In un certo senso, questa registrazione della Da Vinci Classics rappresenta un evento poiché per la prima volta un'artista italiana, Matilda Colliard, ha inciso le Sei Suites per violoncello solo di Johann Sebastian Bach, andandosi così a unire ad altre due interpreti femminili che ultimamente hanno affrontato a livello discografico la summa violoncellistica del Kantor, le americane Shirley Hunt (che sta portando avanti anche la registrazione delle Sei sonate per viola da gamba) e Alisa Weilerstein, senza contare l'apporto dato in un passato più o meno recente da altre artiste, come Susan Sheppard, Angela East, Maja Weber, Bryndis Halla Gylfadottir, Natalia Khoma, Ophélie Gaillard, Maitane Sebastián, Anne Gastinel, Maria Kliegel, Viviane Spanoghe, Viola De Hoog, Quirine Viersen, Esther Nyffenegger, Mary Costanza, Tatjana Vassiljeva, Tanya Tomkins, Xenia Janković, Rachel Mercer, Mayke Rademakers, Inbal Segev, Phoebe Carrai, Lucia Swarts, Emmanuelle Bertrand (come si vede da questo elenco manca la divina Jacqueline Du Pré, la quale registrò solo le prime due Suites bachiane).

La cover del doppio CD della Da Vinci Classics con le Suites per violoncello solo di Johann Sebastian Bach.

A prima vista, sembrerebbe un numero più che folto, quello delle interpreti femminili, ma di fronte alla pletora delle tantissime incisioni, la “quota rosa”, per così dire, in realtà è assai bassa, e questo vale anche se si aggiungono le versioni, di certo non numerose, delle Suites incise con la viola. Che ci sia una sorta di timor panico nell'eseguire questi capolavori dell'arte, non solo musicale, occidentale, è pacifico e ciò vale soprattutto in sede concertistica, visto che la loro interpretazione non solo rappresenta tecnicamente un concentrato di difficoltà non indifferenti, ma mette veramente a dura prova la resistenza fisica dell'artista che le suona.

Ma c'è anche un altro aspetto da non sottovalutare in sede di lettura maschile o femminile che sia, un aspetto dato dal fatto che le Suites bachiane per violoncello solo, composte durante il periodo che il futuro Kantor trascorse nella corte calvinista di Köthen, tra il 1717 e il 1723, impongono una visione che è squisitamente “metamusicale”, nel senso che queste sei opere rientrano nel novero di quelle composizioni la cui caratura, la cui profondità, la cui vastità creative coinvolgono necessariamente un afflato speculativo, tale da coinvolgere, da chiamare in causa un processo di ordine filosofico, perché poche pagine come le Sei Suites violoncellistiche prima di essere interpretate, devono essere pensate, scandagliate in un atto ri-creativo nel quale la dimensione della trasmutazione segno/suono abbisogna di un impianto in cui l'istanza artistica deve fare i conti con il λόγος. Come non ci si può commuovere al pensiero che questi vertici assoluti della musica colta occidentale furono composti in fondo da Bach per soddisfare le pruderies virtuosistiche di uno dei maggiori violoncellisti tedeschi dell'epoca, Christian Ferdinand Abel, il quale, proprio nel lasso di tempo in cui il Kantor operò a Köthen, si trovò a lavorare per l'orchestra di corte del principe Leopold von Anhalt-Köthen? Una musica d'occasione, (falsamente) profana, prodigiosamente articolata, nella quale fluisce instancabilmente la forza di un progetto speculativo capace di far affiorare la spazialità culturale di quell'epoca, raggrumata all'interno di forme, di impianti, di una Gestalt dati dai tempi-danze tipici della Suita barocca, ossia Preludio, Allemanda, Corrente, Sarabanda, Minuetto (o Bourrée o Gavotta), Giga.

Particolare del dipinto dedicato alla famiglia Abel, che mostra il violoncellista Christian Ferdinand Abel per il quale il Kantor compose le Sei Suites per violoncello.

Proprio per evidenziare l'importanza di questo afflato speculativo/sonoro che si dipana attraverso i sei tempi che compongono ognuna delle Sei Suites (mai dimenticare l'importanza gemmaria che Bach pone nella sua musica!) attraverso il susseguirsi delle danze, Matilda Colliard ha voluto registrare queste composizioni inserendo nel primo CD le Suites n. 1, n. 4 e n. 5, mentre nel secondo CD hanno trovato posto le Suites n. 2, n. 3 e n. 6; questo per presentare (e preservare) in ogni disco tre Suites che vantassero come Galanterien, come le definiva Bach, quelle poste tra la Sarabanda e la Giga finale, vale a dire un Minuetto (presente nelle Suites n. 1 & n. 2), le Bourrées I & II (presenti nelle Suites n. 3 & n. 4) e le Gavotte I & 2 (presenti nelle ultime due Suites). E se, quindi, un possibile denominatore comune può essere rappresentato da un senso ritmico (sul quale tornerò) con il quale la violoncellista ha voluto imbastire le arcate complessive di queste Sei Suites, è anche vero che ciò che emerge dalla sua lettura è un'affascinante “rotondità” con la quale connota sistematicamente il timbro dei due violoncelli, intonati a 432 Hz, che ha utilizzato nel corso della registrazione (un Riccardo Bergonzi e uno Stefano Gibertoni, ossia due dei più affermati liutai cremonesi attuali). La lettura che Matilda Colliard ha voluto esprimere è quindi il risultato di un'esplorazione sonora che non vuole essere assolutamente referenziale: al contrario, primeggia la delicatezza, la nobile umiltà di un timbro che si offre e che non si vuole imporre (il parametro è dato dall'ascolto delle sei Sarabande, in cui sembra quasi di poter intuire, intravvedere una dimensione di desolata dolcezza, di un pensiero che si rapprende, sondando la propria essenza e capace di donare consolazione). E la compostezza, la capacità di restituire i Minuetti, le Bourrées e le Gavotte (quintessenza di un ritmo che non si tramuta mai in un qualcosa di “giocoso” fine a se stesso) con un'eleganza che solo un animo femminile può restituire, andando a scovare negli angoli in ombra della partitura quelle sfumature, quei dettagli, quelle particulae che devono essere messi a fuoco, resi fruibili con una ricerca sonora che non lascia mai per strada quella “rotondità” di cui ho accennato sopra.

La violoncellista Matilda Colliard, protagonista di questa registrazione discografica.

Matilda Colliard rifugge il bel suono in sé, fortunatamente, perché non dimentica mai il rispetto della materia sonora che si deve enunciare, perfino nella sua espressione “grezza”, e dove c'è da usare lo scalpello, al posto del bulino, lo fa con uno slancio che è sempre soffuso da una sensibilità che soltanto chi appartiene all'altra metà del cielo può provare (chi ha un impianto audio all'altezza faccia attenzione come la violoncellista porti questo rispetto alle estreme conseguenze lasciando enunciare il processo finale degli armonici e il loro decadimento, in modo poi da non “aggredire” mai gli attacchi, ma andando loro incontro con l'archetto pronto ad accoglierli, quasi si fosse calata nel ruolo di un'alma mater, pronta a nutrire e a proteggere il suono che vuole “partorire”, anche nei momenti in cui il timbro si fa più conciso, senza però mai essere pressante: si ascolti, a tale proposito, come l'artista renda la Courante della Suite BWV 1007).

Questa bellezza, del tutto repellente a ogni tentazione di opulenza timbrica, è fatta di materiale essenziale (che sembra quasi richiamare le priorità che l'arte povera pittorica italiana di Pistoletto, Schifano, Merz invocava); un'essenzialità che è in grado di mostrare ciò che dev'essere senza debordare o andando oltre la linea che il sentiero delle Sei Suites indica instancabilmente. Da qui, dalla sfera di una dolce bellezza a quella di un suono saggio (nel senso greco del termine) il passo è breve: una saggezza che comprende come “accennare” il suono, come enunciarlo senza slabbrarlo, senza sovraccaricarlo di orpelli invasivi e sdolcinati (Allemande della Suite BWV 1010) o rendendo l'idea della danza senza trasformarla in una sterile e banale “pizzica” (come talvolta si è costretti ad ascoltare), ma mantenendo un respiro capace di variare, di alterare, di non risultare ritmicamente monocorde (Gigue della medesima Suite). Delicatezza, bellezza, saggezza (σοφος) e una sconfinata dolcezza con le quali Matilda Colliard ha voluto instillare la sua lettura di questi capolavori, in cui suono e pensiero, estetica ed etica mirabilmente s'incontrano. Una delle migliori registrazioni delle Suites che ho ascoltato negli ultimi anni.

Molto convincente anche la presa del suono effettuata da Stefano Ligoratti, in modo da restituire il meraviglioso timbro dei due violoncelli in questione, senza trasmettere allo stesso tempo la loro “legnosità”. Ciò è stato possibile grazie a una dinamica fluida, velocissima, pulita, esente, per l'appunto, da indebite enfasi coloristiche, mentre l'artista è scolpita al centro del palcoscenico sonoro a una discreta profondità, anche se si avverte che la microfonatura è stata alquanto ravvicinata (a tratti il respiro di Matilda Colliard è perfettamente percepibile). L'equilibrio tonale è sempre assai rispettoso dell'emissione del registro medio-alto e di quello medio-basso, i quali non si sovrappongono mai, senza apparire mai sfocati o imprecisi; infine il dettaglio ricostruisce una notevolissima matericità degli strumenti, con generose dosi di nero.

Andrea Bedetti


Johann Sebastian Bach – Complete Suites for Cello Solo

Matilda Colliard (violoncello)

2CD Da Vinci Classics C00391

Giudizio artistico 4,5/5
Giudizio tecnico 4,5/5