Vivere all'ombra di un grande personaggio o di una famosa dinastia non significa per forza essere considerato figlio di un dio minore, ma vuol dire solo vedere la propria opera, i propri sforzi, i risultati di una vita messi a fuoco a una maggiore distanza, al punto che chi osserva, ascolta, legge quanto emerge da così lontano, può pensare che quel personaggio, quell'artista e ciò che ha fatto siano un cespuglio cresciuto troppo poco, poiché i raggi del sole sono stati esclusivamente catturati dalle fronde maestose della quercia che lo sovrastava. Questa immagine si attaglia alla perfezione alla figura di Carl Friedrich Abel, uno dei maggiori esponenti del Classicismo musicale tedesco, il cui unico torto, semmai possa essere definito tale, non è stato tanto quello di essere vissuto e di aver operato in un'epoca dominata da Johann Sebastian Bach e da buona parte dei suoi figli (il nostro autore nacque a Köthen nel 1723 e morì a Londra nel 1787), ma soprattutto per il fatto di essersi dovuto dapprima confrontare musicalmente con la grandezza del Kantor, il quale fu amico e collaboratore del padre, Christian Ferdinand Abel, che ricoprì il ruolo di principale violista da gamba e violoncellista nell'orchestra di corte, per poi condividere un meritato successo con uno dei più famosi figli di Johann Sebastian, ossia con Johann Christian Bach, l'undicesimo figlio del sommo genio di Eisenach.
Ma se vogliamo valutare l'opera compositiva di Abel non dobbiamo farlo cadendo nell'errore di vedere nelle sue creazioni musicali un riflesso, più o meno pallido, di quanto fatto dapprima dal Kantor e poi da Johann Christian Bach, ma concentrando la nostra attenzione sulla reale dimensione, sulla vera portata del suo stile, che non pecca di certo di una sua specifica autonomia e di un'indiscutibile validità, qualità le quali non devono essere sottovalutate solo per il fatto che Johann Sebastian Bach lo prese sotto la sua protezione durante il periodo di studi che il giovanissimo Carl Friedrich fece presso la Thomasschule di Lipsia (anche se non si ha una prova certa che abbia studiato con il Kantor) o per aver collaborato in seguito per molti anni in quel di Londra con il cosiddetto “Bach londinese” (o “milanese” che sia), dando vita, nel 1764 o nel 1766, ai leggendari concerti Bach-Abel, i primi ad essere organizzati per abbonamento in Inghilterra, per un decennio sapientemente gestiti da Teresa Cornelys, una cantante d'opera veneziana in pensione (la cui bellezza non sfuggì a Giacomo Casanova, che divenne suo amante), proprietaria di una sala da concerti al Carlisle House di Soho Square.
Nostro compito e dovere, all'ombra della storia musicale colta occidentale, è semmai quello di valutare ciò che fece Abel, valentissimo violista da gamba e prolifico compositore di sinfonie e di musica da camera, in nome della sua sensibilità di artista e, soprattutto, testimone privilegiato della sua epoca. Ed è sotto tale ambito che appare lodevolissima una recente registrazione discografica, pubblicata dall'etichetta olandese Brilliant Classics, con il violista da gamba Marco Casonato e Massimo Marchese alla tiorba che hanno inciso Sei Sonate per viola da gamba del nostro autore composte negli anni che ruotano intorno al 1770, ossia quando Abel già si trovava nella capitale inglese. Queste Sonate, rispettivamente in do maggiore, in la maggiore, in re maggiore, in sol maggiore, in la maggiore e in mi minore (il programma comprende anche due minuetti, uno in re maggiore e uno in re minore, un altro pezzo in re maggiore e un brano senza titolo, quest'ultimo tratto dal Manoscritto Pembroke), furono pubblicate nel 1772, come ci ricorda lo stesso Casonato, autore delle note di accompagnamento, oltre a quelle di Georgia Browne, e rappresentano l'unica raccolta per viola da gamba stampate dal compositore tedesco durante la sua vita.
Tutte queste composizioni rientrano di diritto in quella volontà creativa che si poneva un obiettivo ben preciso e alquanto comune a quell'epoca: fornire una serie di brani cameristici in grado di coinvolgere amabilmente sia in fase di ascolto, sia in quello riservato ad esecutori dilettanti di buon livello, con gli uni e gli altri da ricercarsi negli esponenti della high society aristocratica inglese, la quale, sebbene si fosse nella seconda meta del Settecento, considerava ancora la viola da gamba come strumento da prendere come riferimento, emblema di un tempo da voler perpetuare con i suoi suoni e le sue inflessioni timbriche. Così, i sessanta minuti esatti di durata di questa registrazione permettono di avere una precisa rappresentazione, in termini di gusti musicali, di come la classe agiata londinese del tempo volle essere “ritratta” (e, a proposito di ritratti, dobbiamo ricordare come Thomas Gainsborough, amico di Abel ed egli stesso discreto esecutore della viola da gamba, sia riuscito esemplarmente a raffigurare il compositore tedesco in una serie di dipinti il cui significato non è solo quello di immortalare l'amico musicista, ma di fornire quelle connotazioni, quei tratti, quelle sfumature, quelle atmosfere, quei “sapori” esistenziali nei quali si trovarono immersi nobili e altolocati, pronti a suonare brani indolenti in attesa dell'arrivo dei barbari, tanto per parafrasare un celebre verso di Verlaine).
Quindi, chi non conosce la musica per viola da gamba di Abel non si aspetti voli pindarici, arabeschi virtuosistici, costrutti complessi, ma consideri questi brani come il risultato di una “fotografia” capace di illustrare la fisionomia di un piccolo settore della società inglese del tempo, musica per allietare, per intrattenere, per riconoscersi all'interno di precisi stilemi stilistici e melodici, votati, come ho già ribadito più volte sulle pagine di questa rivista, a raffigurare un goût del tutto particolare, un crepuscolo, e non solo musicale, che ancora non si rende conto di essere tale. La musica, in fondo, soprattutto quella che si concentra nel Barocco che ha ormai assunto le vesti e le forme del Rococò, è da intendersi come manifestazione sociale, prima ancora che necessità estetica. È piacevolezza fine a se stessa, è suono che si smaterializza nell'attimo stesso in cui svilisce fisicamente, è una carezza incipriata che lascia solo una delicata essenza di profumo.
Semmai, è interessante da rimarcare la scelta optata per ciò che riguarda il ruolo del basso continuo, che solitamente in simili casi è riservato a un violoncello, a un clavicembalo, perfino (filologicamente) a un fortepiano, ma che qui è appannaggio invece, e ciò può apparire storicamente anacronistico, di una tiorba, uno strumento che siamo soliti considerare morto e seppellito nel corso del primo Barocco, ma che in realtà svolse la sua funzione ancora nel momento stesso in cui il Rococò andava già a mischiare le carte in tavola. Quindi, tale scelta risulta essere del tutto plausibile, tenendo conto che il ruolo della viola da gamba va sempre a intessere e a delineare linee musicali estremamente delicate, per i motivi già addotti, che abbisognano dunque di un accompagnamento che non snaturi timbricamente i tenui sviluppi tematici.
Programmi siffatti a livello discografico possono trasformarsi in inaspettate trappole interpretative proprio per il fatto che non presentando estreme difficoltà di sorta a livello tecnico, rischiano così di diventare delle sterili riproduzioni sonore se non sono sorrette, irrorate, sostenute da un alto grado di espressività. Nel caso specifico di questo disco tale espressività si muove sul solco di Sonate la cui suddivisione in tre tempi (allegro iniziale, tempo lento centrale e minuetto finale) rappresenta un notevolissimo banco di prova per esprimere una pletora di dimensioni affettive e psicologiche che devono essere rese alla perfezione, onde evitare di tramutare il gesto esecutivo in un atto reiterato che trasmette solo suoni senza frissons. Ebbene, la capacità del duo Casonato & Marchese risiede proprio nella capacità espressiva che hanno saputo dispensare in ogni anfratto di questa registrazione, riuscendo a tirare fuori da ogni tempo musicale un tempo interiore, con il quale intendere una tridimensionalità emotiva, una ricostruzione ideale di un palcoscenico in cui il suono riesce, come si è ricordato prima, a “raffigurare”, a tratteggiare sentimenti, nostalgie, rimembranze dietro le quali si cela uno scorcio epocale.
In questo modo, la viola da gamba di Casonato riesce davvero a “pennellare” sapientemente (mai in programmi del genere l'unione tra pittura e musica è così sentita e fondamentale), restituendo sfumature timbriche (si ascolti il Vivace in re maggiore in guisa di minuetto, che sotto il suo archetto si trasforma in una mirabile fotografia in cui la densità della scrittura fluisce con una naturalezza che stimola un suo riascolto), giochi di luce e penombra, e in cui la tiorba di Massimo Marchese attua un processo di ulteriore focalizzazione, nella quale la dimensione del basso continuo risulta, per via della sua efficacia, essere alquanto stretta. Qui, al contrario, la tiorba è una sonda che esplora lo spazio circostante, si trasforma in una ideale tela bianca sulla quale i sei “pennelli” della viola da gamba di Casonato (una splendida copia di un modello di Jacob Steiner) raffigurano di volta in volta i ritmi e le volumetrie di un tempo veloce o lento. Va da sé che per ottenere un risultato simile, l'affiatamento e l'afflato comunicativo tra i due interpreti dev'essere di alta, altissima fattura, come avviene appunto qui. Per chi vuole conoscere al meglio un affascinante scorcio dell'incipiente Classicismo cameristico.
La presa del suono è stata effettuata dallo stesso Massimo Marchese presso la Sala Gonzaga di Palazzo Tornielli a Mombello Monferrato, vicino ad Alessandria. La dinamica è oltremodo corposa, energica e contrassegnata da un'ottima naturalezza, il che permette di fissare adeguatamente i due strumenti al centro del palcoscenico sonoro, scolpiti tra i diffusori, con la viola da gamba posta a sinistra e la tiorba a destra, e messi a fuoco a una discreta profondità. L'equilibrio tonale è il parametro che risulta essere il più convincente, in quanto il registro della viola da gamba, focalizzato maggiormente su quello medio-acuto, e quello della tiorba, spostato sul registro medio-grave, risultano essere sempre perfettamente distinguibili, permettendo di conseguenza una piacevolezza di ascolto che permette di cogliere tutte le sfumature che affiorano durante il dialogo tra i due strumenti. Infine, il dettaglio è soddisfacente a livello di matericità, in quanto intorno alla viola e alla tiorba il nero abbonda generosamente.
Andrea Bedetti
Carl Friedrich Abel – 6 Sonatas for Viola da Gamba & Bass
Marco Casonato (viola da gamba) - Massimo Marchese (tiorba)
CD Brilliant Classics 96565
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5