Grazie a un'accanita e appassionata ricerca, il musicologo e direttore a capo dell'ensemble Nova Ars Cantandi ha riportato alla luce le principali opere del musicista clusonese, sepolte da secoli in conservatori e biblioteche. Lo abbiamo intervistato alla vigilia della prima edizione del festival Musica Mirabilis, interamente dedicato alla musica del compositore ammirato da Bach, Händel e Hasse. Ne è venuto fuori un ritratto a tutto tondo, una lucida analisi sullo stato attuale della musica antica e del suo meraviglioso patrimonio artistico e culturale

Il musicologo e direttore Giovanni Acciai, fautore della rassegna Musica Mirabilis, dedicata alla figura e all'opera di Giovanni Legrenzi.

Maestro Acciai, dal prossimo 8 ottobre prenderà il via a Clusone Musica Mirabilis, il primo Festival musicale internazionale dedicato interamente a Giovanni Legrenzi, figura a dir poco leggendaria della musica europea del XVII secolo, la quale però oggi è conosciuta solo da addetti ai lavori e da appassionati di musica barocca. A tale proposito, quali sono, a suo avviso, le cause di questa ingiusta e immotivata «dimenticanza» storica?

Non si può negare che ogni epoca storica mantenga nei confronti di alcuni musicisti del passato atteggiamenti discriminanti, avvalorati talvolta da giudizi superficiali e sbrigativi. Mentre molti compositori dei secoli scorsi sono stati, in tempi recenti, riscoperti e rivalutati, altri, pur importanti all’epoca nella quale vissero e operarono, sono rimasti confinati in angoli bui della storia e, dunque, completamente dimenticati. È il caso di Giovanni Legrenzi, la vita e l’opera del quale si configurano in modo tale da rientrare per molti aspetti in quest’ordine di idee. Infatti, l’attenzione riservata, in tempi recenti, dagli studiosi e dagli esecutori a questo musicista non è stata né sollecita né adeguata all’importanza che il personaggio richiedeva, tenuto conto ch’egli fu, in maniera indiscutibile, una delle figure più importanti e più rappresentative della storia della musica europea del secolo XVII. Tanto meno i suoi drammi musicali, i suoi oratori, la sua musica sacra e strumentale meritano il trattamento finora riservato alle cose di seconda mano; non lo meritano, prima di tutto perché di seconda mano non sono; al contrario, l’arte compositiva di Legrenzi figura nel firmamento della musica europea del Seicento, come stella di prima grandezza. Un’arte compositiva, quella del Clusonese, sublime e raffinatissima che colpisce, chiunque vi si accosti, per la vaghezza espressiva e per la plastica vivacità ritmica, per i temi incisivi impiegati in vari schemi formali, per il gusto armonico, d’una sensibilità tonale ormai ben definita, per la prosodia verbale, sempre attenta a esaltare i contenuti emozionali della parola intonata.

La Chiesa di Santa Maria del Paradiso a Clusone dove si svolgerà Musica Mirabilis.

Prima di affrontare i temi del Festival clusonese dedicato a Legrenzi, vorrei chiederle: com'è nato questo suo amore nei confronti di questo compositore lombardo? E poi, come si pone a livello europeo la sua figura nell'epoca in cui visse? Quali sono i suoi apporti in termini di evoluzione musicale?

Il mio interesse nei confronti di Giovanni Legrenzi nasce dal lungo lavoro di ricerca e di reperimento delle fonti che da anni svolgo nell’alveo della musica vocale del Seicento, con particolare attenzione per quella lombarda. Non bisogna infatti dimenticare che dal Seicento in poi, in ambito musicale, la Lombardia ha offerto un consistente e fattivo contributo alla formazione e alla definizione di stili e di forme del coevo linguaggio musicale; contributo che si è materializzato in una sterminata messe di composizioni vocali e strumentali racchiuse nei fondi musicali delle principali biblioteche della regione e di quelle del mondo intero. Basti pensare all’importanza che, in questo contesto, hanno rivestito centri come Bergamo e la Basilica di Santa Maria Maggiore, Ferrara, con le Accademie della morte e dello Spirito santo, Mantova con la Basilica di Santa Barbara, la chiesa palatina della corte dei Gonzaga.

In questo contesto, la figura e l’opera del compositore clusonese Giovanni Legrenzi, uno dei massimi rappresentanti della musica italiana del secolo XVII, autore fra i più degni di occupare un posto di rilievo nella storia musicale di tutti i tempi, si distingue per la sua grandezza artistica sebbene ancor oggi non del tutto riconosciuta. Eppure, all’epoca nella quale visse e operò, egli fu considerato musicista di indiscusso valore, al punto da essere ammirato da Bach, da Händel, da Hasse e da tanti altri compositori del suo tempo. Legrenzi è infatti il musicista capace di riassumere in sé i tratti caratteristici di un’epoca (quella barocca) e di compendiarli tutti nella sua arte creativa. La sua musica è veramente rappresentativa dello stile barocco; si eleva a un apice di grande intensità espressiva attraverso un linguaggio musicale caratterizzato da un contenuto sottile e facile da comprendere, da una singolare raffinatezza melodica, da un erudito gusto armonico, da una impeccabile declamazione del testo. A parte un paio di messe, un Kyrie a sei voci, alcuni salmi, due Magnificat, un Dies irae a due cori e strumenti, mottetti vari e una Liturgia per il Natale, pervenuti manoscritti, l’intera produzione musicale vocale e strumentale di Giovanni Legrenzi (fatta esclusioni per gli oratori e i drammi per musica) è compendiata in una quindicina di volumi, affidati ai torchi degli stampatori veneziani Alessandro Vincenzi, Francesco Magni, Giuseppe Sala e dell’editore bolognese Giacomo Monti, in un periodo compreso fra il 1654 e il 1692.

Legrenzi possiede un bagaglio tecnico di straordinario valore e dimostra di saperlo adeguare alle nuove istanze stilistiche del suo tempo, le quali procedendo nel solco della «seconda prattica» monteverdiana, volevano al centro dell’atto creativo la «parola», declinata in tutta la sua forza espressiva, in tutta la sua corposità rappresentativa. Non il contrario, com’era stato in precedenza, nel corso del Cinquecento, per la «prima prattica» di palestriniana memoria. Rendere il suono della parola per il tramite sonoro della musica diventa l’impegno costante che guida il nostro compositore nella realizzazione della sua opera musicale. Esaltare le funzioni espressive della parola, evidenziarne le valenze semantiche attraverso l’intima aderenza del suono verbale al suono musicale è ora il compito primario perseguito, la condicio sine qua non. Legrenzi non fa certo mistero di aver studiato a fondo le musiche di Claudio Monteverdi, di averle assunte a proprio modello di riferimento, di averne assimilato, fin nei recessi più profondi, la dirompente modernità insieme con la possente forza espressiva. Ma la devozione verso il «divino Claudio» non si riduce a mera opera di ricalco. Si trasforma in una ricerca continua, in uno scavo incessante volto all’ottenimento di una personale, inconfondibile cifra stilistica.

Giovanni Acciai e i componenti dell'Ars Nova Cantandi durante un concerto.

Proprio per conferire il maggior risalto possibile ai testi poetici posti in musica, il nostro autore dà fondo a ogni espediente di scrittura musicale disponibile e lo adatta al carattere e al loro recinto espressivo. In conseguenza di ciò, i recitativi, gli ariosi, i concertati con poche voci oppure pleno choro, in «stile antico» o in «stile moderno» che affollano tutta la sua produzione vocale, oratorî e melodrammi compresi, non sono soltanto semplici «utensili di lavoro» nelle mani di un pur abile artigiano. Essi sono invece dei veri e propri espedienti retorici, utilizzati scientemente per rappresentare, già a livello stilistico e formale, gli affetti e gli elementi emotivi insiti nel testo intonato. D’altra parte, per il musicista barocco, nessun’arte retorica aveva più forza di persuasione e più potere di asservimento sulla mente umana della musica.

In questo contesto vanno considerate con attenzione le scelte di Legrenzi riguardanti la distribuzione delle parti nell'ambito dell’ordito polivoco; l’esaltazione di specifici ruoli timbrici affidati a singole voci per la rappresentazione simbolica del portato emozionale delle parole; l’ideazione melodica sempre chiara, incisiva, elegante, sorprendente, caratterizzata da una vena inventiva e da una volontà di comunicazione espressiva inesauribili; la tessitura di una trama contrappuntistica già matura nella contrapposizione e nel contrasto dei temi che la innervano; le sapide migrazioni da un piano tonale all’altro, per il tramite di raffinate cadenze ora sospese ora d’inganno ora conclusive per esaltare i singoli episodi nei quali i brani sono articolati.

il frontespizio della copia originale dell'Harmonia d'affetti devoti di Giovanni Legrenzi conservata nella Biblioteca del Liceo musicale di Bologna.

Lei e Ivana Valotti siete i direttori artistici del Festival legrenziano Musica Mirabilis di Clusone. In un tempo, purtroppo, che si dimentica sempre più dell'importanza della musica colta antica, quante difficoltà avete incontrato e vinto per poter organizzare una manifestazione dedicata a un solo autore del remoto passato, per giunta quasi del tutto sconosciuto?

Devo ammettere che di fronte a una personalità artistica di così incommensurabile valore come Giovanni Legrenzi, nato nell’ameno borgo di Clusone, in val Seriana, nell’agosto del 1626, il sindaco Massimo Morstabilini e l’assessore alla cultura Alessandra Tonsi, insieme con la sua giunta e con l’intero apparato organizzativo dell’amministrazione comunale, capeggiato dall’inarrivabile Dario Cortiana, hanno reagito alla proposta mia e di Ivana Valotti con entusiasmo e disponibilità sorprendenti. In tanti anni di militanza nel mondo della programmazione musicale, è la prima volta che mi capita di incontrare un’amministrazione pubblica che accoglie una proposta culturale così complessa e così impegnativa sotto molti aspetti, e la fa sua, senza alcuna esitazione e senza timore di non riuscire a portarla a compimento. Se non è salvaguardia della cultura nazionale questa, che cos’altro è? Davvero, un modello da seguire e da imitare. S’immagini se soltanto la metà dei Comuni italiani, che hanno dato i natali a personaggi importanti della storia della musica del passato, emulassero l’iniziativa promossa dal Comune di Clusone che cosa diventerebbe il nostro Paese? Dal nulla, l’Italia riscoprirebbe autori dimenticati e le loro musiche, lasciate languire nei fondi delle biblioteche, tornerebbero in vita e contribuirebbero a rendere più chiara e più nitida l’immagine sfocata che purtroppo ancor oggi abbiamo di alcuni fondamentali periodi della nostra storia musicale, come quello rinascimentale e quello barocco. Non dovremmo mai dimenticare, come ahimè sovente facciamo, che durante i secoli XVI e XVII, l’Italia ha svolto un ruolo centrale, un ruolo da protagonista nella storia della musica europea; è stata fonte e guida, modello da seguire per nazioni come la Francia e la Germania che ad essa si sono rivolte per trarre ispirazione e per emularne l’autorevolezza artistica. Ecco perché Musica Mirabilis non è e non può essere un festival musicale qualsiasi, come altri presenti in Italia.

Musica Mirabilis è un festival musicale particolare, unico nel suo genere, caratterizzato da un’architettura originale e inedita, volta a coniugare la ricerca e la valorizzazione del repertorio legrenziano non ancora eseguito in epoca contemporanea, con la formazione e con la promozione di giovani talenti esecutivi che si affacciano alla ribalta internazionale, con prove concorsuali e con seminari di studio e di approfondimento della prassi esecutiva musicale del passato. Se è vero, com’è vero che fare cultura significa soprattutto esaltare le capacità umane e intellettuali degli individui, con questo suo nuovo festival la città di Clusone si pone come uno dei laboratori più interessanti e sperimentali per affermare il primato della conoscenza e il trionfo della bellezza sul degrado che da tempo pervade la società contemporanea. Non è una questione di poco conto.

Il frontespizio della raccolta legrenziana del Compiete, sempre conservato nella Biblioteca del Liceo musicale bolognese.

Se il problema della sopravvivenza di una società consiste nell’assicurare la trasmissione delle conoscenze e dei valori che essa ritiene essenziali per la conservazione della propria identità, oggi nel nostro Paese ci troviamo di fronte, almeno per quanto concerne il problema della cultura musicale, a un atteggiamento di sfiducia a voler considerare la musica non soltanto un’arte ma anche e soprattutto uno dei mezzi più efficaci e più formativi della persona umana. Il festival intende educare (nel senso di e-ducere) il suo pubblico, offrendogli la possibilità, nell’arco di un quadriennio, di conoscere non soltanto l’intera produzione vocale e strumentale di Legrenzi, ma anche di approfondire gli aspetti estetici, formali, stilistici di un importante periodo della storia italiana ed europea: il Seicento musicale. Oltre a offrire un contributo affatto trascurabile in questa direzione, Musica Mirabilis, servirà a imprimere un sembiante di eternità a suoni e a parole che altrimenti sarebbero destinati a rimanere muti. Le emozioni più forti dell’animo umano, la felicità, l’amore, la sofferenza, il dolore sono come personificate nella musica di Legrenzi, dalla quale si libera un messaggio che risuona e suscita sensazioni sempre diverse e mutevoli in colui che le ascolta.

Un elemento che colpisce, andando a leggere le finalità e gli obiettivi di Musica Mirabilis, è che nell'edizione in programma per il 2024 verrà promulgato il bando del Primo concorso internazionale di musica da camera «Giovanni Legrenzi», riservato a gruppi vocali e strumentali composti da musicisti nati non prima del 1990. A questo punto le chiedo, anche sulla base del fatto che lei è docente di Paleografia musicale al Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Milano: come viene recepita dai giovani di oggi la musica antica, con curiosità, con interesse, con un approccio interdisciplinare, con la consapevolezza di essere strumenti di testimonianza e di un sapere ineludibile che non dev'essere assolutamente dimenticato?

La promozione artistica dei giovani talenti nazionali e internazionali; la preparazione degli studenti dei Conservatori italiani affinché possano affrontare con consapevolezza e pertinenza stilistica il repertorio vocale e strumentale del passato; la riscoperta e la proposta esecutiva in epoca contemporanea dell’intero corpus musicale a stampa di Legrenzi; l’allestimento ex nihilo di un dramma per musica del Clusonese ancora sepolto nelle biblioteche e fino a oggi mai proposto all’attenzione del pubblico; la sensibilizzazione dell’ambiente musicale circostante attraverso una rete di collaborazione a vasto raggio non solo con i centri musicali di città nelle quali Legrenzi ha prestato il suo magistero artistico (Bergamo, Ferrara, Venezia), ma anche con Accademie e Centri di musica antica nazionali ed internazionali, con i Conservatori di musica, con le Università. Questi sono, per sommi capi, gli aspetti caratterizzanti, i tratti distintivi, le specificità peculiari di Musica Mirabilis.

Eppoi, accogliere da ogni parte d’Europa, giovani musicisti pronti a mettersi in competizione fra loro, affrontando le pagine vocali e strumentali legrenziane per la quasi totalità inedite e mai eseguite, sarà un’enorme emozione; l’inizio di un percorso che culminerà nell’esibizione dinnanzi al pubblico di quei solisti e di quei gruppi vocali e strumentali che una giuria, formata dai più prestigiosi artisti attivi nel campo della musica del passato, proclamerà vincitori e, dunque, meritevoli, di entrare a far parte della programmazione concertistica di Musica Mirabilis e, anche del firmamento concertistico e discografico internazionale. Come ha già detto bene lei, formulando questa domanda, i giovani musicisti di oggi hanno affrontano lo studio della musica antica, «con curiosità, con interesse, con un approccio interdisciplinare, con la consapevolezza di essere strumenti di testimonianza e di un sapere ineludibile che non dev'essere assolutamente dimenticato».

Giovanni Legrenzi.

Al di là della figura di Giovanni Legrenzi, di cui lei e l'ensemble «Nova Ars Cantandi» state portando avanti con dedizione e con passione la registrazione delle sue opere, quali altri autori a lui coevi vivono la medesima situazione, ossia quella di attendere ancora una debita rivalutazione in sede concertistica e discografica?

Sono molti. Limitando l’ambito della ricerca a quel paradiso musicale che è stata la cappella della basilica di Santa Maria Maggiore di Bergamo, durante i secoli XVI e XVII, musicisti come Gasparo de Albertis, Pietro Ponzio, Pietro Vinci, Ippolito Camaterò, Giovanni Cavaccio, Alessandro Grandi, Tarquinio Merula, Maurizio Cazzati, Giovanni Battista Quaglia e Giovanni Battista Bassani (per citarne soltanto alcuni) attendono ancora di essere presi seriamente in considerazione, attraverso la ricerca, lo studio e l’esecuzione delle musiche da loro composte. Quando dico «esecuzione» non mi riferisco a qualche brano sparso qua e là in volenterosi programmi di concerto, ma a un lavoro metodico, capillare, pianificato come quello che ho incominciato a fare per Legrenzi. Non dobbiamo infatti dimenticare che nel corso del Cinquecento e del Seicento, la cappella della basilica di Santa Maria Maggiore era considerata, e con ragione, una delle cappelle musicali più importanti d’Italia. Formata com’era da un corposo organico di cantori professionisti, di strumentisti di valore e di insigni compositori, essa rappresentava un centro musicale di grande rinomanza, molto ambito dai maestri dell’epoca, in quanto offriva, a chi ne faceva parte, prestigio e sicurezza economica. Tanta solidità economica e istituzionale derivava anche dal fatto che al suo governo non provvedeva un organismo ecclesiastico, ma una confraternita laica attiva fin dai prima metà del secolo XV: l’Opera pia Misericordia Maggiore di Bergamo, abitualmente indicata con la caratteristica abbreviazione MIA.

il musicista bussetano Tarquino Merula, uno dei tanti compositori del Seicento italiano che attendono ancora una piena ed esaustiva rivalutazione concertistica e discografica.

Ciò non vuol dire che nel corso degli anni, la MIA non abbia conosciuto periodi di crisi e ristrettezze economiche, come per la peste del 1630, durante la quale il Capitolo dei reggenti fu costretto a moderare le spese, sospendendo più volte le esecuzioni musicali in basilica, o riducendo i salari dei musicisti. Tuttavia, nonostante le difficoltà, la Misericordia Maggiore è rimasta nel tempo un luminoso esempio di come l’impegno appassionato e l’amore per la musica da parte di tutti i suoi membri, abbiano potuto coronare al meglio le esigenze spirituali e artistiche per le quali la MIA è stata istituita, ovvero, come si legge in una delibera che risale agli anni di servizio in Santa Maria Maggiore di Legrenzi, «di mantenere questa Chiesa - cappella della magnifica Città di Bergamo - nel suo splendore». Anche Ivana Valotti ed io, responsabili artistici di Musica Mirabilis, desideriamo che l’arte somma di Legrenzi continui a essere mantenuta nel suo splendore, a trasmettere quella forza comunicativa, quell’umano accento di verità che è la sua cifra inconfondibile; continui a contribuire a far risplendere di nuova luce anche il magistero artistico degli autori coevi al Clusonese, affinché possano anch’essi godere di quell’interesse e di quell’attenzione che avrebbero meritato da tempo se la pigrizia mentale e l’ignavia culturale di chi avrebbe dovuto farlo, non lo ha fatto.

Andrea Bedetti