Lo sviluppo del clarinetto ebbe un impulso decisivo quando Ivan Müller, un musicista parigino nato in Russia, ideò all’inizio dell’Ottocento uno strumento che si differenziava nettamente rispetto ai modelli precedenti creati come semplici modifiche o miglioramenti dello chalumeau barocco. Il clarinetto di Müller fu il primo, infatti, a poter suonare in tutte le tonalità, anche se nel 1812 quando fu esaminato dagli specialisti del conservatorio di Parigi venne rifiutato. Eppure, senza Müller, questo strumento non avrebbe poi avuto lo sviluppo decisivo dato in seguito dai teorici e costruttori tedeschi, a cominciare da Hyacinthe Eléonore Klosé, che produsse un clarinetto basato sul “sistema Böhm”, ossia adottando le modifiche fatte dal flautista e inventore Theobald Böhm, il quale aveva introdotto sul flauto le chiavi ad anello. Inoltre, Klosé adottò sul clarinetto i fori cigliati di Müller e aggiunse nuove chiavi, giungendo a un totale di diciassette, con il risultato di ottenere uno strumento a fiato più facile da gestire e da suonare, da poter utilizzare in tutte le tonalità. Da quando fu esibito per la prima volta nel 1839 a Parigi, il clarinetto ideato da Klosé divenne un punto di riferimento per i compositori dell’epoca, alla ricerca di un suono scuro ma allo stesso tempo squillante, capace di emettere contemporaneamente una gamma di timbri suadenti e malinconici.
A livello cameristico, ancor prima di Brahms, il quale, sebbene ormai anziano e amareggiato al punto di abbandonare la composizione dopo la stesura dell’Op. 111 (il Quintetto per archi in sol maggiore), nel 1891 fu folgorato da Richard von Mühlfeld, clarinettista di corte a Meiningen, che lo spinse a scrivere capolavori dell’estrema maturità come il Trio Op. 114, il Quintetto Op. 115 e le due Sonate Op. 120, fu Schumann a restare ammaliato dalle peculiarità del clarinetto, anche se da un punto di vista che lo vide maggiormente utilizzato nelle dinamiche della cosiddetta Hausmusik, più che da quelle tecniche, come fece invece Brahms quarant’anni più tardi.
Per avere un’idea di come Schumann scrisse tenendo conto del clarinetto in ambito cameristico giunge a proposito una recente registrazione discografica, quella proposta dall’etichetta francese Aparté, che ha prodotto un CD che presenta i Fantasiestücke Op. 73 per clarinetto e pianoforte e i Märchenerzählungen Op. 132 per clarinetto, viola e pianoforte, interpretati da Patrick Messina al clarinetto e da Fabrizio Chiovetta al pianoforte, oltre alla presenza del violista Pierre Lenert. A queste pagine, il duo Messina & Chiovetta ha voluto aggiungere anche altri lavori cameristici non nati espressamente per clarinetto, come tre brani (In der Nacht, Trauer e Abendlied) tratti dai 12 Klavierstücke für kleine und große Kinder op. 85 e i Drei Romanzen Op. 94 per violino e pianoforte, oltre ai Drei Romanzen op 22, sempre per violino e pianoforte, di Clara , adattandoli a livello di ottava per lo strumento a fiato, nel pieno rispetto di quanto prescriveva la Hausmusik nel cuore dell’Ottocento, in cui diverse opere da camera, destinate a un uso privato, potevano essere eseguite indifferentemente, con l’accompagnamento del pianoforte, da più strumenti, come appunto nel caso dei Fantasiestücke che, oltre con il clarinetto, potevano essere interpretati con il violino o con il violoncello, e dei Drei Romanzen Op. 94, composti per oboe e pianoforte, ma adattabili ad libitum, come prescrisse Schumann, per clarinetto o violino.
I Fantasiestücke, i Drei Romanzen e i Klavierstücke für kleine und große Kinder furono scritti da Schumann nel 1849, mentre i Märchenerzählungen risalgono al fatidico 1853, così come i Drei Romanzen di Clara Wieck. Come a dire due opposti che si toccano, visto che se il 1849 fu uno degli anni più fecondi e felici di Schumann, l’ultimo trascorso tra Dresda e la ridente campagna di Kreisha (quest’ultima località fu scelta per evitare i moti insurrezionali, che vide coinvolta la città sassone, ai quali, contrariamente a Wagner e a Bakunin, il musicista di Zwickau non volle prendere parte, da sempre inorridito da ogni forma di violenza e ribellione), al contrario il 1853 rappresentò per il compositore romantico l’anno in cui affiorarono in modo sempre più grave e conclamato i segni di una profonda depressione che portarono ineluttabilmente all’esplosione di follia del successivo febbraio 1854.
Anche se questi brani appartengono quindi alla letteratura dell’Hausmusik, non significa che siano stati scritti in modo superficiale o distratto; tutti, compresi quelli di Clara Wieck (anche se il loro spessore creativo è inferiore a quelli del consorte), denotano cura e dettaglio, votati a una sottile introversione (Fantasiestücke) o a una brillantezza tematica che si fa più serrata e articolata (Märchenerzählungen, anche grazie alla presenza della viola), in cui vengono riversati uno spensierato virtuosismo e un efficace impianto melodico.


Lo stesso duo Patrick Messina & Fabrizio Chiovetta, questa volta con la presenza del violoncellista Henry Demarquette, ha voluto poi scandagliare la musica cameristica contemporanea per clarinetto, registrando un disco, sempre per l’etichetta Aparté, con una pagina di Henryk Mikołaj Górecki, Lerchenmusik. Recitatives and Ariosos, Op. 53, e due prime registrazioni mondiali, Kaleidoscopic Etudes, Op. 97 di Jaan Rääts e Mozart – Adagio di Arvo Pärt.
Górecki, come ben sa chi conosce la produzione musicale del compositore polacco, non è da ricordare solo per la celeberrima e annosa Terza sinfonia, ma anche per la sua produzione cameristica. Lerchenmusik rappresenta, in tal senso, una delle sue opere strumentali più ambiziose, frutto di un lavoro iniziato nel 1984 e concluso due anni dopo, che andava a ripresentare un lavoro cameristico, genere che Górecki aveva abbandonato nel 1970. Una pagina nella quale il compositore polacco riversò il suo proverbiale “spiritualismo minimalista” (i tre tempi sono Lento, Molto lento e Andante moderato), adattandolo a forme compositive che richiamavano gli aspetti strutturali della musica dell’Est europeo degli anni Sessanta, con improvvisi squarci cupi che tagliano di netto l’ipnotico tessuto timbrico dato dai tre strumenti. È stato fatto notare come questo brano (e non solo per via del titolo, Lerchenmusik in tedesco significa “Musica delle allodole”) richiami stilemi e strutture presenti in Olivier Messiaen e a un andamento timbrico simile al celeberrimo Quatuor pour la fin du Temps (d’altronde, per avere lo stesso organico di quel capolavoro sarebbe bastato aggiungere il violoncello), ma l’impronta d’originalità data dall’autore polacco sovrasta ogni altro possibile richiamo, comprese le note iniziali del Quarto concerto pianistico beethoveniano, simbolo di un aulico e nostalgico passato dal quale Górecki sembra attingere ispirazione e propulsione creativa.
Il compositore estone Jaan Rääts si richiama indubbiamente a uno stile neoclassico; la sua musica viene contrassegnata da un vigoroso impulso ritmico, in cui i vari frammenti stilistici sono esaltati da un affascinante costrutto percussivo dove trovano spazio richiami mozartiani e cluster contemporanei, motivi di musica barocca e folk, linee polifoniche e ritmi di musica pop. Insomma, uno stile caleidoscopico, che viene evidenziato esemplarmente proprio da Kaleidoscopic Etudes, nel quale i tre strumenti alternano il loro manifestarsi timbrico ruotando la loro dimensione espressiva, come un diamante a tre facce che gira su se stesso.
Scritto nel 1992, il Mozart – Adagio di Arvo Pärt fu composto per il trio Kalichstein-Laredo-Robinson su commissione del Festival di Helsinki, dove fu eseguito in prima assoluta. Questo brano, ideato per violino, violoncello e pianoforte (ma con il clarinetto che può sostituire il violino) fu dedicato dal musicista estone alla memoria di Oleg Kagan, uno dei maggiori violinisti russi e amico dello stesso Pärt. Kagan amava la musica di Mozart e il compositore volle ricordare l’amico violinista trascrivendo uno dei tempi più belli del corpus delle sonate pianistiche mozartiane, l’Adagio dalla Sonata in fa maggiore, K. 280. Da qui una pagina in cui i meravigliosi aspetti compositivi di Mozart si uniscono, dando vita a un sottilissimo e riuscitissimo equilibrio formale e timbrico, ai celeberrimi Tintinnabuli di Pärt.
In entrambe le registrazioni Patrick Messina, primo clarinetto dell’Orchestre National de France e solista di assoluto livello internazionale, e Fabrizio Chiovetta dimostrano di sapersi destreggiare sia nel repertorio classico, sia in quello contemporaneo, ottimamente coadiuvati e spalleggiati da Pierre Lenert in Schumann e da Henry Demarquette nel disco dedicato agli autori contemporanei. Se il clarinettista francese è a dir poco preciso ed espressivo in Schumann, con una lettura capace di esaltare sia la dimensione riflessivo-introversa nei Fantasiestücke, sia quella maggiormente estroversa e “patologica” nei Märchenerzählungen, il pianista ginevrino dimostra di essere un perfetto alter ego per affinità esecutiva e sensibilità espressiva. E lo stesso, se non addirittura meglio, avviene anche nel disco dedicato al trittico contemporaneo, in cui Messina e Chiovetta padroneggiano la materia sonora con una proprietà e una lucidità di intenti veramente notevole, con un senso di immedesimazione di totale appartenenza a quanto espresso con i loro strumenti.
Ottime entrambe le prese del suono: la dinamica è sempre corposa, veloce, squisitamente materica, il palcoscenico sonoro riesce a riproporre idealmente gli interpreti fornendo la debita profondità spaziale. Anche l’equilibrio tonale e il dettaglio non sono da meno, contribuendo a garantire una qualità tecnica di notevolissimo valore.
Andrea Bedetti

Robert Schumann – Music for Clarinet
Patrick Messina (clarinetto) – Fabrizio Chiovetta (pianoforte) – Pierre Lenert (viola)
CD Aparté AP153

Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 5/5

AA.VV. – Kaleidoscopic
Patrick Messina (clarinetto) – Fabrizio Chiovetta (pianoforte) – Henry Demarquette (violoncello)
CD Aparté AP187

Giudizio artistico 5/5
Giudizio tecnico 5/5