La musica di Bach è rigore, rappresenta il trionfo di un equilibrio matematico che si trasforma in spiritualità e bellezza supreme, un linguaggio sonoro dove logica e perfezione formale danno vita a una struttura polifonica unica nel suo genere. Tale perfezione può dare un’idea di un rigore esecutivo dal quale si può debordare soltanto entro un certo lasso di libertà interpretativa, di gusto personale, di una visione artistica che non può e non deve derogare da tale concezione in cui forma ed espressione si fondono armoniosamente. Allo stesso tempo, non dobbiamo dimenticare che la forma bachiana sulla tastiera si applica nel suo rigore sulla dimensione ritmica delle danze che ne formano i vari movimenti, danze che invitano a un moto, a un bisogno di libertà e fantasia esecutive. Ecco, dunque, dove risiede in parte il fascino della musica bachiana nella sua espressione per tastiera o per Klavier, per dirla con la lingua tedesca, in un rigore che (apparentemente) si stempera, si annacqua, si diluisce nella libertà che l’interprete sente di vivere ed esprimere nel momento stesso che la pagina scritta si trasforma in suono.
Ed è quanto appunto fa il pianista svizzero Fabrizio Chiovetta in questo disco prendendo ad esempio e plasmandone, di conseguenza, un suono intriso di libertà interiore ed esteriore, tre capolavori dell’arte musicale bachiana, l’Ouverture francese in si minore BWV 831, la Partita n. 1 in si bemolle maggiore BWV 825 e la Suite inglese n. 4 in fa maggiore BWV 809. Ossia opere che si prestano idealmente a questo tipo di rigore/libertà, a cominciare dalla sterminata Ouverture iniziale della prima composizione, nella quale il senso ritmico può e deve concedere, nel suo alternarsi, una dimensione agogica giocata, ovviamente sul pianoforte, su un sottilissimo rubato, su un legato che non deve trasformare Bach in Chopin, su un senso di pulsazione, di respiro timbrico nei quali l’interprete si affida alla sua sensibilità, al suo “sentire” interiormente, alla capacità di dominare ed essere dominato dalla scrittura. E poi la prima Partita, questa affrontata da Chiovetta con più disciplina formale, ponendosi a metà strada dalle tentazioni timbriche di Gould e dalla rappresentazione squisitamente “romantica” di Weissenberg (ma questo non significa che la sua esecuzione sia stata più scontata e prevedibile, sempre in nome di quel principio di libertà interiore che affiora in superficie e che si fa luce nella scansione interpretativa). È con la Suite inglese che Chiovetta trova, a mio parere, l’equilibrio più ideale, partendo da quella scansione danzante nella quale trova un afflato che tracima per incanto e magnetismo (Allemande), per lucida tentazione (Sarabande) e per apollinea bellezza nella trascinante Gigue finale.
Il suono dello Steinway gran coda risulta essere molto cristallino, quasi “clavicembalistico” nel registro più acuto, forse a causa della dimensione della sala dove è stata effettuata la registrazione, la leggendaria Sala Mahler nel Kulturzentrum di Dobbiaco; buoni gli altri parametri, a cominciare dal palcoscenico sonoro nel quale lo strumento viene ricostruito a una profondità più che sufficiente per scolpirlo adeguatamente.
Andrea Bedetti
Giudizio artistico: 4/5
Giudizio tecnico: 4/5
Johann Sebastian Bach – “Keyboard Suites”
Fabrizio Chiovetta (pianoforte)
CD Aparté AP126