Se la letteratura pianistica, nel corso della prima metà del Novecento, è stata fonte di un suono tellurico (Béla Bartók), satirico e amaro (Dmitri Šostakovič), esplosivo (Sergej Prokof’ev), nostalgico (Sergej Rachmaninov), di certo quello espresso da Francis Poulenc è sempre stato prodigiosamente in bilico tra la chiave ironica e quella di un’espressione di struggente raffinatezza, facendo sì che le pagine del grande compositore francese siano da considerarsi in un ambito a parte, per il fatto che se il loro sguardo non è certo rivolto al passato, allo stesso tempo non possono vantare un approccio iconoclastico tipico di un qualcosa che distrugge prima di ricostruire. Insomma, il pianismo di Francis Poulenc rappresenta un orto musicale nel quale ad entrarci fu per l’appunto solo il compositore parigino, che seppe coltivarlo con amore, vedendolo crescere poco alla volta, contraddistinto da uno stile a dir poco personalissimo.

Un’opera pianistica, quella di Poulenc, caratterizzata spesso da brevi raffigurazioni sonore, vere e proprie miniature, schizzi timbrici che delineano con poche ma precise pennellate stati d’animo, visioni, pensieri e rivisitazioni del passato (come nell’evocativa Suite française), un pianismo apparentemente semplice da un punto di vista tecnico, focalizzato nel rendere al meglio sfumature, colori e atmosfere, ma che si gioca sul filo del rasoio nella scelta dei tempi, sull’uso sapiente del pedale e su un gioco di luci e ombre timbrici che non viene mai meno, rendendo l’approccio interpretativo alquanto problematico. E tra coloro che sanno restituire al meglio la musica pianistica di Francis Poulenc vi è sicuramente una delle icone del pianismo francese, Gabriel Tacchino, il quale può vantare il fatto di essere stato il solo allievo di Poulenc, il quale, nella prima metà degli anni Cinquanta, prese sotto la sua protezione il giovane pianista nato a Cannes nel 1934, educandolo a una precisa e veritiera lettura della sua musica. Una lezione che Tacchino ha saputo imparare al meglio, divenendo nel corso del tempo l’interprete di riferimento assoluto delle opere pianistiche di Francis Poulenc e che lo ha portato, alcuni anni fa, a registrare il corpus integrale delle opere di Poulenc per la EMI, un’incisione dalla quale bisogna partire per poter avere un’immagine fedele della musica per pianoforte di questo autore. Da quell’integrale, la Warner Classics (che ha acquistato tutto il catalogo della EMI) ha pubblicato per la Erato un disco che presenta alcune perle, fornendo un prezioso assaggio dell’arte pianistica di Francis Poulenc e del suo vate, Gabriel Tacchino.

Un disco tributo, insomma, in cui l’artista francese dipana al meglio le sue straordinarie capacità evocative con le quali tratteggia Poulenc. Trentaquattro brevi tracce che non sono soltanto un riassunto, una summa, ma una vera e propria introduzione sull’arte dell’interpretazione, a cominciare da Les chemins de l’amour, tratta da Léocadia, fino alla celeberrima Toccata che conclude i Trois Pièces del 1953, con il giovane Tacchino, come ha raccontato lui stesso, ripreso all’epoca proprio da Poulenc, in quanto non convinto del fatto che il brano dovesse essere eseguito a una velocità così sostenuta. Ma, ascoltandola in questa registrazione, possiamo benissimo immaginare Poulenc sorridere finalmente compiaciuto, ovunque adesso si trovi.

Le varie prese del suono, effettuate in date e in luoghi diversi, sono di ottima fattura e restituiscono sempre una dinamica ottimale, con il pianoforte posto al centro dei diffusori, con un dettaglio ricco e preciso.

Andrea Bedetti

 

Francis Poulenc – Piano Melodies

Gabriel Tacchino (pianoforte)

CD Erato 0190295806439

Giudizio artistico 5/5

Giudizio tecnico 4/5