Il giovane direttore artistico e il celebre direttore d’orchestra ci spiegano il loro lavoro in questa intervista: il primo alla progettazione e alla guida della rassegna artistica ampezzana, il secondo come didatta di quei musicisti che ambiscono alla bacchetta e al podio

Maestro Bottacin, lei è uno dei direttori artistici più giovani del panorama italiano. La giovane età quali vantaggi può comportare nel rivestire un simile ruolo, come quello che la vede impegnato nell’organizzare e gestire CortinAteatro, e quali, invece, i possibili svantaggi, ammesso che ne siano?

Gestire una stagione teatrale è sempre una sfida: cercare i collaboratori giusti a creare una squadra, trovare i partner che ti sostengono e che condividono la tua progettualità e la tua visione e, infine, fare rete con le altre istituzioni nazionali e internazionali, perché in fondo Cortina è una realtà internazionale. In questo senso la giovane età offre sempre degli stimoli ai miei interlocutori che spesso oltre a credere nel progetto credono nella mia figura e investono su di me e sulla nostra realtà. La figura del direttore artistico è nell’immaginario comune ben lontana dall’essere associata ad una figura giovane, il nostro Paese in fondo è un paese dove il giovane spesso suscita invidia, viene etichettato come impreparato e non adatto ad avere responsabilità. Purtroppo riscontro molto spesso questo atteggiamento, soprattutto quando mi interfaccio con le realtà nazionali di maggior importanza in cui inizialmente vengo quasi snobbato e visto con diffidenza, almeno fino a quando non presento i contenuti dei nostri progetti. Essere costantemente sotto osservazione nella speranza che commetta un passo falso: penso che questa sia l’immagine che meglio rappresenta un giovane di 25 anni che cerca di lavorare con competenza e professionalità nel mondo dello spettacolo dal vivo.

Edoardo Bottacin, direttore artistico della rassegna CortinAteatro.

La trasversalità delle opere e dei progetti in programma è uno dei punti di forza della rassegna ampezzana; come si costruisce e si plasma questa “trasversalità”, che deve tenere inevitabilmente conto dei gusti e delle aspettative del pubblico? Quanto si può osare in termini di originalità e di particolarità, onde evitare di ottenere risultati contrari alle attese?

Cortina d’Ampezzo, considerando la sua forte vocazione turistica in una fascia medio alta, il target del turista di riferimento e la presenza di un nutrito gruppo di appassionati sul territorio, impone la scelta di un cartellone tradizionale per quel che riguarda i titoli e il repertorio, così da attrarre da un lato un pubblico tendenzialmente in vacanza e che quindi cerca nell’andare a teatro un intrattenimento e dall’altro un pubblico locale che culturalmente desidera crescere e apprendere il linguaggio partendo dai grandi classici. Se mettessi in cartellone l’Oro del Reno di Wagner o il Gianni da Parigi di Donizetti difficilmente riempirei la sala. Per dare vita a una stagione interessante e attrattiva è indispensabile metterla in dialogo con il territorio, creare degli eventi unici, site specific, che possano stupire il pubblico sfruttando la bellezza della nostra valle, come abbiamo fatto ad esempio con i Royal Fireworks di Händel eseguiti sulle Cinque Torri con l’orchestra per la prima volta a oltre 2000 metri e uno spettacolo di luci al tramonto sulle pareti delle montagne. La trasversalità quindi la si plasma partendo dal territorio, dalla conoscenza della sua identità e da una ricerca continua di dialogo tra differenti linguaggi. Trasversalità non è sinonimo di mix casuale, ma una scelta ponderata di uno o più percorsi esperienziali che vadano incontro alle richieste del fruitore e che sappia introdurre anche qualche novità o scommessa che stuzzichi il pubblico.

Quali sono, invece, le problematiche e le incognite nel dare vita a una rassegna artistica in un’epoca, come quella attuale, investita dalla tragedia della pandemia? E in termini artistici e umani questa drammatica esperienza che cosa ci può insegnare?

Una pandemia come questa ha stravolto tutte le normali logiche di lavoro nel mondo dello spettacolo dal vivo: bisogna evitare gli spettacoli con l’impiego di numerose masse artistiche, è necessario avere a disposizione molto più spazio tecnico per assicurare la sicurezza di tutti (camerini, sale prove, distanziamento in palco…) per non parlare poi della gestione del pubblico, dal continuo variare delle procedure da seguire e le normative per la disposizione del pubblico in sala. In termini umani e artistici la pandemia ha stravolto le dinamiche correnti, il pubblico si è disabituato ad andare a teatro, è tutt’ora dubbioso e intimorito dal Covid sebbene in teatro ci siano dei protocolli severissimi. Per noi le incognite sono moltissime, la nostra stagione dipende moltissimo sulla presenza del pubblico soprattutto dal punto di vista economica e il dover costantemente riprogrammare la nostra attività con il dubbio della riduzione della capienza e la difficoltà del pubblico nel ritornare a teatro sicuramente non aiuta.

Il direttore d'orchestra Donato Renzetti.

Maestro Renzetti, lei è uno dei maggiori didatti nel formare le nuove generazioni di direttori d’orchestra. La sua esperienza in materia le ha sicuramente permesso di farsi un’idea di come si sia evoluta la figura direttoriale nel corso del tempo. Rispetto ai direttori del secondo Novecento, come affrontano la bacchetta i giovani direttori di oggi? E, a suo parere, quali sono gli interpreti da podio sui quali la musica potrà fare affidamento nel prossimo futuro? Ci può fare qualche nome?

Un’evoluzione di sicuro c’è stata, in particolare nella modalità in cui il direttore deve rapportarsi all’orchestra. Le leggendarie sfuriate di Toscanini, ma di molti altri direttori della sua generazione, non sono nemmeno immaginabili oggi. Sarebbero immediatamente allontanati dal podio e certo è giusto così. I direttori del XXI secolo devono guadagnarsi il rispetto delle orchestre che dirigono grazie alla loro preparazione, al loro impegno, alla loro capacità di ascolto ma anche - e questo da sempre - al loro carisma personale. Tra i direttori del futuro (e parlo di direttori italiani) mi piace segnalare Daniele Rustioni e Michele Mariotti, che si sono già affermati a livello internazionale ma certo faranno ancora molta strada, accanto ai giovanissimi Alessandro Bonato e Diego Ceretta. Ma in generale devo dire che a Saluzzo sto incontrando molti bravissimi giovani, sia uomini che donne, sia italiani che stranieri, che hanno le carte in regola per diventare protagonisti della musica di domani.

Arturo Toscanini, le cui sfuriate rivolte agli orchestrali sono rimaste leggendarie.

Il 19 dicembre, per la rassegna CortinAteatro lei dirigerà il pianista italiano Davide Ranaldi, fresco vincitore dell’ultima edizione del Premio Venezia, e l’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta nel concerto n. 2 di Beethoven e nella sinfonia Jupiter di Mozart. Il genio di Bonn e quello di Salisburgo, oltre ad essere due sommi nella storia della musica colta occidentale, sono stati uomini la cui vita è stata contrassegnata da enormi dolori. Le loro sofferenze e le loro privazioni possono essere d’aiuto per noi contemporanei, soprattutto in questo momento storico così difficile e ricco di incognite. A suo dire, Maestro Renzetti, Beethoven e Mozart, come uomini e come artisti, in che modo avrebbero potuto affrontare questa pandemia, che si presta, a pensarci bene, sia a posizioni vittimistiche, sia a quelle eroiche?

Sono felice di prendere parte a questo progetto, in particolare per il rapporto con i Corsi di direzione d’orchestra che tengo alla Scuola ASM di Saluzzo in collaborazione con la Filarmonica Teatro Regio Torino e curioso di lavorare per la prima volta con il giovanissimo Davide Ranaldi. I giovani sono da sempre la mia passione, non avendo avuto figli è il mio modo per essere nonostante tutto “padre”, nel senso della trasmissione delle mie esperienze musicali, ma anche umane, alle nuove generazioni. Mozart e Beethoven sono due colossi non solo della musica, ma della storia dell’umanità: se noi viviamo nell’epoca della pandemia, loro hanno visto guerre e rivoluzioni, carestie e difficoltà che oggi per noi sarebbero inimmaginabili. E attraverso la musica hanno saputo tracciare percorsi sempre positivi, pieni di entusiasmo e di fiducia. Ecco il messaggio migliore che raccogliamo dalla loro musica, che non dobbiamo avere paura.

Andrea Bedetti