Come quelle di molti altri musicisti di un passato più o meno remoto, anche quella del genovese Giovanni Antonio Guido, nato intorno 1675 e morto presumibilmente dopo il 1729, ha molti punti oscuri, soprattutto per ciò che riguarda la sua vita, anche se alcune sue opere sono fortunatamente giunte fino a noi, come gli Scherzi armonici sopra le quattro stagioni dell’anno, op. 3, a imitazione delle Quattro stagioni vivaldiane, e i Mottetti (pubblicati nel 1707), ai quali vanno ora ad aggiungersi, le Sonates à Violon Seul avec Accompagnement de Basse et Clavecin, pubblicate a Parigi nel 1726 e registrate, in prima assoluta mondiale, per l’etichetta Da Vinci Classics dall’Ensemble Hortensia Virtuosa, con Giovanni Rota al violino solista e come concertatore.
Questa nuova registrazione permette di aprire una pagina della storia della musica barocca europea, quella, più precisamente, che riguarda l’influsso che la produzione strumentale cameristica italiana, soprattutto napoletana, ebbe in Francia tra la fine del XVII secolo e i primi decenni di quello successivo. Un influsso, come spiega assai bene Guido Olivieri nelle note di accompagnamento, che non riguarda solo aspetti squisitamente musicali, ma anche sociali e politici di quel tempo; questo perché quando diversi musicisti del nostro Paese scelsero Parigi e la Francia per vivere e svolgere la loro professione, si aprì un intenso dibattito, che a volte assunse i contorni di una vera e propria disputa, sul valore estetico e artistico delle tradizioni musicali italiana e francese, con la prima che in terra francese fu considerata come la rappresentazione sonora di un nuovo tipo di società che aspirava a prendere le distanze da un modello di monarchia, definita ormai antiquata, rappresentata dalla corte di Luigi XIV.
Ma oltre a rappresentare un nuovo modello musicale, attraverso il quale proiettare un originale impianto di istanze dapprima estetiche per poi assumere i connotati di un possibile rivolgimento sociale e politico (e ciò ci fa capire come a quel tempo la forza d’impatto di un mutamento musicale vantasse una propulsione tale da portare a reazioni a catena perfino al di fuori del contesto eminentemente artistico), è indubbio che tale influsso ebbe ripercussioni anche su coloro che lo provocarono, ossia la scuola musicale italiana e i suoi rappresentanti. Questo vale soprattutto per la scuola musicale napoletana, dalla quale provenne lo stesso Giovanni Antonio Guido, il quale, dopo aver lasciato Genova, si trasferì nella città partenopea dove studiò violino al Conservatorio di S. Maria della Pietà dei Turchini, in quanto proprio all’inizio del Settecento, per la precisione tra il 1702 e il 1707 il Regno di Napoli passò temporaneamente sotto il controllo della monarchia francese. Da ciò si può facilmente comprendere come il nuovo dominio francese favorì i contatti tra Napoli e Parigi, dando così modo ai musicisti partenopei di avere nuove opportunità di carriera e stimolanti approdi artistici. E sotto questo punto di vista Giovanni Antonio Guido può essere giustamente definito l’antesignano di questa “emigrazione” artistica, in quanto fu quasi certamente il primo rappresentante della scuola musicale napoletana a lasciare la capitale del Regno per trasferirsi a Parigi, dove le sue capacità virtuosistiche al violino, prima ancora di quelle compositive, furono subito notate e apprezzate, grazie soprattutto al genere della sonata per questo strumento ad arco.
È indubbio, però, che il suo fulmineo inserimento e la fama che raggiunse all’epoca in terra francese, furono anche aiutate dal fatto che il musicista d’origine genovese divenne subito un protégé del potente e ricco duca Filippo d’Orléans, uno dei maggiori esponenti di quella fronda nobiliare che mirava, come si è visto, a combattere la vecchia concezione monarchica a favore di un suo capillare rinnovamento in chiave sociale e politica. Non è un mistero che l’alto aristocratico, dall’alto del suo mecenatismo, fosse un ammiratore della cultura, dell’arte e della musica italiane, al punto da tramutarle in un’arma politica e ideologica con la quale combattere l’ormai antiquato e vetusto potere incarnato da Luigi XIV. Un’arma che assunse anche la forma di un ensemble musicale che il futuro Reggente di Francia mise insieme, formato da due cantanti e da due violinisti di formazione italiana, oltre che da vari altri musicisti francesi assunti, di volta in volta, per concerti e rappresentazioni. E fu proprio con questo ensemble che Guido fece il suo debutto in Francia, in occasione di un evento assai importante, la visita della regina d’Inghilterra Anna Stuart, avvenuta nel novembre del 1703, nel corso della quale il duca di Orléans organizzò un concerto con la partecipazione dei due castrati Pasqualino Tiepoli e Pasqualino Betti, che l’alto aristocratico ebbe “in prestito” dal cardinale Pietro Ottoboni, di Giovanni Antonio Guido e Baptiste Anet al violino e Giuseppe Marchand al basse de violon.
Questa fulminea ascesa come interprete e virtuoso, diede modo all’artista italiano di farsi un nome anche nel repertorio compositivo e di essere considerato, solo dopo pochi anni dal suo arrivo in Francia, uno dei musicisti più importanti e famosi dell’epoca, come testimoniato anche dal fatto che, dopo che la vita di corte fu trasferita nel 1715, per volere di Filippo II d’Orléans, da Versailles al Palais Royal di Parigi, Guido fu tra i protagonisti musicali delle serate organizzate dal ricco Pierre Crozat nella magione di rue Richelieu, oltre a esibirsi al Concert Spirituel e in altre importanti sale da concerto della capitale francese.
La raccolta di Sonate per violino solo al centro di questa registrazione fu dunque pubblicata da Giovanni Antonio Guido nel 1726 nella capitale francese ed è dedicata a Louis d’Orléans, figlio del defunto Filippo II d’Orléans, e rappresenta un tipico esempio compositivo, conosciuto con il termine di goûts réunis (“gusti riuniti”), che contempla l’assimilazione dello stile francese e di quello italiano. Un’assimilazione che riguarda anche la scelta in chiave “progressista”, data dal genere stesso, quello della sonata per violino solo, con innesti ancora “classici”, forniti soprattutto dall’incedere “corelliano”, presente in molti tempi adagi di queste sei Sonate. Inoltre, per dare adito al sentore dei goûts réunis, Guido introduce in queste opere tipici elementi dello stile francese, poiché il violino sfrutta una linea melodica più fluida, maggiormente nitida, mentre il basso spesso accompagna lo strumento solista con un approccio armonico più semplice, facilmente riconoscibile, anche se talvolta la sua tessitura musicale lo porta a confrontarsi apertamente con il violino; inoltre, non bisogna dimenticare che la tradizione francese è data anche dalla presenza di alcune danze, come le gavotte che chiudono sia la prima sia la sesta sonata. Il côté italiano, invece, può essere facilmente ravvisato da un evidente virtuosismo che caratterizza queste Sonate, un virtuosismo che può essere accostato al modello vivaldiano, le cui opere strumentali per violino godettero di una grande popolarità nella Parigi dei primi decenni del Settecento.
Giovanni Rota e gli altri elementi dell’Ensemble Hortensia Virtuosa (è bene ricordare i loro nomi: Rebeca Ferri al violoncello, Michele Carreca alla tiorba e alla chitarra barocca e Gilberto Scordari al clavicembalo) hanno saputo rendere in modo splendido queste Sonate; la loro lettura è avvenuta attraverso una rigorosa riproposizione filologica, ma questo non significa che la resa espressiva sia risultata, come a volte può capitare, sterile o pedante, anzi. Cominciamo da Giovanni Rota, il quale ha saputo prima di tutto restituire la brillantezza presente nei tempi veloci e la sontuosa bellezza evocativa in quelli lenti. Una lettura del genere, ossia capace di esprimere la duplice peculiarità presente nei goûts réunis (il fluido tessuto melodico dato dalla scuola francese e lo spessore virtuosistico fornito da quella italiana), necessita di proporre un’enunciazione interpretativa in cui le due componenti siano sempre presenti, ottenibili quindi con un indispensabile equilibrio dato dal ritmo della composizione e dalle sfumature timbriche, cosa che l’artista pugliese riesce sempre a proporre in modo più che convincente. Ecco, il fatto sta proprio in ciò: rendere convincenti delle Sonate che, di primo impatto, possono, in chi non è abituato all’ascolto della musica cameristica barocca, risultare ostiche o quantomeno inattingibili nella loro essenza artistica. E Giovanni Rota riesce assai bene ad essere convincente, in modo pressoché ideale, in quanto, se lo scopo della registrazione, oltre a far conoscere un autore che oggigiorno appartiene purtroppo al dimenticatoio della storia, è stato quello di far apprezzare il fascino espressivo dei goûts réunis, centellinando gli aspetti virtuosistici (come, per esempio, si può ascoltare nell’Allegro “vivaldiano” della Sesta Sonata) nella tessitura melodica di matrice francese (rimando all’Adagio-Allegro-Adagio della Quarta Sonata, la cui arcata generale, per essere resa correttamente, deve sempre salvaguardare il senso ritmico dell’enunciazione), il risultato che si ascolta, pone la lettura dell’artista pugliese come un canone di riferimento.
La splendida lettura fatta da Giovanni Rota va poi a inserirsi, più precisamente ad incastonarsi, nell’accompagnamento espresso dagli altri componenti dell’Ensemble Hortensia Virtuosa, i quali anche in questo caso hanno dovuto fare i conti con la linea di un sottilissimo equilibrio posto tra il rafforzamento dato dal basso da una parte e una necessaria, ma discreta, capacità di poter dialogare con lo strumento solista. Quindi, essere altrettanto protagonisti, ma con somma delicatezza, prendendo per mano, ma non guidando, semmai indicando i primi passi, corollario ineludibile di un sostegno, di un’ombra nella quale il violino potesse trovare sempre conforto (a tale proposito, una particolare nota di merito va al violoncello di Rebeca Ferri).
Piero De Asmundis ha curato la presa del suono, con un risultato più che accettabile, tale da evidenziare la bontà dell’interpretazione; la dinamica, infatti, risulta essere sempre energica, ma anche attenta nel salvaguardare le sfumature insite nella microdinamica. Gli strumenti e i loro interpreti, poi, sono ricostruiti sufficientemente a una debita profondità e presentati correttamente nello spazio esecutivo; l’equilibrio tonale non presenta sbavature o imprecisioni di sorta nella proposizione dei registri, tenendo sempre ben distinta la linea di demarcazione tra acuti e gravi, in modo da preservare la resa del dialogo, soprattutto quello tra violino e violoncello e, infine, il dettaglio è piacevolmente materico, con una ottima messa a fuoco degli strumenti.
Andrea Bedetti
Giovanni Antonio Guido – Sonates à Violon Seul avec Accompagnement de Basse et Clavecin (Paris, 1726)
Giovanni Rota (violino) – Ensemble Hortensia Virtuosa
CD DaVinci Classics C00454