Quello proposto da una registrazione della Aulicus Classics, con Gabriele Pieranunzi e Laura Gorna al violino e Francesco Fiore alla viola, è un programma assai interessante, in quanto presenta tre pagine, due di Antonín Dvořák e una di Wolfgang Amadeus Mozart, che non si ascoltano frequentemente, anche per via del particolare organico, due violini e una viola per il boemo, un violino e una viola per il salisburghese (per la precisione si tratta del Terzetto in do maggiore op. 74 e delle Miniature op. 75a e del Duo in sol maggiore K. 423).
Cominciamo da quest’ultimo brano, il quale fu scritto nell’estate del 1783 a Salisburgo, insieme con l’altro Duo K. 424, sempre concepito per violino e viola. La storia di queste due brevi composizioni merita di essere brevemente accennata, visto che a commissionarli fu il celeberrimo arcivescovo Hieronymus Colloredo (il suo nome completo fu assai più magniloquente, per l’esattezza Hieronymus Joseph Franz de Paula Colloredo von Wallsee und Mels, la cui benevolenza, soprattutto nei confronti del poco malleabile Amadé, si rivelò indubbiamente maggiore rispetto alla sua coerenza ecclesiastica, tenuto conto che, oltre a servire per gli uffici spirituali del Cristo, lo fece anche a favore del cosiddetto occhio della Provvidenza, che rappresentava il simbolo dell’Ordine degli Illuminati, ossia la società segreta bavarese nata nella seconda metà del XVIII secolo come alternativa alla massoneria), anche se all’inizio il destinatario di tale commissione non fu Mozart, bensì Michael Haydn, fratello minore di Franz Joseph, valente compositore di musica sacra e profana. Ma il musicista di Rohrau, alquanto acciaccato da vari malanni, declinò l’invito e, allo stesso tempo, pregò Mozart di occuparsene.
Il Duo qui presentato si distingue per il tipico “marchio di fabbrica” del divino salisburghese, il quale riusciva a creare capolavori anche pensando ad altro, magari mentre era impegnato in una partita all’amato biliardo. Ovviamente, a fare la parte del leone è il violino, sul quale si condensa una scrittura brillante e fascinosa e che vede la viola chiamata in causa non solo come strumento di appoggio, ma anche come elemento dialogico in grado di esaltare le peculiarità stilistiche del violino, destinato a sviluppare e ad ampliare gli sviluppi tematici (e questo soprattutto nell’Allegro iniziale). E che Mozart abbia dato vita a questa deliziosa pagina con la quinta marcia stabilmente innestata lo dimostra il fatto che l’Adagio centrale rievoca quello del Divertimento per tre strumenti ad arco scritto cinque anni più tardi, mentre il Rondò finale si fa notare per una pletora di accenti melodici con seducenti cambi improvvisi di tonalità.
Però, è indubbio che il vero interesse di questa registrazione, effettuata dal vivo presso la Sala Verdi del Conservatorio di Milano il 29 giugno 2021 per il ciclo delle Serate Musicali, risiede nei due brani del compositore boemo; entrambe le composizioni vantano una storia particolare, anch’essa meritevole di essere raccontata. Il Terzetto Op. 74 in do maggiore, articolato in quattro tempi (Introduzione: Allegro ma non troppo; Larghetto; Scherzo: Vivace - Trio: Poco meno mosso; Tema con Variazioni) non venne composto per essere eseguito nelle sale da concerto, ma per delle semplici esecuzioni private tra amici, per rispecchiare l’autentico spirito della musica da camera. Dvořák, a dire il vero, aveva pensato in un primo momento di coinvolgere un violinista dilettante, tale Josef Kruis, uno studente di farmacia, che in quel periodo divideva con lui il suo appartamento a Praga, e Jan Pelikan, violinista professionista del Teatro Nazionale di Praga, mentre egli stesso avrebbe suonato la viola. Sfortunatamente, la parte di violino che avrebbe dovuto essere eseguita da Kruis risultò troppo difficile per le sue modeste capacità, cosicché il compositore boemo scrisse le meno impegnative Miniature op. 75a, sempre per due violini e viola (anche se oggigiorno è maggiormente conosciuta la loro trascrizione per violino e pianoforte con il titolo di Quattro Pezzi romantici op. 75), incluse, per l’appunto, nel presente disco. Così, contravvenendo all’obiettivo inziale, l’op. 74 fu eseguita in pubblico a Praga, il 30 marzo 1887, da Karel Ondříček, Jan Buchal e Jaroslav Šťastný, e pubblicato in quello stesso anno dalla casa editrice Simrock.
Il primo tempo, mirabilmente equilibrato, presenta due sezioni: la prima assai romantica, mentre la seconda risulta essere più vivace, con una breve transizione che conduce direttamente al Larghetto successivo, di certo uno dei brani più delicati scritti da Dvořák; e con la sezione centrale che fa da contrasto con ritmi decisamente puntati. Lo Scherzo, concepito nello stile del Furiant, la tipica danza popolare boema, vanta un Trio centrale tratteggiato da toni delicati. Infine, il tempo finale, affascinante per via dei suoi accenni “sperimentali”, in fatto di armonia e di raffinatezze dissonantiche, è basato su un tema e dieci brevi variazioni, rese soprattutto nel mutamento ritmico.
Non bisogna farsi ingannare dall’apparente semplicità formale che impregna invece l’op. 75a, soprattutto per via dell’aggiunta del termine “pezzi romantici”, voluto per renderli più appetibili per un pubblico di esecutori dilettanti (un’intenzione del tutto vana, visto che, per ironia della sorte, furono pubblicati solo nel 1945); inoltre, sempre che sia stato lo stesso Dvořák ad aggiungere tale definizione, non bisogna dimenticare che il concetto di “romantico” per il compositore boemo aveva un significato assai preciso, mutuato, nella sua acquisizione lessicale, dalla prima generazione votata al romanticismo musicale, ossia una ricerca del linguaggio armonico capace di esaltare gli aspetti più brillanti e immediati della tradizione popolare. E non vi è alcun dubbio che in buona parte dell’intera produzione del boemo, e ciò vale sia per le composizioni di maggior respiro, sia per quelle più brevi, il processo creativo resta saldamente unito a quella tradizione, Brahms su tutti!, in cui il richiamo all’immaginario popolare, calato in una visione dove la natura benigna regna sovrana, si staglia come dimensione colma di nostalgia per un mondo originario e genuino, ma in sostanza ingenuamente del tutto idealizzato.
In ciò i quattro cammei che formano le Miniature (o, per usare il termine ceco con il quale appaiono nella partitura, Drobnosti, ossia Bagatelle) dell’op. 75a rappresentano un esempio a dir poco perfetto di tale visione musicale, estetica e culturale che si enuncia attraverso una Cavatina, un Capriccio, una Romanza e un’Elegia, del tutto indipendenti, ma contraddistinte dalla forma di Lied tripartito. La Cavatina è in tempo di Allegro moderato che presenta, nella sua pura melodia, il violino enunciare un vero e proprio canto; il Capriccio (Allegro maestoso) immerge l’ascoltatore in una visione in cui la vivacità dei temi lo conducono nel bel mezzo di una danza popolare; la Romanza (Allegro appassionato) vede nuovamente il violino imbastire una linea espressivamente lirica, che muta decisamente nell’Elegia (Larghetto), la quale, con le sue meste sfumature dolenti, sembra quasi cancellare quanto esposto fino a quel punto, come un risveglio che pone fine a un bel sogno.
Senso ritmico, capacità di saper raffigurare, slancio emotivo e dimensione espressiva in cui chi ascolta non sa se quanto avviene appartiene a un mondo vero oppure falso; sono questi gli aspetti a dir poco obbligatori che devono essere risolti quando si affronta la musica del grande boemo. Cosa che i tre interpreti in questione sono riusciti indubbiamente a fare, ossia facendo credere al pubblico in sala e all’ascoltatore a casa di prendere parte alla raffigurazione di un mondo che cessa nel momento stesso in cui l’ultima nota muore. Al di là della bellezza del suono dato dai due violini e dalla viola (così come la brillantezza raffinata nel Duo mozartiano), è encomiabile l’affiatamento dimostrato, una peculiarità, questa, altrettanto fondamentale per poter ricostruire i corretti volumi timbrici sui quali si bilanciano i tre strumenti ad arco, che si sorreggono a vicenda sul filo di un sottilissimo equilibrio (anche se Gabriele Pieranunzi, a cui spetta il ruolo principale, fa la parte del leone).
Quindi, chi vorrà conoscere il Dvořák delle piccole forme, magari anche rare nel loro ascolto, troverà in questa registrazione un ottimo viatico, senza dimenticare la più che convincente paginetta del divino Amadé.
La presa del suono è stata fatta da Piergiorgio Danelli, il quale non è un ingegnere del suono di professione, visto che la sua attività primaria, al di là di essere un musicista dilettante (probabilmente sull’onda di quelli a cui si rivolse Dvořák), è in realtà quella di essere il direttore del reparto di Chirurgia generale all’Ospedale Sacco di Milano (questa, sinceramente, ancora mi mancava). Ad ogni modo, la sua abilità con i microfoni e con il mixer non è inferiore con quella che deve avere con i bisturi, visto che ha saputo confezionare e restituire un suono alquanto convincente. Se la dinamica è sufficientemente energica e naturale, la ricostruzione del palcoscenico sonoro mostra i tre/due strumenti stagliati a debita profondità nello spazio fisico della Sala Verdi. Tre strumenti ad arco possono porre problemi per ciò che riguarda il parametro dell’equilibrio tonale, ma qui i loro registri sono sempre scontornati e perfettamente riconoscibili, senza mai accavallarsi. Infine, il dettaglio è pregno di matericità, con molto nero capace di esaltare la fisicità dei due violini e della viola.
Andrea Bedetti
Antonín Dvořák - Wolfgang Amadeus Mozart - Terzetto in do maggiore op. 74 - Miniature op. 75a - Duo in sol maggiore K. 423
Gabriele Pieranunzi e Laura Gorna (violino) - Francesco Fiore (viola)
CD Aulicus Classics ALC 0088
Giudizio artistico 4,5/5
Giudizio tecnico 4/5