Tra i diversi progetti di rivalutazione, riguardanti musicisti dimenticati o ingiustamente messi da parte dalla storia e dagli uomini, portati avanti dalla Da Vinci Classics vi è anche quello che riguarda la compositrice, pianista, cantante, didatta e imprenditrice napoletana Gilda Ruta, la quale è stata precedentemente ricordata da un bel libro scritto da Giovanni Vigliar, intitolato Gilda Ruta. Le due vite di una musicista napoletana e pubblicato nel 2019 da Editore Colonnese. Ora, la label di Edmondo Filippini ha appena pubblicato un disco che presenta dodici pagine pianistiche della musicista partenopea eseguite dalla pianista concittadina Elisa Rumici, la quale appare sulla cover del CD seduta su un molo, con accanto una pelliccia e due vecchie valige, in un’immagine che richiama un capitolo fondamentale della vita di Gilda Ruta, ossia di quando lasciò l’Italia, dov’era considerata una stella musicale di prima grandezza, imbarcandosi da Genova alla volta di New York, come migliaia di altri italiani, in ben altre condizioni economiche e sociali, fecero in quel periodo per cercare fortuna nel Nuovo Mondo.

A dire il vero, Gilda Ruta non fu costretta a lasciare il suo Paese per cercare fortuna altrove, in quanto in grado di sostenere ella stessa e i suoi due figli, Tommaso e Anna, entrambi futuri musicisti, avuti dal matrimonio con il conte e ingegnere Raffaele Cagnazzi, morto improvvisamente nel 1880. In realtà, come ammette lo stesso Giovanni Vigliar, i motivi che la spinsero a questa drastica e rischiosa decisione restano ancora del tutto sconosciuti. Ma prima di conoscere la seconda parte della vita e della carriera artistica di Gilda Ruta in terra yankee, vediamo che cosa fece nel corso degli anni da lei trascorsi sulle sponde italiche, a cominciare dall’atto di nascita, avvenuto il 13 ottobre 1853, primogenita di otto fratelli e votata fin da bambina al mondo delle note, visto che i suoi genitori furono musicisti, con la madre, Emelina Luisa Sutton, buona cantante inglese, e suo padre, Michele Ruta, pianista e compositore, oltre che impegnato nella lotta risorgimentale, visto che prese attivamente parte ai moti del 1848, anche se oggi viene principalmente ricordato per essere stato co-rettore del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. E se i primissimi studi che Gilda fece fu proprio con i suoi genitori, il suo indubbio talento attirò l’attenzione di Francesco Saverio Mercadante, il quale divenne il suo insegnante di composizione, mentre non appare veritiera la voce secondo la quale sarebbe stata anche allieva di Franz Liszt (semmai, la nostra artista fu una delle prime esponenti della scuola pianistica napoletana, sorta con il grande rivale di Liszt, ossia Thalberg, e proseguita con Beniamino Cesi e Francesco Lanza, che furono tra l’altro suoi docenti).
Con simili presupposti didattici e baciata dalle sue notevoli doti musicali, a sedici anni la pianista partenopea si affacciò sul mondo del concertismo napoletano, esibendosi dapprima con il padre e poi con altri giovani destinati a lasciare un’impronta ben delineata nella storia musicale del nostro Paese, quali Giuseppe Martucci, Costantino Palumbo e Alfonso Rendano. Inoltre, non disdegnò di affrontare pagine di un certo spessore, come il Concerto per pianoforte in sol minore di Mendelssohn.

Quando poi la giovane pianista accettò di unirsi in matrimonio con Raffaele Cagnazzi, i costumi sociali dell’epoca, soprattutto quando si trattava di personaggi di un certo lignaggio, le imposero l’inevitabile ritiro dalla scena musicale. Ma il destino volle che le cose andassero poi in un modo del tutto diverso, poiché tre anni dopo il consorte morì improvvisamente e le risorse economiche a disposizione obbligarono Gilda Ruta, con due figli piccoli dei quali prendersi cura, a riprendere la sua attività musicale tornando a presentarsi e a esibirsi con il cognome da nubile, grazie al quale aveva conosciuto il successo. Un successo che tornò ad assaporare soprattutto nella sua città natale, senza dimenticare concerti tenuti anche a Milano, Roma e Torino, così come in terra elvetica. È interessante constatare come la pianista napoletana, oltre a classici ineludibili, come Bach, Beethoven, Chopin, Liszt, Schubert, Schumann, Mozart, e a contemporanei come Saint-Saëns, Rubinštejn e Sgambati, volle presentare anche pagine di musicisti all’epoca ancora poco noti, quali Antonio Sacchini e Ferdinando Turini. Ma, a questo punto, è bene fare presente che Gilda Ruta raggiunse la fama anche grazie alle sue composizioni, prevalentemente dedicate al pianoforte solo, senza però tralasciare altri generi strumentali (come un Concerto per pianoforte e pezzi da camera quali una Sonata per violino e pianoforte e una Romanza senza parole per violino e pianoforte).
Ma, all’apice del successo, come si è già anticipato, nel 1894 Gilda prese la decisione più importante della sua vita e del futuro dei suoi figli. Si trasferì negli Stati Uniti per ragioni che sono tuttora ignote, forse legate a questioni personali o sentimentali, piuttosto che professionali e artistiche. Una volta giunta negli USA, tra le referenze mostrate a chi di dovere ci fu anche una missiva dell’allora presidente del Consiglio Francesco Crispi, ma non dovette servire a molto, visto che la critica e il pubblico statunitensi si mostrarono fin da subito interessati alla figura e all’attività pianistica di Gilda Ruta, la quale non tardò a esibirsi nei teatri più importanti, come il Madison Square Garden, e a inserirsi nei circoli intellettuali più à la page e progressisti del Paese, sensibile soprattutto alle prime lotte e rivendicazioni femministe.

E che Gilda Ruta abbia trovato nell’America una seconda patria è testimoniato dal fatto che, oltre a portare avanti una brillante carriera concertistica, incoraggiata anche dal tipico establishment imprenditoriale, decise di dare vita anche a due proprie istituzioni musicali: la Ruta Musical Society e la Ruta Music School, nelle quali in seguito insegnarono anche i suoi figli. E, come avviene sempre in questi casi, quando la compositrice e pianista napoletana morì a New York il 26 ottobre 1932, la stampa locale diede ampio risalto al fatto, mentre quella italiana ignorò del tutto la sua scomparsa, dando così avvio a quell’opera di “dimenticanza” che ha portato Gilda Ruta ad essere cancellata dalla memoria artistica e storica e di cui solo grazie alla biografia di Giovanni Vigliar e a questa registrazione da parte di Elisa Rumici si può tornare a parlare di lei.
Per quanto riguarda invece il programma pianistico presentato da Elisa Rumici in questo CD, intitolato Piano Works, i titoli dei brani scelti ci fanno capire la duplice caratura artistica di Gilda Ruta; se da un lato abbiamo l’elaborata Suite a canoni, risalente al 1885, suddivisa in Preludio - Arietta - Sarabanda - Minuetto - Bourrée e Giga, che ci fa intendere il côté classico sul solco di una tradizione che rimanda a Bach, dall’altro risulta indubbio il connotato squisitamente salottiero, quello tipico incarnato dalla Romanza, un genere coltivato compositivamente dalla stessa musicista partenopea, fissato da brani quali Mesta serenata, Primavera, Bolero, Siciliana, il cui obiettivo era quello di fornire raffigurazioni sonore di immediato impatto ed emozione, pronte ad essere consumate e metabolizzate. D’altronde, come scrisse testualmente un critico del tempo, il cui commento è riportato nelle note di accompagnamento al disco, «le composizioni della signorina Ruta […] rispondono al diffuso bisogno di musica soprattutto per pianoforte che sia accessibile alla comprensione e alle capacità tecniche della vasta schiera di onesti individui, dilettanti e giovani signore che potranno leggere e suonare la musica di Ruta senza affaticare né il cervello né le dita, e soprattutto senza corrompere il gusto o offendere le orecchie dei loro ascoltatori».

In effetti, ascoltando i quattro brani sopra menzionati non si può fare a meno di notare come il pianismo di Gilda Ruta sia all’insegna di una comunicabilità immediata, densa di un’indubbia ingenuità, nel senso di purezza istintiva dell’atto creativo, tesa a manifestare all’ascoltatore una paletta di immagini e di sensazioni in cui la tastiera del pianoforte sembra calzare i panni della voce umana. Quindi, una scontata cantabilità, frutto di una scuola in cui il raffronto con il canto è sempre presente e ineludibile. Ma, allo stesso tempo, vi è anche una Gilda Ruta capace di approfondire, di sistematizzare, di elaborare, di prestare attenzione a quanto avveniva oltre la barriera delle Alpi, in Paesi come la Francia e in quelli di lingua tedesca, com’è testimoniato dalla Suite a canoni, la cui costruzione è una fusione di rigore tecnico e di aggraziata rotondità (si presti attenzione in ciò nell’articolarsi della Sarabanda).
La lettura fatta da Elisa Rumici non solo soddisfa i requisiti suggeriti dal critico in questione, ossia non affaticando dita e cervelli, ma si cala assai bene nella concezione double-face della compositrice napoletana, rendendo chiaramente l’esprit salottiero da una parte e quello dato dal pianismo “alto” di Gilda Ruta, senza mai calcare la mano dell’emozione da una parte e della “seriosità” dall’altra; il suo compito, in fondo, era quello di un progetto di restituzione alla storia e alla musica, dando alla dimenticata concittadina quello che le apparteneva, testimonianza di un’epoca, di un’aura, di una dimensione culturale e sociale in cui l’arte dei suoni pianistici femminili, soprattutto nel nostro Paese, era ancora votato alla grazia e ai teneri sospiri.
Il lavoro di presa del suono effettuata da Gabriele Zanetti è, come sempre, all’insegna dell’efficacia e del rispetto, contraddistinto da una dinamica veloce, energica e, allo stesso tempo, scevra da inopportuni colorismi. A livello di palcoscenico sonoro, il pianoforte è ben scolpito al centro dei diffusori e individuabile a una discreta profondità, con una piacevole irradiazione del suono in ampiezza e in altezza. Altrettanto validi anche il parametro dell’equilibrio tonale e del dettaglio: il primo non presenta sbavature di sorta tra registro medio-grave e acuto e il secondo è ottimamente scontornato, restituendo un sentore tattile dello strumento a tastiera.
Andrea Bedetti
Gilda Ruta – Piano Works
Elisa Rumici (pianoforte)
CD Da Vinci Classics C01073
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5