Il programma scelto, per questo disco pubblicato dall’etichetta italiana Luna Rossa Classic, dai due giovani interpreti, il violinista romano Alessandro Marini e la pianista latinense Silvia D’Augello, può essere definito propedeutico, visto che prende in esame tre capolavori della Sonata per violino e pianoforte, che spaziano dal classicismo viennese (qui rappresentato dalla Sonata K.454 in si bemolle maggiore di Wolfgang Amadeus Mozart) per arrivare fino al cuore del tardoromanticismo (esemplificato dalla Sonata n. 3 op. 45 in do minore di Edvard Grieg), passando attraverso il primo romanticismo con la Sonata n. 1 op. 137 in re maggiore di Franz Schubert.
Per comprendere l’ambito “propedeutico” di questa registrazione si deve comprendere l’importanza della Sonata mozartiana, la quale, per le scelte armoniche e per la sua struttura virtuosistica fu eletta, con altre del sommo Amadé, nella prima metà dell’Ottocento, a modello romantico tout court (non per nulla, le celebri Edizioni Peters, operanti a Lipsia a partire dal 1800, le classificarono chiaramente come Romantische Violin-Sonaten), rappresentando di fatto un esempio sul quale si rifecero poi a tempo debito sia Beethoven, sia Schubert. E che Mozart ci tenesse molto alla Sonata in si bemolle maggiore non sta tanto nel fatto che fu eseguita per la prima volta di fronte all’imperatore Giuseppe II, quanto per il motivo che fu scritta pensando all’eccellenza interpretativa e alla capacità virtuosistica di una celebre violinista mantovana dell’epoca, Regina Strinasacchi, allieva del Conservatorio della Pietà a Venezia, che intraprese all’estero una brillante carriera concertistica. Mozart la conobbe a Vienna nel 1784 e ne fu conquistato, al punto da scrivere in una lettera indirizzata al padre Leopold queste parole: «Abbiamo qui la celebre violinista mantovana Strinasacchi; suona con molta sensibilità e molto gusto. Sto per l’appunto lavorando a una Sonata che eseguiremo insieme giovedì in teatro durante la sua accademia». E lo stesso Leopold che, come si sa, di violino ne masticava assai, confidò alla figlia Nannerl che Regina «Non suona una sola nota senza espressione... E anche il suono è bello, e la forza del suono».
Che la Sonata K.454 assuma un ruolo particolare nel repertorio cameristico in Mozart viene testimoniato dal fatto che, come raramente fece il sommo salisburghese in questo genere musicale, l’Allegro iniziale è di fatto preceduto da un maestoso Largo, sulla falsariga di quanto fece Haydn nelle sue ultime Sinfonie. Questo segmento ha il compito di preparare il terreno, potremmo dire di creare la giusta suspence, prima dell’irruzione dell’Allegro che si dipana sulla linea di un continuo rincorrersi dei due strumenti, i quali, con l’Andante che segue, sondano commoventi profondità che lasciano un segno di smarrimento nell’ascoltatore, grazie alla ormai consolidata maestria che Mozart dimostra di avere, plasmando in modo mirabile la sfera armonica con quella melodica. Infine, l’Allegretto finale, nel consolidato tempo di Rondò, riporta l’eloquio su temi prettamente gioiosi, che lasciano perfino spazio a sentori da opera buffa, precisi escamotages che servono per mettere in luce le doti virtuosistiche della violinista mantovana. La leggenda vuole o, forse, la storia, visto che l’autografo della Sonata in si bemolle maggiore tuttora conservato a Stoccolma starebbe a dimostrarlo, che per la serata viennese della prima, alla presenza dell’imperatore, Mozart abbia suonato la sua parte al clavicembalo con il manoscritto ancora incompleto e che la parte violinistica sia stata ultimata solo poche ore prima del concerto.
La perfezione stilistica di questa Sonata, la sua potenza espressiva resa attraverso levità e profondità, il suo alternarsi nel gioco dei pesi e contrappesi, divenne quindi giocoforza un esempio modellante al quale si rifecero poi Beethoven e il giovane Schubert, come dimostra per l’appunto la Sonata n. 1 in re maggiore di quest’ultimo, nella quale il compositore viennese intende riproporre una purezza del dialogo tra i due strumenti di chiara matrice mozartiana. Sebbene Schubert non abbia mai impresso una grandissima importanza a uno strumento come il violino, è indubbio che il suo accostamento allo strumento prediletto, il pianoforte, abbia fornito delle chiavi compositive capaci di fornire risultati estremamente validi, come nel caso di questa Sonata. È su questa base di perfetto “classicismo” che Schubert va poi a innestare risorse timbriche ed espressive dei due strumenti, andando a scavare ulteriormente il bipolarismo emotivo manifestato dal salisburghese, ossia quel caratteristico senso oscillante, così tipico nello spirito viennese, dato da una parte dalla cordiale vivacità del Gemütlichkeit e dall’altra dalla malinconica introversione del Sehnsucht. Partendo da tali presupposti, la Sonata in re maggiore, ossia la tonalità della “solarità”, si offre all’ascolto grazie a un romanticismo fresco, giovanile, “puro” e, se vogliamo, intriso di un’innocente ingenuità.
Se il primo tempo, l’Allegro molto, si distingue dapprima per i temi che vengono portati avanti all’unisono dal violino e dal pianoforte, con l’inizio dello sviluppo lo strumento a tastiera vede la mano sinistra impegnata in un canone con il violino, mentre la mano destra enuncia un ritmo di marcia. Ma è con il successivo Andante che il rimando di stile mozartiano si avverte chiaramente, grazie a un eloquio presentato in modo giustapposto dai due strumenti, con il violino e il pianoforte che si alternano sapientemente in un dialogo che lascia piena libertà di espressione ad entrambi. Nel tempo conclusivo, un Allegro vivace in forma di rondò, i rimandi a Mozart sono addirittura conclamati, visto che dal disegno melodico sboccia un’evidente citazione del primo tempo della Sonata in la maggiore K.526. Semmai, il marchio di fabbrica schubertiano viene fuori nella vivacità del tema principale, enunciato prima dal violino e ripreso poi dal pianoforte, che porta poi i due strumenti ad unirsi nell’esposizione del medesimo, dando vita a una danza mai velata o increspata da motivi di contrasto.
Un sentore mozartiano possiamo avvertirlo nello stesso Grieg, il quale non può essere etichettato in modo trito e ritrito nell’annosa dimensione del cantore della natura e nel raffinato continuatore di istanze schumanniane da una parte e mendelssohniane dall’altra. Ascoltarlo attentamente significa già riconoscere in lui l’antesignano di una crisi del linguaggio musicale che deborda dai confini dell’arcipelago tardoromantico per defluire in richiami dal netto sapore impressionistico, tali da immergerlo nella futura temperie del primo, inquieto Novecento. Ma questo andare oltre, da parte del compositore norvegese, viene sempre stemperato tramite un incedere melodico che affonda le sue radici, ancora una volta nella lezione mozartiana, in una purezza di intenti in cui il classicismo del salisburghese trova piena identificazione nella dimensione simbolica data dalla natura.
Così, anche nella Sonata in do minore, che risale al biennio 1886-87, e che chiude il trittico di brani dedicati a questo genere cameristico da parte di Grieg, se il primo tempo, l’Allegro molto e appassionato, mostra indubbiamente quell’instabilità umorale, segno del mutamento dei tempi in atto, attraverso una continua variabilità degli aspetti armonici, la caratura dell’Allegretto espressivo alla romanza che segue assume valori decisamente più distesi e meditativi, intrisi di un classicismo che continua a fare storia, modello ineludibile di un passato che fatica a staccarsi da un presente che è già futuro, mentre l’ultimo tempo, l’Allegro animato, rappresenta un pezzo di bravura in chiave cameristica, contrassegnato dall’impiego brioso dei due strumenti, che porta fino al gioioso prestissimo finale.
Se ho voluto ricordare, per sommi capi, le peculiarità di questi tre capolavori del repertorio cameristico per violino e pianoforte è per il semplice fatto di rimarcare il tipo di lettura fatta dai due giovani interpreti, i quali hanno saputo evidenziare e circoscrivere con la loro esecuzione quei gangli decodificanti che risultano essere fondamentali per approcciare nel modo migliore queste Sonate. L’aria di gioiosa spensieratezza che emana dalla loro pagina schubertiana rende bene lo spirito della composizione, controbilanciata da nervature di pacata nostalgia melanconica che il violino di Alessandro Marini riesce a condensare nel tempo centrale, con un puntuale e preciso appoggio pianistico da parte di Silvia D’Augello. Allo stesso modo la drammatica instabilità armonica e melodica che intride la Sonata di Grieg affiora con convinzione e con un sentore di tragicità che si presenta, nella loro lettura, soprattutto nell’immaginifico primo tempo, con il violino che domina in modo solare la linea principale e con il pianoforte a indicare assai bene i differenti piani emotivi (l’incipit ritagliato con delicata passione da Silvia D’Augello nel tempo centrale permette ad Alessandro Marini di appoggiarsi idealmente sulla linea melodica che ne segue), oltre alla suprema cantabilità in cui si lascia andare il violino nel Rondò finale.
A mio modo di vedere, però, la pagina mozartiana è quella che viene incastonata in modo ancor più convincente per via di quella difficoltà tecnica che sfocia in continui cambiamenti umorali e che abbisogna quindi di sottigliezze timbriche per essere resa al meglio nelle sue molteplici sfumature. Al di là dei giochi virtuosistici che il violinista romano dipana con sicurezza e sottile umorismo nel Rondò finale, è da rimarcare il complessivo senso di dialogo/sfida che i due interpreti riescono a sostenere brillantemente per tutta la durata della composizione, calibrando al meglio lo sviluppo dei temi e, contemporaneamente, non snaturando mai l’agogica che sovrintende l’arcata generale della Sonata.
Molto buona anche la presa del suono effettuata da Luigi Cariddi, in cui predomina una dinamica rocciosa, energica, ma anche adeguatamente naturale, il che permette di ricostruire, in sede di palcoscenico sonoro, i due strumenti al centro dello spazio fisico e la cui mancanza di profondità, essendo assai ravvicinati rispetto l’ascoltatore, non va a inficiare i principi di correttezza, con un suono che si espande sia in fase di altezza, sia di ampiezza al di là dei diffusori. L’equilibrio tonale non mostra sbavature, soprattutto nel registro acuto, alquanto sollecitato, che non deborda a svantaggio di quello medio-grave. Infine, il dettaglio, proprio grazie alla qualità della dinamica, è oltremodo materico e ricco di nero che circonda i due strumenti, aumentando di conseguenza il loro sentore fisico e tattile.
Andrea Bedetti
Schubert-Mozart-Grieg – Sonatas for Violin & Piano
Alessandro Marini (violino) - Silvia D’Augello (pianoforte)
CD Luna Rossa Classic LRC279
Giudizio artistico 4,5/5
Giudizio tecnico 4/5