Intervista alla pianista milanese, protagonista di un CD dedicato alla musica del suo Paese di origine, che è una entusiasta ammiratrice dell’arte musicale dell’area balcanica
Maestro Terekiev per quale motivo, a suo avviso, rispetto alle altre scuole musicali dell’Est europeo quella bulgara nel Novecento risulta essere più emarginata e meno conosciuta in ambito occidentale?
Purtroppo credo sia poco conosciuta anche geograficamente e storicamente. Mi diverte una frase di un amico: “Per molti italiani i Balcani iniziano a Treviso, per gli svedesi in Austria, per i canadesi in Costa Azzurra”. Spesso si fa confusione su rumeni, bulgari, ungheresi. In realtà i rumeni sono latini, i bulgari slavi. Per quanto riguarda la musica del ‘900 penso che la Bulgaria sia rimasta molto nascosta al resto del mondo, nonostante il fatto che gli stessi compositori che ho inciso in “Wind from the East” (Pipkov, Hadjiev e Vladiguerov) insieme con molti altri, abbiano tutti studiato tra Parigi, Vienna e Berlino. È curioso che questi compositori, a differenza di Bartók, che lascia l’Ungheria per sempre e a malincuore nel 1940, decidono dopo gli studi in Occidente di ritornare nel loro Paese per dar vita all’“Unione dei Compositori Bulgari” e per lavorare come docenti di composizione, di pianoforte e direzione d’orchestra. Vladiguerov in particolare è stato l’insegnante del pianista Alexis Weissenberg, Pipkov ha dato vita alla “metroritmia” (ossia lo studio legato a dei ritmi associati molto particolari, ad esempio 7/8, 11/8, 11/16, che sono i tipici ritmi bulgari, N.d.R.) e ha scritto un vero e proprio trattato che lui stesso definisce “come una tavola periodica di Mendeleev”. E mentre accadeva tutto questo, dalla Seconda guerra mondiale in poi, della Bulgaria musicale in Occidente poco o niente si sapeva e si sa.
Se dovesse illustrare le peculiarità della musica bulgara, con quali parole le spiegherebbe?
Con tre parole: ritmo, colore e nostalgia.
Com’è nato il progetto discografico che ha portato alla realizzazione di Wind from the East?
Il progetto nasce dai cassetti di casa, ossia da partiture che mio padre mi portò di ritorno da un suo viaggio in Bulgaria nel 1988, e da quelli della mia prima insegnante alla quale dedico il CD. Io quei cassetti li ho aperti tanti anni dopo, anche su suggerimento del mio caro amico Ludovico Einaudi.
Se dovesse tracciare un parallelismo tra il modo di fare musica e la sua ricezione in Bulgaria e quelli che ci sono invece in Italia, quali differenze potrebbe cogliere?
In Bulgaria, come in molti altri Paesi dell’Est del mondo, dalla Cina, alla Russia, al Giappone, o senza andare troppo lontano, anche in Germania, lo studio della musica classica inizia dalla prima infanzia e fa parte dell’educazione di base, come la lingua e la matematica. In Italia, salvo qualche rara eccezione dovuta a famiglie particolarmente illuminate, in proporzione i ragazzi iniziano a studiare musica molto più tardi. Col risultato che spesso la abbandonano, non essendo abituati a considerarla parte integrante della propria vita, ma solo un di più.
Lei insegna pianoforte e musica cameristica alla Civica Scuola di Musica Claudio Abbado a Milano. Che cosa significa insegnare oggi musica? Quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi, sempre che ce ne possano essere?
Insegnare per me è vitale. “Comunicare passione”, sono le mie parole d’ordine. È bello veder crescere un allievo e scoprire anno dopo anno che anche se quel Valzer o quella Sonata che hai spiegato “è pronto”, c’è sempre qualcosa di nuovo da cogliere e ciò mi appassiona. Certo, viviamo in un’epoca dove i ragazzi hanno mille stimoli e tutto molto a portata di mano. Ma con passione e metodo ce la si può fare.
In un prossimo futuro ha intenzione di registrare composizioni di altri autori bulgari che meritano di essere conosciuti in Occidente?
Sicuramente! Quel baule non lo posso più richiudere.
Andrea Bedetti