Che la musica e la ricerca elettroniche oggigiorno in Italia, nonostante le grandi difficoltà, la mancanza di risorse tecniche ed economiche e una certa indifferenza da parte delle stesse istituzioni accademiche, sia ancora viva e sorretta da una grande passione viene testimoniata da un recentissimo e interessante progetto discografico, effettuato dalla Da Vinci Classics, dal titolo Outlines. Twenty Years of Young Italian Electronic Music e che presenta una raccolta formata da quattordici brani, i quali rappresentano una minuscola parte del patrimonio didattico e formativo dei primi due decenni (2001-2021) di vita del Dipartimento di Musica e Nuove Tecnologie del Conservatorio “Ghedini” di Cuneo (dal 2011 ha preso il nome di METS, acronimo di Electronic Music and Sound Engineering Department).

La cover del CD Da Vinci Classics dedicato alla musica elettronica di giovani musicisti italiani.

Lo scopo primario di questo dipartimento nel conservatorio cuneense è quello di aprirsi al mondo della sperimentazione e della composizione elettronica, nonché a quello della registrazione e del montaggio sonoro, in modo da accedere a un mondo di suoni esteso e articolato, fruttuosamente integrato con il tradizionale studio della musica classica. È bene ricordare che fino alla fine dello scorso secolo ciò che viene fatto adesso presso il METS sarebbe stato possibile solo a livello privato ed empirico, con il conseguente risultato da essere meno approfondito e ovviamente non riconosciuto. Entrando nello specifico, l’iter didattico si articola in due corsi di laurea triennali e in due corsi di perfezionamento biennale, di livello universitario, e in due distinti percorsi: da un lato, quello relativo alla composizione e, dall'altro, quello relativo all’ingegneria del suono.

Dal 2012 il lavoro del dipartimento METS è coordinato dal compositore Gianluca Verlingieri, il quale è stato anche uno dei primi studenti del dipartimento, e il presente disco rappresenta la concreta testimonianza di un itinerario sviluppatosi nell’arco di due decenni, i quali sono per l’appunto sintetizzati da questi quattordici brani di altrettanti giovani e brillanti musicisti italiani, che rappresentano il risultato della commistione e del dialogo tra la sfera elettronica e quella rappresentata da alcuni strumenti musicali tradizionali, tra cui la voce.

Il primo pezzo della raccolta è The Chord Duel di Carlo Ambrogio per due chitarre classiche e un sintetizzatore modulare e vuole rappresentare una grottesca parodia musicale di un vecchio duello del Far West, con i due chitarristi, Angelo Martino e Martina Massimino, con lo stesso Ambrogio agli electronics, che si combattono con ogni possibile elaborazione musicale che sono in grado di suonare. In questo lavoro i due chitarristi impiegano una grande varietà di “strumenti”, se così si può dire, per suonare il proprio strumento per sfidare, in fatto di virtuosismo e di tecnica, l’altro musicista. Per esempio, per aumentare al massimo le difficoltà, suonano con l’ausilio di un guanto in lattice o addirittura con una carta di credito, e così via. Inoltre, in ogni sezione del pezzo i due chitarristi hanno un’ampia percentuale di libertà, tanto che The Chord Duel comprende anche improvvisazioni. Gli electronics, presenti in ogni sezione, intendono rappresentare la memoria di un paesaggio desertico, come se fosse il vero spettatore di questo duello all’ultimo “colpo sonoro”. Ciò, nel suo insieme, dà vita in ogni sezione a una struttura composta dai tre elementi, vale a dire i due chitarristi duellanti e lo “sfondo” elettronico, come se fossero parti di un unico oggetto sonoro, che l’ascoltatore può distintamente percepire nella sua unità. La componente elettronica è stata creata attraverso un sintetizzatore modulare, in cui i moduli analogici hanno un ruolo predominante, mentre il suono delle due chitarre è stato catturato da un microfono ed elaborato in tempo reale, in modo che il risultato potesse avere una considerevole percentuale di variazioni dovute ai circuiti analogici. Questo lavoro è stato eseguito dal vivo a Karlsruhe nel 2019 in una versione spazializzata in otto canali, con i chitarristi Angelo Martino e Marco Barberis, anche se la versione qui presentata è stata ripensata da Marco Barberis in qualità di sound designer.

Il chitarrista e sperimentatore Davide FIcco.

Dello stesso Barberis è il secondo brano, Duo, for extended Guitar & synthetic Guitar(2022), in cui si fa uso, come specifica Davide Ficco nelle note di accompagnamento, della cosiddetta “chitarra estesa”, ossia di una chitarra classica con un altoparlante interno, un microfono esafonico inserito sotto il ponte e di due microfoni a contatto sulla tavola. Questa implementazione permette di impiegare lo strumento per la diffusione di un segnale audio mono e, allo stesso tempo, rende disponibili i suoni captati dai microfoni per accedere a elaborazioni elettroniche esterne, con l’apporto di un’amplificazione del suono tramite trasduttori vibranti montati su grandi pannelli in forex. Richiede, inoltre, un ulteriore sistema di trasmissione a molla collegato a due tamburi piatti (per la precisione, due daf persiani). Il modello specifico utilizzato per Duo di Barberis (e anche per il brano Scaramouche di Cristina Mercuri) è in legno di acero e abete ed è stato realizzato dal liutaio Marco Lijoi di Savigliano, in provincia di Torino. Su di esso sono stati montati un woofer, un crossover e un tweeter di alta qualità ed è volutamente privo di microfoni, con l’obiettivo di salvaguardare le qualità dello strumento da concerto.

Tornando a Duo, le caratteristiche di “chitarra estesa”, permettono la riproduzione di un segnale sintetico simulando il timbro di una chitarra classica. Così, i due strumenti suonano all’unisono alcuni elementi simili, con intrecci ritmico-melodici molto stretti, che portano all’affioramento e irradiazione di una con-fusione data dal timbro reale e da quello sintetico, creando l’illusione che tutto il materiale musicale sia riprodotto da un’unica sorgente sonora. Poiché le due chitarre sono sovrapposte l’una sull’altra per gran parte del brano, l’effetto di fusione avviene in modo molto efficace, richiedendo una sincronia molto precisa dell’esecutore (nel disco si tratta di Davide Ficco alla chitarra estesa e di Marco Barberis agli electronics). La struttura del pezzo è composta da quattro sezioni: la prima è più concitata, per cui i due strumenti interagiscono, mescolati omoritmicamente tra loro; la seconda sezione, molto più tranquilla, vede la vera chitarra enunciare bicordi, sincronici rispetto al registro grave degli electronics; la terza sezione in cui vi sono scambi e sfasamenti tra i due strumenti, e una quarta parte in cui è rappresentata la prima sezione, ma con una rapidissima disgregazione degli elementi compositivi iniziali, che confluiscono progressivamente alla dimensione del silenzio.

Il brano successivo, Laut (2018) di Gianluca Delfino, è stato ispirato dalla scoperta, durante l’estate del 2017, della musica giavanese, in particolare quella eseguita sui grandi Gamelan di Yogyakarta (Kraton) e Solo (Mangkunegaran), portando l’autore a imitare alcune delle sue caratteristiche prevalenti: essenzialmente il timbro e le risonanze dei suoi metallofoni e gli intricati schemi ritmici. Un possibile esempio di tale opera di “imitazione” è dato dalla seconda sezione, dove una pulsazione comune e dinamica guida l’interazione di tre voci caratterizzate dal loro essere raggruppate in sequenze di tre, quattro e sei accenti, in modo da dare l’impressione di un poliritmo. Il concetto del mare (in indonesiano proprio Laut), aspetto fondamentale della cultura indonesiana, è ciò che caratterizza la sezione centrale, con lunghi sample audio che di tanto in tanto portano in superficie accenni di voce umana. Durante tutto il brano, il movimento del mare è costantemente ricordato da onde di brevi campioni vocali, più precisamente frammenti estrapolati dalle voci di Linton Kwesi Johnson, Zadie Smith, Derek Walcott e di un contadino del Devon.

Il musicista Alessio Dutto.

Il quarto brano, Dentro III (2021) di Alessio Dutto, rappresenta il terzo lavoro del musicista di Boves, contrassegnato da un forte misticismo (in senso lato, non cristiano). È stato realizzato con i suoni che l’autore ha registrato all’interno della Chiesa della SS. Trinità in Centallo, vicino a Cuneo, e successivamente elaborati con le tecniche più diverse, considerando all’interno della sfera del suono anche l’intero edificio sacro, alla stregua di una vera e propria “cassa di risonanza”. Una risonanza che non riguarda solo il suono che si propaga nell’aria, ma anche gli oggetti rinvenuti nella chiesa, oltre che lungo le pareti.

Il pezzo che segue, Toc~ per percussioni, live electronics e fixed media(2019-2022) di Simone Giordano, nasce in occasione di una mostra personale di Giuseppe Penone, tenutasi al Museo d’Arte Contemporanea Castello di Rivoli nel 2019-20 e si ispira al ciclo delle stagioni. Il lavoro è suddiviso in quattro sezioni; ognuna ha uno stile di scrittura, elaborazioni e uno sfondo propri, che ne caratterizzano il colore e lo stato d’animo. L’esecutore (in questo caso, Michele Cera, con lo stesso autore agli electronics) utilizza uno strumento speciale costituito da un pezzo di legno prelevato da un tronco di castagno (cm 14 x 29), “trafitto” da un cuneo di ferro, che lo divide nella parte superiore in due segmenti. Attraverso la sua mano e un bastoncino di legno, al percussionista è richiesto non solo di suonare una sequenza di tempi e ritmi prescritti, ma anche di esplorare il potenziale del legno e del cuneo all’interno delle due sezioni improvvisate. La microfonatura è costituita da due microfoni piezoelettrici posti rispettivamente su uno dei lati interni dello strumento e sul cuneo di ferro. Il suono è stato quindi catturato e inviato all’esecutore elettronico. Costui, a sua volta, attraverso una patch del software Cycling’74 Max 8 e seguendo le indicazioni trovate sullo spartito, ha elaborato il segnale in tempo reale tramite filtri, delay, frequency shifter, sintesi sottrattiva e looper. Infine, l’opera è stata accompagnata per quasi tutta la sua durata da un supporto fisso. Quest’ultimo, un file audio, è stato realizzato attraverso un processo di sonificazione di un’immagine che rappresenta le venature di un pezzo di legno. Questo processo è stato reso possibile dal sequencer grafico Iannix e da un precedente editingdelle immagini; un’operazione che ha reso possibile la mappatura della posizione delle vene, creando una lista di valori numerici che sono stati poi inviati al Max 8, il quale ha tramutato i dati in segnali audio.

Di Fabrizio Giraudo, il disco presenta Ecoritma (2022) per chitarra, microfoni ed electronics, frutto di una continua ricerca ed esplorazione di nuove possibili sorgenti sonore e di nuovi punti di ascolto. Il suo titolo è ottenuto dall’anagramma della parola “materico”. Da questo processo anagrammatico si sviluppa tutta l’idea del pezzo: partendo dal concetto di pittura concreta, privilegiando la funzione espressiva della materia in quanto tale, e impiegando, oltre ai colori tradizionali o in loro vece, l’uso di materie diverse per conferire un ruolo attivo e autonomo alla loro corporeità, si è potuto sviluppare la sperimentazione e lo studio di questi stessi concetti nel mondo musicale. Per esplorare questo suono concreto, Giraudo ha scelto una chitarra ritmica; questo perché con la cassa armonica in legno, le corde metalliche e i componenti in plastica, ha saputo offrire una stimolante varietà di materiali con cui sperimentare. Inoltre, un’ispirazione fondamentale è venuta dall’opera Mikrophonie I di Karlheinz Stockhausen, dove il microfono è stato impiegato come strumento musicale e in modo investigativo, per rendere percepibili le minime sfumature. Tuttavia, questo approccio, come ha spiegato lo stesso autore, non è bastato per trasferire nel miglior modo possibile la materia nel suono. Pertanto, ha utilizzato il microfono anche come mezzo per creare il suono, come un archetto, un plettro o una bacchetta, quindi strofinandolo, percuotendolo, graffiandolo sulle varie parti della chitarra, e per catturarne il più possibile la sua corporeità. L’uso degli electronics ha completato il lavoro, elaborando i suoni registrati attraverso risonatori, echi, filtri e riverberi, giustapposti e contrapposti ai suoni della chitarra.

Il compositore Igor Giuffré.

Flauto osmotico (2019) per flauto e live electronics di Igor Giuffré ha inteso esplorare le possibilità timbriche del flauto, soprattutto estremizzandole attraverso il trattamento degli electronics che, non a caso, ha impiegato ed elaborato solo i campioni dello strumento a fiato. Il sistema utilizzato per la gestione degli aspetti elettronici è stato quello di un campionatore digitale “costruito” dal compositore utilizzando il software MaxMSP. I campioni di flauto utilizzati sono stati tutti desunti da registrazioni di flauto solo, diretti e realizzati preventivamente dallo stesso compositore, allo scopo di ricavarne i materiali necessari all’esecuzione di questa partitura. L'elettronica, infatti (gestita dallo stesso Giuffré), ha avuto un peso specifico decisamente maggiore all’interno dell’economia complessiva del pezzo, rappresentando il cardine attorno al quale si sono articolate le varie sezioni,  in modo da determinare l’intera struttura dell’opera stessa. Questa componente è quella alla quale il compositore ha voluto dare il massimo rilievo, anche se ha evoluto evidenziare, allo stesso tempo, un dialogo con l’elemento acustico (con Cecilia Molinero al flauto). Da qui, la comunicazione tra le due parti, quella reale dello strumento acustico e quella virtuale dell’elettronica (data dai campioni di flauto elaborati), è sempre stata “organica” (o, appunto, “osmotica”). Gli interventi di entrambe le parti hanno puntato, quindi, alla ricerca di un certo grado di imitazione o inclusione, con le due voci che si sono rincorse, senza mai prevalere l’una sull’altra e, a volte, senza nemmeno far intuire quale fosse quella reale e quale quella immaginaria.

Profili (2017) per clarinetto e nastro magnetico di Simone Sims Longo è stato eseguito allo strumento a fiato da Emanuele Utzeri, al quale è anche dedicato, mentre l’autore si è occupato della componente elettronica, la quale è stata ottenuta interamente con suoni di clarinetto elaborati in studio attraverso, principalmente, tecniche come il time-stretch, la granulazione e l’elaborazione spettrale. Il lavoro si è ispirato all’idea dei profili dei tetti delle case che, visti da una proiezione visiva dall’alto, mostrano spesso interessanti motivi geometrici materici. Così, l’evoluzione del suono ha voluto giustapporsi a queste architetture, che costituiscono un’identità caratterizzante del paesaggio urbano. Facendo propria l’eredità della musica minimalista, questo pezzo si è posto l’obiettivo di far entrare l’ascoltatore in una dimensione immaginata, fatta di forme e linee che definiscono le strutture dello spazio.

La compositrice Cristina Mercuri.

Assai interessante è il brano di Cristina Mercuri, Scaramouche (2020) per extended Guitar e Portative Electronics. La realizzazione dell’“elettronica portativa” nasce dal suo ideatore, il musicista Giuseppe Gavazza, che così ha voluto spiegare in che cosa consiste: «L’elettronica portativa (portata a compimento tra il 2010 e il 2022) è un concetto che ho sviluppato parallelamente alla mia esperienza di musicista, ispirato all’organo portativo, un organo di uso frequente dal XIII secolo. Il rapporto tra un organo portativo e un grande organo da chiesa o da teatro è lo stesso che si riscontra tra la mia elettronica portativa e la “grande” elettronica standard, con tutti i - facilmente immaginabili - limiti e vantaggi in entrambi i casi. Un’altra definizione potrebbe essere quella di “Elettronica Acustica”. Piuttosto che aumentare il livello sonoro degli strumenti acustici portandolo al livello dell’amplificazione elettronica, ho scelto di abbassare il livello dell’elettronica a quello degli strumenti acustici non amplificati. Due fili rossi convergono nello sviluppo di questo prototipo. Da un lato il mio desiderio - che ha accompagnato praticamente tutti i miei lavori elettronici fin dai primi anni Novanta - che l’origine del suono coincidesse con il luogo dello strumento che genera le vibrazioni; dall’altro la mia esperienza con GENESIS e sintesi per modelli fisici. Il Portative Electronics, nella sua attuale versione denominata TOS (The Orange Suitcase) può essere configurata a due, quattro o sei canali in uscita. Extended Guitar e Portative Electronics, quindi, sono due esperienze che si intrecciano e interagiscono tra loro sia tecnicamente che concettualmente». Il brano in questione è strutturato su tre livelli esecutivi: il primo si basa sulla chitarra acustica suonata dal vivo, il secondo sulla chitarra virtuale elaborato su una traccia monofonica e il terzo sugli electronics su traccia stereofonica. L’interprete (in questo caso, Davide Ficco) deve suonare una extended Guitar, ossia una particolare chitarra acustica creata dallo stesso Davide Ficco e dotata di altoparlante interno. Questo riproduce la traccia monofonica che impiega le risonanze della stessa cassa armonica della chitarra. Il chitarrista reale, durante l’esecuzione, dà inizio a un dialogo sempre più vivace e articolato con quello virtuale, realizzando così una sorta di discorso contrappuntistico, simile a quello presente nei generi rinascimentali della “caccia” o del “ricercare”. Qui, però, viene imbastito un contrappunto di nuova generazione, dove entrambi sviluppano capacità estemporanee tramite tecniche esecutive sperimentali, lasciando all’elettronica il compito di “miscelare” le emozioni espressive.

Il brano di Debora Picasso, Nothing more (2018) per chitarra classica e sound files, si ispira alla poetica di Edgar Allan Poe e, in particolare, al suo capolavoro The Raven e ne descrive musicalmente l’atmosfera, oltre ad alcuni momenti specifici (come, per esempio, partendo dalla battuta 19, quando lo strumento a corde viene stonato durante l’esecuzione, in concomitanza con il momento in cui il protagonista della poesia impazzisce lentamente; oppure, dalla battuta 65, quando si può avvertire lo sfregamento di una bacchetta di legno sulle corde della chitarra, con il suono ottenuto che intende evocare la voce di Lenora, la compagna del protagonista di The Raven). Nella prima parte del brano, il suono della chitarra preparata (esattamente con due forcine fissate alle corde) ricorda quello delle Midnight Bells di Fritz Kreisler; nelle battute successive, invece, il sonno del protagonista è rappresentato attraverso l’uso degli armonici, mentre l’elettronica produce, in lontananza, delle percussioni inaspettate. Inoltre, gli stessi electronics avvolgono la chitarra di un’atmosfera cupa e inquietante: non a caso la maggior parte dei suoni viene riverberata e frequentemente si riscontrano interventi improvvisi o brevi sequenze di note dissonanti.

Bruno Fabrizio Sorba.

Dau Phu (2022) per contrabbasso e live electronics di Bruno Fabrizio Sorba fa parte di un progetto musicale in cui il suono del contrabbasso (suonato dal coautore Stefano Risso) è trattato in tempo reale dall’elettronica, in questo caso con il software MaxMSP, oltre a filtri e l’impiego del Moog, senza l’impiego di nastri o parti preregistrate. Per quanto riguarda il trattamento del contrabbasso in tempo reale, sono state impiegate diverse tecniche di sintesi, tra cui la sintesi granulare e lo FM. Questo brano è il primo di una suite dedicata alla cucina nel mondo, una sorta di “primo piatto” tra quelli che idealmente rappresentano i sapori delle innumerevoli tradizioni culinarie del nostro pianeta. Come fiumi sotterranei, le varie ricette gastronomiche uniscono i popoli della Terra, mescolando storia, lingue e tradizioni. E così, come i pasti di una tradizione lontana dalla nostra possono sembrarci curiosi o arditi, allo stesso modo Dau Phu propone un “menù” di suoni che possono sembrare estranei, ma che appartengono al patrimonio culturale di tutti noi.

Altrettanto particolare è Uroboros Reprise (2013) per chitarra elettrica preparata e live electronics di Francesco Torelli. Questo lavoro è stato registrato dal vivo, poiché l’improvvisazione è parte integrante della composizione. L’interprete (qui lo stesso Torelli) interviene sollecitando la chitarra, cambiando gli oggetti che ne modificano il timbro, e controllando un software creato ad hoc. Questi interventi sono scritti sulla partitura, che dà indicazioni generali, lasciando, però, anche molte possibilità di scelta autonoma. Attraverso un computer, gli elementi musicali vengono continuamente registrati in brevi loop di diversa durata, per poi essere riproposti dopo essere stati elaborati dal punto di vista timbrico e di durata. Il software include alcuni processi algoritmici, generando risultati casuali con i quali il musicista deve poi interagire. Si viene così a creare un flusso di eventi che ciclicamente si ripropongono nel tempo, sempre nuovi e, allo stesso tempo, sempre identici nella loro intima natura. Come un uroboro, ossia la raffigurazione di un serpente o di un coccodrillo che si morde la coda, la musica qui contenuta si genera continuamente e si autoalimenta. Una componente primaria di questo brano è data dal ritmo, che funge da elemento di congiunzione tra gli elementi sonori creati naturalmente dalla chitarra e quelli generati elettronicamente, divenendo di conseguenza il linguaggio comune impiegato nel dialogo che si instaura tra i due strumenti.

Bloom(2022) improvvisazione per chitarra elettrica e live electronics di Andrea Trona è un brano eseguito dal vivo dal duo di improvvisazione composto da Simone Grande (alla chitarra) e dallo stesso Andrea Trona. La loro pratica si basa sull’ascolto reciproco e sugli spazi sonori di confine che, di volta in volta, creano in modo estemporaneo e libero. La loro è un’improvvisazione radicale, totalizzante, dove si sviluppa il dialogo musicale tra la chitarra elettrica e un setup elettronico digitale, sondando la diade musicista-spazio, ogni volta diversa, nuova e, spesso, sorprendente. In questo modo, i due musicisti conducono l’ascoltatore all’interno della loro visione sonora, fatta di suoni duri e perturbanti, ma anche da suoni delicati e piatti. L'elemento caratterizzante di Bloom è la disaggregazione, ossia la variazione imprevedibile e mutevole del materiale sonoro. È un crepitio, costantemente modificato, che esprime un linguaggio musicale rarefatto, imprevedibile, fatto di granuli e residui. Il suono che si ascolta è eterogeneo e non include materiale sonoro precostituito e dà vita a combinazioni che si contaminano a vicenda, prendendo sempre nuova vita e nuovi significati attraverso l’adattamento, la modulazione e l’intervento in tempo reale del musicista.

Il compositore Gianluca Verlingieri.

Conclude la raccolta presente nella registrazione Für… Elise? Elettrovariazioni su un tema (2002-2004) per un pianista, un Yahama Disklavier® controllato in tempo reale e live electronics di Gianluca Verlingieri. Si tratta di un lavoro pensato espressamente al virtuosismo del pianista Alessandro Commellato e al suo alter ego virtuale, lo Yamaha in questione. Quando ha composto questo brano, il musicista piemontese stava ultimando gli studi di composizione e musica elettronica al Conservatorio. In questo lavoro giovanile, però, già si intravedono i segni di quel processo creativo elettivo che ha poi avuto modo di sviluppare negli anni successivi, ossia quell’“analisi e risintesi” di musiche e suoni provenienti da altre realtà cronologiche e geografiche. A tale proposito, Verlingieri ricorda così la genesi di questo lavoro: «Ho scelto questo materiale tematico estremamente noto per l’idiomaticità con cui riprende, nell’immaginario collettivo, l’idea stessa di pianoforte. L’apparente semplicità, sia compositiva che esecutiva, della celebre pagina di Beethoven mi ha stimolato a complicare il discorso attraverso l’ausilio di un Disklavier® che interagisce in tempo reale con un pianista in carne e ossa, attraverso un algoritmo programmato nell’ambiente Max, simile a un complesso “arpeggiatore”, in un riferimento indiretto a una tecnica per la creazione tematica che è tipico di Beethoven». Il risultato è una serie di episodi musicali epigrammatici, in cui Verlingieri riprende la classica forma della variazione, giocando spesso sul filo dell’ineseguibilità di certi passaggi per un interprete umano senza l’aiuto di un alter ego virtuale. In questo modo, l’interprete “vende la sua anima” alla macchina e si integra con essa in maniera indistinguibile, giungendo, in conclusione, a un diabolico morphing dell’incipit beethoveniano con il gregoriano Dies irae. Questo rimando classico è ulteriormente suggellato da elaborazioni elettroniche preregistrate di cellule della Bagatella, realizzate attraverso il linguaggio C-Sound; “accendono” l’azione del pianista, mentre, allo stesso tempo, esplorano lo spazio acustico circostante, grazie a una spazializzazione multicanale.

L’ascolto di questo disco non è semplice, ma se si riesce a entrare in sintonia con il meccanismo dell’esplorazione dato da strumenti acustici ed elettrici con l’apporto dell’elettronica, il fascino che ne deriva è indubbio. Questo perché il risultato che può scaturire dalla musica elettronica tout court è radicale: o è un lavoro valido o è semplicemente spazzatura. E qui, di spazzatura non ce n’è traccia, fortunatamente, in quanto l’opera di ricerca è sempre rigorosa, fruttuosa, pregna di un significato che, anche nei suoi frangenti più estremi, non viene mai meno. Un’opera corale capace di insegnare e di far comprendere che i sentieri intrapresi non portano malinconicamente a binari morti. E soprattutto, testimonia il lavoro che il METS di Cuneo sta coraggiosamente portando avanti.

Ovviamente, a causa della particolarità di queste opere, non si può valutare l’entità della presa del suono, ma si può affermare che le soluzioni sonore e timbriche qui ottenute risultano essere più che lodevoli.

Andrea Bedetti

AA.VV. – Outlines. Twenty Years of Young Italian Electronic Music

Interpreti vari

CD Da Vinci Classics C00648

Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5