Anche se potrà sembrare un paragone ardito, possiamo vedere nella musica di Benjamin Britten, uno dei grandi compositori del Ventesimo secolo, un nucleo di purezza espressiva, di verginità dell’animo umano, di ricerca di un’essenza scevra della cattiveria e dell’indifferenza umane accostandolo alle tematiche della poetica del fanciullino di pascoliana memoria. E questo vale, all’interno della sua vastissima produzione, soprattutto per il genere delle opere dedicate al coro di voci bianche, che nel nostro Paese è ancora quasi del tutto sconosciuto e pochissimo ascoltato. Si può ben affermare, senza il rischio di essere smentiti, che nessun altro compositore è stato capace di esaltare le voci bianche come ha fatto il musicista inglese, proprio sull’onda di una concezione musicale, sia nella scelta dei testi, sia delle tematiche espresse dalle voci dei bambini, che si ricollega idealmente a quell’immagine pascoliana del poeta-fanciullo e che in Britten si trasmuta in quella del musicista-fanciullo.

A ben vedere, anche il compositore inglese, come nel caso del poeta romagnolo, è stato affascinato dalla dimensione esplorativa e cognitiva che avviene attraverso i lampi intuitivi, in quanto gli occhi dei fanciulli, grazie alla loro innocenza, scoprono nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose; inoltre, adottano meccanismi particolari per relazionarsi con il mondo esteriore, come nel caso di rimpicciolire per poter vedere le cose brutte o cattive o nell’ingrandirle per poterle ammirare, giungendo in tal modo al cuore delle cose e al mistero che palpita in ogni aspetto della vita. E come nella poesia pascoliana, che è fondamentalmente scoperta, disvelamento, anche la musica di Benjamin Britten è capace di trasformarsi in occhi infantili capaci di guardare semplicemente e serenamente nei meandri tumultuosi dell’animo umano.

Questo saper guardare e, in un certo senso, discernere ciò che si osserva, ciò che si contempla con uno sguardo e un cuore puri, viene “raccontato” all’ascoltatore da questo disco, in cui il maestro Paolo Lucci ha diretto il Coro delle Voci Bianche dell’Arcum, che ha eseguito alcune pagine del repertorio dedicato da Britten ai cori infantili, attraverso un excursus cronologico che va da Three Early Songs, scritte dal musicista inglese nel 1922, quando aveva solo nove anni (un fanciullo che compone per fanciulli!), fino alla pagina del tutto inedita de Alleluja! For Alec’s 80 Birthday, risalente al 1971, a soli cinque anni dalla sua morte e passando da due autentici capolavori, il ciclo di dodici canti de A Ceremony of Carols (scritto nel 1942, durante l’avventuroso viaggio su nave tornando in Inghilterra dall’America e completato poi sulla terraferma l’anno successivo) e la ballata tragica Children’s Crusade, che Britten compose nel 1968, tratta dalle trentacinque strofe senza rima che Bertold Brecht scrisse nel 1942 e nelle quali raccontò la storia, realmente avvenuta, di cinquantacinque bambini che nella Polonia del 1939 scapparono per trovare la pace.

Ma se è vero che dietro a queste opere si può celare la dimensione esplorativa ed esistenziale di un “fanciullino” che osserva il mondo e cerca di riprodurlo attraverso le proprie emozioni con l’ausilio di voci infantili, che rimandano quindi a una purezza e a un’innocenza delle quali Britten non può farne a meno, è anche vero però che alcuni brani, a cominciare proprio dalla Children’s Crusade (che prevede, oltre alle voci bianche, anche due pianoforti, organi e percussioni e la cui prima avvenne nella cattedrale di Saint Paul di Londra nel 1969 per celebrare il cinquantesimo anniversario dell’organizzazione Save the children) richiedono da parte dei giovanissimi interpreti una caratura psicologica ed espressiva che necessariamente va oltre la propria età, come nel caso dei tre pezzi tratti da This Way to the Tomb, risalenti al 1945 e originariamente previsti per voce e pianoforte su testi di Ronald Duncan, la cui densità (complessivamente non raggiungono i quattro minuti di durata) deve fare i conti con un’espressività vocale che deve descrivere il passaggio dal giorno alla notte, dalla luce alle tenebre, simbolicamente rappresentate proprio dal concetto della tomba. O ancora nel meraviglioso Psalm 150, scritto nel 1962 (ed è un peccato che in questa registrazione non ci sia un’altra densa pagina come la toccante Missa Brevis in re maggiore, op. 63), che dietro la sua apparente festosità cela ombre venate da inquietudini (rese dagli archi gravi e dalle voci che in una chiave dissonantica impongono una duttilità interpretativa che potrebbe mettere in difficoltà voci di adulti).

Ma questo fa parte della concezione non solo musicale ma anche estetica di Benjamin Britten, in cui la sua dimensione di “musicista-fanciullino” intende sondare pieghe ambigue e dal sapore torbido, nelle quali la purezza si stempera nella melma (a tale proposito, come dimenticare due suoi capolavori operistici come The Turn of the Screw e Death in Venice, in cui i protagonisti infantili e adolescenziali presenti in queste opere, Miles e Flora nell’una e Tadzio nell’altra, sconfinano e fanno sconfinare nella perdizione?) e nella quale le voci infantili a tratti perdono la loro naturale e sintomatica innocenza per assumere contorni più inquietanti, in cui l’ombra riesce a impossessarsi della luce.

Le registrazioni di queste e delle altre pagine che fanno parte di questo CD spaziano dal 1980 fino al 2016, ma il risultato fornito dai giovanissimi elementi del Coro di Voci Bianche dell’Arcum è a dir poco di alto valore artistico ed espressivo. C’è una capacità, una duttilità, una proprietà di adattarsi ai contesti formali e del contenuto di queste opere, unite, quando si presenta, a una pronuncia della lingua inglese davvero notevole, da porre tali interpretazioni a un livello di riferimento. Merito, indubbiamente, di Paolo Lucci, che evidentemente ha saputo immettere nel corso dei decenni quella linfa artistica e umana in grado di modellare non solo la qualità tecnica delle voci, ma soprattutto la loro resa espressiva, andando a stimolare e a evidenziare quei connotati psicologici e timbrici che fanno la differenza tra un discreto coro di voci bianche ed uno di altissima qualità. Proprio come nel caso del coro dell’Arcum.

Anche le varie prese del suono non tradiscono la qualità tecnica, anche se in alcune di esse il fattore riverberante è leggermente troppo accentuato, con il risultato di porre troppo in profondità la presenza fisica e timbrica delle voci. Ma è un particolare che non va a intaccare la bontà dell’incisione.

Andrea Bedetti

 

Benjamin Britten – Britten

Coro delle Voci Bianche dell’Arcum – Paolo Lucci (maestro del coro)

CD Armel Music ARDL 30997

Giudizio artistico 5/5

Giudizio tecnico 4/5