Mettiamo caso che avete acquistato un disco di cui non conoscevate né l’autore, né tantomeno le composizioni che vi sono registrate, ma che avete deciso di comprare solo perché vi piaceva la cover o per il fatto di essere stati attratti dal titolo di una delle tracce incluse, ossia 4’33’’. Così, una volta giunti a casa e dopo aver acceso il vostro impianto di ascolto, inserite il CD e decidete di ascoltarlo partendo proprio da quel brano; vi accomodate in poltrona, con il telecomando premete il tasto “Start”, ma dai diffusori non esce alcun suono. Controllate il livello del volume, vi accertate che tutto funziona debitamente, ma quel benedetto pezzo intitolato 4’33’’ fa solo scena muta. A quel punto, provate a far suonare gli altri brani e vi sincerate che, effettivamente, il suono esce e che il disco non è difettoso, se non solo per quel pezzo che, chissà perché, continua ostinatamente a restare muto. E non potrebbe essere altrimenti, per il semplice fatto che, quando il compositore americano John Cage, uno dei padri della musica contemporanea sperimentale, lo ideò nel 1952, non vi scrisse una sola nota. Già perché nel corso dei quattro minuti e trentatrè secondi della sua durata questo brano non emette alcun suono, in quanto si percepisce, apparentemente, solo silenzio.
Allora, giustamente, vi chiederete: ma che razza di composizione musicale è questa se nella sua partitura non vi è scritta nessuna nota e si “ascolta” solo il silenzio? Ebbene, il punto è proprio questo: Cage, con questo rivoluzionario e controverso brano volle far presente a chi lo ascoltava che anche il silenzio rappresenta in fondo un’emissione di suono, in quanto il silenzio assoluto, a pensarci bene, non esiste. L’idea di questa composizione venne al musicista americano dopo aver passato qualche tempo nella stanza anecoica dell’università di Harvard (nella foto in alto), ossia in uno spazio nel quale si ottiene il massimo abbattimento delle riflessioni del suono tramite l’adozione di forme particolari e l’uso di materiali fonoassorbenti, con il risultato che chi entra e resta in queste camere apparentemente non può percepire alcun suono. Ma ciò, come comprese lo stesso Cage, è impossibile, poiché nella camera anecoica dell’ateneo statunitense il compositore, nel silenzio di quello spazio, avvertì distintamente il suono provocato dal battito del proprio cuore. Quindi, con 4’33’’ (che è composto da tre movimenti, il primo di trenta secondi, il secondo di due minuti e ventitrè secondi e il terzo di un minuto e quaranta secondi) Cage, al di là dell’apparente provocazione, ha voluto dimostrarci che l’idea del silenzio che abbiamo non corrisponde fisicamente e acusticamente alla realtà delle cose, poiché la nostra vita è immersa nel rumore, cosa che viene puntualmente dimostrata ogni volta che questo brano viene eseguito. Tanto è vero che la prima volta che venne presentato 4’33’’, più precisamente nella cittadina di Woodstock, il 29 agosto 1952, in occasione di un concerto di musica pianistica contemporanea, quando il pianista David Tudor si sedette, aprendo il coperchio della tastiera e richiudendolo subito dopo (gesto che ripetè altre due volte in concomitanza dell’inizio degli altri due movimenti che fanno parte del brano), nel corso del primo movimento si sentì il vento che spirava, nel secondo la pioggia battente e nel terzo il pubblico che parlottava sconcertato e si alzava indignato abbandonando la sala.
Così, 4’33’’ intende dimostrare che il silenzio non esiste, in quanto l’essere umano e il concetto di vita sono sempre circondati dal suono, quello del proprio corpo, quello dato dai rumori dell’ambiente circostante, quelli interni ed esterni di una sala da concerto, il fruscio degli alberi se si è in aperta campagna, il rumore delle automobili in mezzo al traffico. Con questo rivoluzionario brano Cage ha voluto indicare all’uomo l’ascolto dell’ambiente in cui si vive, ossia imparare ad ascoltare il mondo, dimostrando che ogni suono può essere musica. Da qui si può facilmente comprendere come Cage abbia rivoluzionato il concetto stesso di ascolto musicale, modificando l’approccio e l’atteggiamento di chi ascolta nei confronti del suono, rimettendo in discussione i fondamenti della percezione acustica, partendo da un fatto indubitabile, che il silenzio assoluto non esiste e che semmai il “silenzio” dev’essere inteso come un rumore di sottofondo.
Da tali presupposti, si può capire meglio una celebre affermazione dello stesso Cage: «Ora non ho più bisogno di un pianoforte: ho la 6th Avenue con tutti i suoi suoni». Perché anche grazie a 4’33’’ e al suo apparente silenzio, la dimensione sonora del rumore in sé, da quando brano fu ideato, è stata assimilata al suono musicale.
Andrea Bedetti
Discografia essenziale
- John Cage “4’33’’”, Amadinda Percussion Group, Hungaroton, HCD 12991 (consigliare un’esecuzione di un brano che esprime il silenzio può sembrare una contraddizione, ma questa registrazione, farcita da rumori ambientali durante l’esecuzione di 4’33’’, dimostra perfettamente quanto si è detto nel testo)