All’interno della scena musicale italiana, quello del Duo Dubois – giovane formazione dedita alla nuova musica di ricerca, attiva nel Paese e all’estero, vincitrice di numerosi premi – è un caso particolarissimo ed entusiasmante. E lo stesso si può dire del loro primo progetto discografico, intitolato SÙSU e da poco uscito per l’etichetta EMA Vinci Contemporanea.

L’organico, innanzitutto, è inusuale: sassofoni e percussioni, suonati da Alberto Cavallaro e Federico Tramontana, entrambi classe 1995. La data di composizione dei brani che eseguono è recentissima: non ce n’è uno che sia più vecchio del 2018. Ma si rimane colpiti, soprattutto, per l’intensità e la concentrazione del loro suono, per il commitment che traspare dalle loro interpretazioni e per la varietà e la qualità dei brani che eseguono, tutti commissionati da loro e tutti passati per un’approfondita opera di limatura in collaborazione diretta con le autrici e gli autori coinvolti nel progetto.

Di fronte a SÙSU vien subito da pensare che i due strumentisti appartengano a una nuova generazione di interpreti di musica contemporanea. Una generazione per la quale le nuove tecniche strumentali sono acquisite e trasparenti, ed è quindi possibile – di fronte a un brano nuovo – dedicarsi direttamente all’interpretazione e all’espressione. Ma viene il sospetto che dietro alla vividezza dei mondi sonori catturati nel CD ci sia anche qualcos’altro, ossia un quid riconducibile alle circostanze dell’incisione, avvenuta da qualche parte nell’interno della Calabria, non lontano dai luoghi di origine dei due musicisti.

È a questo contesto che fa riferimento il titolo del lavoro (sùsu ovvero «in alto», per indicare le zone montuose del centro della regione, in contrapposizione alla parte della costa); ed è in questo ambiente che, ci si immagina, ha potuto trovare il tempo di formarsi il suono del CD, che ci si potrebbe azzardare a definire – un po’ per le caratteristiche intrinseche degli strumenti, della loro emissione complementare, con il fiato e con le mani; un po’ per la componente materica che prevale nella maggior parte dei brani – un suono “mediterraneo”. E subito si spalanca un universo di associazioni: con il mare e con il bosco, con il paganesimo e con l’antica Grecia, con il mito e con il rito e con altre categorie quasi «antropologiche» che in un modo o nell’altro – senza però alcun riferimento diretto alla musica popolare – fanno la loro comparsa poetica in molti dei brani del disco.

È il caso di Scura e incerta la lunga leggerezza del mare della compositrice padovana Maura Capuzzo, scritto «nell’estate 2018, in un periodo di aspri dibattiti sul tema dell’immigrazione, innescati dai drammatici sbarchi di migranti»: vera e propria odissea contemporanea (e proprio per la Calabria, secondo alcune ricostruzioni, passò Ulisse nel suo ritorno verso Itaca). Un brano evocativo che pullula di suoni marini come il rumore della risacca e il fischiare del vento, mischiati a vaghi riferimenti orientali, quasi un viaggio a ritroso verso i suoni dei Paesi da cui proviene chi tenta lo sbarco in Italia. Ma è il caso anche di Orazion picciola di Maria Teresa Treccozzi, anche lei calabrese: musicalmente un continuo scambio di ruoli tra il sassofono e il tamburo, colto con particolare plasticità nella bella registrazione; poeticamente una sorta di discorso infernale che prende ispirazione dal discorso di Ulisse nel Canto XXVI dell’Inferno: «Fatti non foste,… », utilizzato nella traduzione in dialetto calabrese di Don Giuseppe Blasi, della quale i musicisti devono recitare – con voci alterate – alcuni frammenti.

Il Duo Dubois, composto da Federico Tramontana alle percussioni e Alberto Cavallaro ai sassofoni.

Ci allontaniamo un po’ dalla costa con Il bosco del Fatonero di Andrea Nicoli, ispirato ad alcune leggende delle Alpi Apuane e basato sulla ricerca di suoni lunghi dal timbro indecifrabile (il lamento degli alberi o le premonizioni degli spiriti delle foreste?) che si alternano con strani agguati, misteriosi rituali sonori e giochi lontani di folletti. Ma anche con Giorni ritorni divago ricordo di Alessandro Milia, che – al contrario dai brani visti finora – non punta da subito a una fusione dei timbri dei due strumentisti, ma ne sfrutta l’eterogeneità per evocare un tipo di spazio diverso e più raccolto, forse domestico e infantile, nel quale trova posto anche l’evocazione dei luoghi natali del compositore (la Sardegna).

Più “musica” in senso tradizionale e meno ricerca ed evocazione timbrica, il breve Abstract Landscape di Andrea Talmelli – il più anziano dei compositori inclusi nel CD – è quello che più ricorda il linguaggio storico del secondo Novecento. Sempre astratto, perché privo di un sia pur vago «programma», ma giocato di nuovo sulla fusione timbrica è infine Tutte le estensioni dell’aura di Maurizio Azzan, l’ultima traccia del disco: un lungo, impeccabile arco formale dal silenzio al silenzio, che mira alla fusione totale dei timbri e valorizza forse più di ogni altro la capacità di ascolto e l’intesa reciproca fra i due musicisti.

Il suono è stato catturato da Giuseppe Francesco Greco e denota una dinamica che ha il pregio di evidenziare il timbro e le sfumature armoniche degli strumenti, con uno spazio sonoro palpabile e nel quale i due interpreti sono fisicamente posti in modo corretto. Anche l’equilibrio tonale e il dettaglio garantiscono una buona ricostruzione dell’evento sonoro.

Leonardo Mezzalira

 

AA.VV. – SÙSU

Duo Dubois

EMA Vinci Contemporanea – EMA70171

Giudizio artistico 4/5

Giudizio tecnico 4/5