Il rinnovato e auspicabile interesse che diversi interpreti e alcune case discografiche hanno dimostrato di avere, negli ultimissimi decenni, nei confronti di Mario Castelnuovo-Tedesco tra i vari meriti vanta soprattutto quello di aver messo in rilievo la personalità a tutto tondo del compositore fiorentino. Tale peculiarità non investe solo l’aspetto squisitamente musicale, liberandolo finalmente dalle ristrettezze che una certa musicologia del secondo Novecento lo aveva forzatamente inserito, vale a dire puntando quasi esclusivamente l’attenzione sulle sue composizioni per chitarra, come se Castelnuovo-Tedesco fosse una sorta di Joaquín Rodrigo nostrano, ma mettendo finalmente in luce anche quegli aspetti extramusicali che hanno fatto parte del Castelnuovo-Tedesco uomo e intellettuale.
Questo perché non si può comprendere appieno la portata, l’importanza, la duttilità della musica del compositore fiorentino se non si ha presente un fattore fondamentale, quello legato alla sua essenza eminentemente “umanistica”, di cui l’arte dei suoni rappresenta la punta dell’iceberg. E questo vale soprattutto per il Mario Castelnuovo-Tedesco costretto a impersonare la figura e la relativa essenza dell’esule, quando nel 1939 fu costretto con la famiglia a lasciare l’Italia per riparare negli Stati Uniti in quanto ebreo. È da quel momento così doloroso, così traumatico, tale da segnare una svolta anche nell’evoluzione della sua musica, che prende avvio nel musicista fiorentino la missione di voler essere anche e soprattutto un “testimone” di una concezione culturale, intellettuale e artistica che nulla aveva a che vedere con l’irruzione di un processo storico, politico e ideologico nel quale non si riconosceva. Ed è proprio da questo “non riconoscersi” che dà la stura al periodo artistico statunitense, segnato paradossalmente da altre umiliazioni e privazioni, come racconta lo stesso musicista nella sua autobiografia, visto che all’indomani della dichiarazione di guerra tra Stati Uniti e Italia fu costretto, in quanto cittadino di un Paese in guerra con gli USA, a rispettare restrizioni alla sua libertà individuale per motivi di “sicurezza nazionale”. Ecco, allora, che la sua opera musicale, soprattutto a partire da quel periodo, si rende sempre più testimonianza, caratura artistica di un passato e di una tradizione che affondava le radici nella grande storia pittorica e letteraria italiana e della quale il musicista era un attento studioso e appassionato.
Musica come espressione “totalizzante”, dunque, concepita con una densità d’intenti e di valori “arricchiti” tali da restare aggregati nel tempo, perché per Castelnuovo-Tedesco l’apporto dato dalla musica doveva essere anche opera di pacato, ma fermo, monito nel susseguirsi storico, pur mantenendo vivo quell’indispensabile afflato estetico, intrisa di un’irrinunciabile bellezza “costruttiva”.
Come appunto testimoniano le pagine del compositore fiorentino che il pianista cosentino Angelo Arciglione ha registrato per l’etichetta discografica Digressione Music in un disco che porta il titolo evocativo di Dedications. Arciglione, che è un indagatore della musica pianistica italiana del Novecento e che ha già dedicato un altro CD (intitolato Exotica, sempre per la stessa casa discografica) a Mario Castelnuovo-Tedesco con la violinista Eleonora Turtur, ha voluto registrare, in prima assoluta mondiale, la Suite nello Stile Italiano op. 138 e Six Pieces in form of Canons op. 156, oltre a uno dei Greeting Cards op. 170, quello dedicato all’amico e collega Luigi Dallapiccola. Da qui si spiega il titolo Dedications, in quanto la Suite fu composta nel 1947 per il pianista polacco Jakob Gimpel, esule anch’egli negli USA, che desiderava un brano ad hoc con il quale iniziare i suoi concerti solistici, mentre i Six Pieces, scritti alla fine del 1952, dedicati al musicologo viennese Gerhard Albersheim, furono creati per andare oltre una mera operazione didattica e per rendere, attraverso la classica forma del “canone”, “raffigurativa” (ma non didascalica!) la dimensione del ricordo, della stima, attraverso l’arte della dedica (cosa, tra l’altro, ribadita proprio con l’apporto discografico del Greeting Card per Dallapiccola).
Così, ascoltando la Suite, basata sul retaggio delle danze rinascimentali italiane (ma che distanza abissale dalla concomitante visione che ne diede Ottorino Respighi!), attraverso il fitto, densissimo, raffinato fraseggio possiamo addirittura scorgere l’immagine di fittizi fondali di scena, raffiguranti scene della commedia dell’arte, dipinti da quell’eccelso metafisico razionalista che è stato Alberto Savinio, mentre i Six Pieces, di cui gli ultimi tre sono dedicati rispettivamente a Gabriel Fauré, a Emmanuel Chabrier e ad Alfredo Casella, la visione che se ne trae, nella loro minima durata temporale, è quella di una serie di cammei, in cui lo scontorno e la silhouette vengono tratteggiati mirabilmente come se fossero dei carboncini in cui la grana del tratto viene sostituita con una nettezza formale che si fa sottilmente diamantina.
Proprio la preziosità di queste brevi pagine (il tempo totale della registrazione arriva a soli quarantacinque minuti) ci consegna la misura, lo spessore dell’uomo/artista Mario Castelnuovo-Tedesco, di colui che attraverso la musica si fa, per l’appunto, testimone del proprio tempo attingendo ad altri tempi (anche il già citato Casella lo fu, ma su altri ritmi e attraverso altre angolazioni stilistiche ed esistenziali) ed è proprio nella pagina finale, il Greeting Card indirizzato a Luigi Dallapiccola (e qui si coglie meglio il perché Angelo Arciglione lo abbia voluto inserire come chiosa finale), che si rende evidente il tagliente filo sospeso sul quale il compositore fiorentino si mantenne artisticamente in perenne equilibrio, raffigurando il collega istriano attraverso la lente d’ingrandimento di un classicismo che per Castelnuovo-Tedesco era elemento di eterna continuità e di fruttuoso confronto con ciò che la modernità (e non il modernismo) poteva offrire in termini di evoluzione. Così, nei quasi sette minuti di durata di questa “cartolina d’auguri” Dallapiccola viene messo deliziosamente (e malinconicamente) a nudo, spogliato dagli strati sonori della sua serialità musicale, prodigiosamente solare e mediterranea, per essere restituito alle sue fattezze di uomo, di intellettuale, di “testimone” come lo è stato Mario Castelnuovo-Tedesco.
Sia detto per inciso che la preziosità di queste pagine dense e rarefatte allo stesso tempo è tale anche per via dell’altrettanta preziosità interpretativa data dal pianista cosentino, il quale dimostra di saper rendere il Castelnuovo-Tedesco musicale partendo dal Castelnuovo-Tedesco extra-musicale. Sì, perché Angelo Arciglione ha saputo rendere vivide, palpabili, “teatrali” tali pagine attraverso una lettura a tutto tondo, evocando non dallo spartito, ma attraverso di esso. Quindi, il suo pianismo è fatto di sentori, di profumi, di immagini, soprattutto, con i quali ha affastellato un pregevolissimo “album di ricordi”, di quelli che si sfogliano quando si vuole tornare indietro nel tempo per calarsi in una temperie che si vuole meno indistinta e sfuocata. Paradossalmente, proprio la sua sagacia esecutiva, la sua ricerca prima musicologica e poi musicale, ci fanno comprendere meglio per quali motivi l’opera e lo sterminato catalogo di Mario Castelnuovo-Tedesco hanno fatto fatica per decenni prima di potersi meritatamente ritagliare il dovuto spazio storico nell’excursus musicale a cavallo tra il secolo passato e quello attuale; motivi che devono imporre una riflessione e che possono essere ricondotti a una pigrizia critica nelle valutazioni e nelle considerazioni, le quali non hanno saputo fissare adeguatamente la complessità, la profondità dell’“umanista”, prima ancora che del musicista, Mario Castelnuovo-Tedesco.
La presa del suono effettuata da Giovanni Chiapparino ricostruisce in modo efficace il pianoforte Fazioli, utilizzato per la registrazione, al centro del palcoscenico sonoro, in posizione leggermente avanzata ma non squilibrata. La dinamica è ottimale e la compressione dei registri opposti è più che accettabile, soprattutto in quello acuto, a beneficio dell’equilibrio tonale. Infine, il dettaglio riesce a mettere debitamente a fuoco lo strumento, scontornandolo con molto nero.
Andrea Bedetti
Mario Castelnuovo-Tedesco -Dedications
Angelo Arciglione (pianoforte)
CD Digressione Music DCTT100
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5