno strumento che ha fatto da ponte tra il jazz, il blues, il folk e la musica colta, apportando a quest’ultima tecniche espressive come il growl, lo slap o il subtone, diventati poi veri e propri caratteri idiomatici dello strumento. Il saxofono vanta una varietà di timbri e di effettistica che pochi altri strumenti possiedono e, inoltre, una enorme versatilità e una possibilità timbrico-espressive che si prestano moltissimo alle sperimentazioni sonore dei compositori contemporanei “tutt’ora in corso” e soprattutto alle sperimentazioni con la musica elettronica.

Dopo questa prima registrazione discografica ha già in mente il progetto per un nuovo disco? Riguarderà sempre gli ambiti della musica contemporanea o il suo sguardo sarà puntato al passato?

Sì, ho già in mente un nuovo progetto e in realtà riguarderà tutti e due gli ambiti… lo sguardo è puntato al passato, ma con una rilettura contemporanea e sperimentale!

Andrea Bedetti