Dal 4 ottobre 2018 sino al 3 febbraio 2019 sarà possibile ammirare a Milano, nelle sale di Palazzo Reale, una straordinaria mostra dedicata a Carlo Carrà, uno dei più grandi maestri del Novecento, protagonista fondamentale dell’arte italiana e della pittura moderna europea, che ha lasciato un segno indelebile con uno stile che è rimasto vitale in tutta la sua produzione artistica. Ma l’artista piemontese è stato anche un attento cultore della musica del proprio tempo, annoverando celebri musicisti, come Alfredo Casella, tra le amicizie più care e concependo l’arte dei suoni motivo aggregante delle sue opere pittoriche
L’irruzione del Novecento nelle dinamiche artistiche ebbe conseguenze a dir poco esaltanti, visto che la sfera musicale e quella artistica, soprattutto pittorica, trovarono una nuova linfa vitale intrecciando di nuovo i loro destini, dopo che l’avvento del Razionalismo, al termine del percorso umanistico, cinque secoli prima, aveva provocato un’ineludibile dicotomia tra il suono e il colore. Grazie alle avanguardie europee, futurismo, dadaismo, surrealismo, la musica e la pittura ebbero nuovamente modo di colloquiare, di scambiarsi i testimoni di una visione in cui la dimensione sonora tornò a confluire in quella dei segni e dei colori e viceversa. Il pianoforte con la tastiera colorata di Aleksandr Skrjabin, l’epistolario e gli scritti di Arnold Schönberg e Vasilij Kandinskij, i rapporti essenziali e incontrovertibili tra suono e colore di Paul Klee, l’assioma di musica come ritmo che confluisce nel movimento pittorico delineato dal futurista Luigi Russolo, sono tutti segni tangibile di questa comunanza di idee e di sensibilità.
E tra quegli artisti che videro nella musica non solo un mero interesse culturale, ma una dimensione indispensabile della loro arte, ci fu anche uno dei maggiori maestri della pittura europea di tutto il Novecento, il piemontese Carlo Carrà al quale il Comune di Milano e Civita Mostre dedicano una grande mostra, curata da Maria Cristina Bandera, studiosa di Carrà e direttrice scientifica della Fondazione Roberto Longhi di Firenze, con la collaborazione di Luca Carrà, nipote del maestro, fotografo e responsabile dell’archivio di Carlo Carrà, dal 4 ottobre 2018 fino al 3 febbraio 2019, allestita a Palazzo Reale.
Questo è il terzo allestimento che il capoluogo lombardo dedica alla figura di Carrà, dopo quella del 1987 e la prima, risalente al 1962, sotto la cura e presidenza di Roberto Longhi, sempre nelle sale di Palazzo Reale. Obiettivo dichiarato di questa nuova esposizione è quello di presentare l’intero percorso artistico di Carlo Carrà attraverso le sue opere più significative, partendo dalle iniziali prove sotto l’egida del Divisionismo, passando per le dense opere legate al periodo dapprima futurista e poi metafisico, fino ai dipinti portatori di quei cosiddetti “valori plastici”, senza dimenticare i paesaggi e le nature morte, che attestano il suo ritorno a una dimensione reale dello spazio e delle cose, che fanno la loro comparsa a partire dagli anni Venti, e le grandi composizioni di figura, soprattutto quelle create negli anni Trenta, ossia il decennio a cui risalgono anche gli affreschi per il Palazzo di Giustizia di Milano, documentati nella mostra dai grandi cartoni preparatori.
Un percorso affascinante e di grande densità testimoniato dalle circa centotrenta opere esposte, provenienti dalle maggiori collezioni pubbliche internazionali, oltre che da alcune importanti collezioni private. Proprio quello del collezionismo è un punto focale per comprendere le amicizie, i contatti sodali, le visioni condivise con altri grandi artisti e intellettuali dell’epoca, a partire da quella con il musicista torinese Alfredo Casella, il quale fu il suo più fedele acquirente. E la musica rappresenta un elemento inconfutabile nel processo creativo di Carrà, testimoniato non solo dal fatto di essere spesso ospite nella dimora di Casella per assistere in prima assoluta ad alcune esecuzioni pianistiche e cameristiche del compositore torinese, ma anche per discuterne e per ricavarne emozioni e riflessioni, congetture e idee da riversare, in un secondo momento, sulla dimensione della tela.
Carrà, in ciò, fu veramente un artista a tutto tondo, animato da una curiosità e da vasti interessi interdisciplinari che lo portarono anche a manifestare una militanza critica sulle pagine delle riviste più importanti e di tendenza del tempo, da “La Voce” a “Lacerba” fino a “L’Ambrosiano”. Non solo musica, quindi, ma anche poesia, coltivata attraverso l’incontro parigino e la successiva amicizia con Apollinaire, conscio del fatto che la sfera pittorica non poteva essere praticabile e realizzabile solo attraverso la forza dei colori, delle forme e delle linee, ma rappresentabile e funzionabile anche grazie all’apporto delle altre arti, dalla necessità di coniugare i suoni e le parole secondo le leggi della riproduzione della raffigurazione.
Spirito inquieto e quindi genuino “figlio del proprio tempo”, Carlo Carrà ha saputo concretizzare una sua dimensione artistica, imprimendo il suo marchio di fabbrica attraverso il concetto della “spazialità”. Non per nulla, nel 1962, a quattro anni dalla sua morte, l’artista piemontese così definì la sua “filosofia” d’intenti: «Per me, anzi, non si può parlare di espressione di sentimenti pittorici senza tener calcolo soprattutto di questi elementi architettonici che subordinano a sé tutti i valori figurativi di forma e di colore. A questi principi deve unirsi quello di spazialità, il quale non è da confondersi col prospettivismo; poiché il valore di spazialità non ha mai origini per così dire visive. Questo concetto nella mia pittura è espressione fondamentale». Ecco, allora, che il termine di “spazialità, non derivando da elementi costitutivi non appartenenti alla “fisica visiva”, dev’essere intesa come ricettacolo, bacino nel quale vanno a convogliarsi approcci squisitamente interdisciplinari dati dalla musica, dalla poesia, dalla letteratura. Una spazialità interiore, fatta di ritmi, di sensazioni, di molteplici emozioni alle quali Carrà donò vita sulla tela e sui pannelli, ricreando una propria spazialità che andò a collimarsi, ma solo in quel momento, con l’inudibile rapporto visivo e prospettico delle forme, scaturite dai colori, dalle linee e dalle magiche volumetrie del suo universo pittorico.
Da qui, si comprendono meglio opere come “Composizione” (1916), “La carrozzella” (1916), la celeberrima “Musa metafisica” (1917), “Vele nel porto” (1923), “Estate” (1930), in cui il concetto di spazialità è indissolubile da quello di ritmo (musicale) e descrizione (letteraria). Opere che, per rendere più agevole il percorso interpretativo e cronologico da parte del visitatore, sono state raggruppate, nell’iter della mostra milanese, in sette distinte sezioni: Tra Divisionismo e Futurismo; Primitivismo; Metafisica; Ritorno alla natura; Centralità della figura; Gli ultimi anni; Ritratti.
Andrea Bedetti
Per maggiori informazioni: 199.151121 (dal lunedì al venerdì 9.00-18.00; il sabato 9.00 – 12.00) Dall’estero: 02.89096942
[email protected] – www.palazzorealemilano.it
Orari
lunedì: 14.30 -19.30,
martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 9.30 – 19.30,
giovedì e sabato: 9.30 – 22.30
La biglietteria chiude un’ora prima
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