Prendete un valente virtuoso del clarinetto, unitelo a una brava pianista (ultimamente assai à la page), confezionate un curioso programma e otterrete un interessante progetto discografico. È quanto è stato fatto da una novella label discografica italiana, l’appena nata MM, che in collaborazione con Sony Music ha dato vita al CD All’Opera! con la presenza del clarinettista Corrado Giuffredi e della pianista Leonora Armellini (leggi qui la loro intervista), i quali hanno presentato, come recita il sottotitolo del disco, alcuni “assoli” dello strumento a fiato in questione, con accompagnamento pianistico, tratti da opere liriche italiane del XIX secolo.
Un progetto che ha indubbiamente un suo perché e una sua originalità di base, visto che prende in esame “assoli” clarinettistici di diciotto opere liriche che cronologicamente vanno dall’Anacréon di Luigi Cherubini (1803), un’opera tanto amata da Arturo Toscanini, fino alla Tosca (1900) di Giacomo Puccini, passando attraverso autori famosi, come Giuseppe Verdi con Les vêpres siciliennes (1855) e La forza del destino (1862), Amilcare Ponchielli con La Gioconda
(1876), opera purtroppo perennemente sottostimata, nonostante il suo sommo impatto tragico nelle intenzioni e nella musica, come Vincenzo Bellini con I Capuleti e i Montecchi (1830), come Gaetano Donizetti con Poliuto (1838), Sancia di Castiglia(1832), L’assedio di Calais (1836), La romanziera e l’uomo nero (1831) e Torquato Tasso (1833), e come Gioachino Rossini con Maometto II (1820) e Ricciardo e Zoraide (1818), oltre al Mosè in Egitto (1818) e La donna del lago (1819), di cui il grande pesarese utilizzò gli assoli clarinettistici presenti in queste due opere per dare vita nel 1822 alle Variazioni per clarinetto e orchestra, dedicate a un virtuoso dell’epoca, l’amico Alessandro Abate, ad altri autori meno celebri o entrati nel frattempo nell’imbuto del dimenticatoio storico, almeno per il grande pubblico, come Saverio Mercadante, malgré soi, con Elena da Feltre (1838), Giovanni Pacini con Saffo (1840), Maria regina d’Inghilterra(1843) e Bondelmonte (1845), e come Errico Petrella con Jone(1858).
Un programma, quindi, a dir poco nutrito e stimolante, capace di mettere in risalto due aspetti, uno generale e l’altro particolare, ossia il ruolo dell’assolo strumentale nel panorama del teatro lirico e quello che riguarda, nello specifico, il clarinetto a livello strumentale. Nella sua presentazione, Corrado Giuffredi circoscrive le motivazioni di tale disco all’insegna della “felicità” e del “piacere” all’ascolto trasmessi da queste pagine, alcune celebri, altre decisamente meno (a loro sfortuna); peccato che né lui, né l’estensore delle vere e proprie note di accompagnamento, ossia Adriano Amore (il quale ha avuto il merito, con lo stesso Giuffredi, di effettuare un paziente e approfondito lavoro di ricerca sulle fonti originali delle opere più rare e dimenticate qui prese in esame) hanno pensato di valorizzare ulteriormente l’interesse e l’originalità di tale operazione discografica spiegando a coloro che non sono avvezzi al genere dell’opera lirica due fattori che, a mio modestissimo avviso, sono invece basilari per comprendere meglio l’esprit di questa registrazione: come già accennato, l’importanza e l’evoluzione dell’assolo operistico da una parte e fornire qualche indicazione di come il clarinetto, negli assoli presentati nel CD, abbia avuto un ruolo basilare dall’altra.
L’assolo strumentale, all’interno delle dinamiche e dei meccanismi operistici, ha il valore di una porta che si chiude o che si apre, a seconda della situazione e del contesto in cui si viene a trovare e a intervenire, rappresenta un preludio o un postludio non solo musicale, ma anche psicologico e narrativo, rispetto al dipanarsi della narrazione e del personaggio con il quale va a identificarsi; è una chiave di volta, quasi mai uno sterile “intermezzo” o un semplice “inciso”, ma un processo “formativo” nel quale si cala da protagonista, elemento ineludibile senza il quale una tensione, una nota drammatica, emotiva, sentimentale, tragica, persino comica, non possono manifestarsi o porsi come trait d’union con il ritmo narrativo e concatenante dell’azione scenica. E poi il clarinetto, che nella generale tradizione musicale italiana, a cominciare dai primissimi decenni dell’Ottocento, si pose come strumento di riferimento, tale da assumere, soprattutto nelle classi sociali più modeste, come elemento palpabile della consuetudine, non così fondamentale e radicata come in quelle tedesca e francese, della musica suonata e ascoltata in ambito familiare, la cosiddetta Hausmusik. Senza poi dimenticare l’aiuto che uno strumento come il clarinetto, con la sua inconfondibile timbrica, con la pletora di sfumature sonore e psicologiche che riesce a infondere, fornì agli operisti italici dell’Ottocento, soprattutto a Giuseppe Verdi (cosa, invece, che non fu sfruttata in tal senso dalle altre scuole operistiche europee, tranne in parte nel teatro d’opera francese), in quanto le peculiarità, le caratteristiche di questo strumento a fiato si amalgamavano idealmente con le necessità compositive della tradizione lirica italiana, la quale, non per nulla, sfornò virtuosi in tal senso in numero consistente, capace di irradiare, di esaltare, di manifestare quel carico di melodiosità, di cantabilità tipiche del Belcanto, così come di evidenziare le note drammatiche e tragiche (La Gioconda su tutte): insomma, a livello d’orchestrazione e di composizione, il clarinetto, per la musica operistica italiana dell’Ottocento, è stato per davvero uno strumento “per tutte le stagioni”!
Qualche esempio, concernente proprio alcuni assoli inseriti nel disco, faranno capire meglio: Verdi e La forza del destino; nell’incipit orchestrale del terzo atto, il clarinetto s’identifica con la solitudine, la rassegnazione di Don Alvaro, in attesa dello scontro tra i granatieri spagnoli, da lui comandati, e le truppe francesi, una rassegnazione che lo porta ad agognare la morte in combattimento, con lo strumento a fiato che lo accompagna in questo recitativo, La vita è inferno… , ispessisce i tormenti della sua anima, lo incalza nei suoi ricordi sempre più amari, lo sostiene, lo rincuora nel trovare il coraggio per affrontare la battaglia e la morte. Pagina memorabile per sfumature e ombre psicologiche, nella quale il clarinetto assume i contorni di un contraltare dell’Io del personaggio, e con gli archi gravi che amplificano la portata di queste insondabili, abissali amarezze, proprio prima che il tenore cominci a cantare. Andiamo avanti, Ponchielli e La Gioconda: a quale strumento il compositore cremonese affida l’incarnazione del “tema del destino” all’inizio del IV atto? Al clarinetto, per l’appunto, che assume l’immagine di una tenera e disperata marcia funebre della quale la Gioconda è destinata ad esserne la protagonista con la sua morte per sfuggire alla vendetta di Barnaba (anche qui le diverse inflessioni timbriche date dallo strumento rappresentano, idealmente, l’approdo che deflagra con la celeberrima aria Suicidio! enunciata drammaticamente dai violini e dalle viole). E che dire di quel fine orchestratore che fu Puccini, il quale per accompagnare mestamente Mario Cavaradossi alla fucilazione nel terzo atto de La Tosca lo fa attraverso quel compagno ideale che è il clarinetto nell’aria E lucevan le stelle? Quale altro strumento sarebbe riuscito a trasmette la desolante solitudine, l’immane impotenza provata dal personaggio se non questo, simbolo di un’immanenza destinata a implodere, lancinante entropia nella quale la vita e l’amore si dissolvono tragicamente?
Un ultimo esempio: Donizetti, un altro che in fatto di orchestrazione fu maestro (la lezione di Mayr… ) nel dosare, nel calibrare le ventate di drammaticità delle sue opere serie, come nel caso del secondo atto di Sancia di Castiglia (opera mirabile, ma ancora non conosciuta come meriterebbe!), quando, all’inizio della settima scena, troneggia il calice d’oro avvelenato, e il clarinetto sorge dal nulla per descrivere ciò che si sta per compiere, ossia con la regina Sancia, per amor materno, che invece di far bere la bevanda avvelenata al figlio Garzia, decide di farlo lei, in quel processo narrativo che prende avvio con l’aria Sola son io... Feral silenzio!.
Questi pochi esempi ci fanno quindi capire come l’elemento dell’assolo, in questo caso fornito dal clarinetto nella tradizione operistica italiana, abbia una rilevanza che va ben oltre il semplice connotato coloristico, di sovrastruttura orchestrale, ed è un peccato, quindi, che le note di accompagnamento non si siano fatte carico di un maggior approfondimento, spiegando all’ascoltatore, soprattutto in quelle di non facile fruizione, in primis i lavori di Mercadante, Pacini e Petrella, la debita funzione data dallo strumento a fiato in tale contesto.
A parte ciò, tornando alla lettura del duo Giuffredi & Armellini, nulla da eccepire, anzi. Certo, bisogna partire dal fatto che estrapolare un particolare dalla linea generale di un’opera è sempre qualcosa di rischioso, e questo vale soprattutto, nell’ambito operistico, per ciò che riguarda gli strumenti musicali più che le voci. Questo perché l’estrapolare dall’opera in sé e riproporre, come in questo caso, in chiave “cameristica” porta necessariamente allo svilimento del pathos originale e originario, lasciando spazio e briglia sciolta all’elemento melodico, cantabile, estraniato da quello che riguarda la drammaticità insita in diverse opere qui prese in oggetto (ecco perché Giuffredi parla di “piacere” e di “felicità” a fronte di lavori operistici che, il più delle volte, trasudano al contrario di tragicità e di dolore).
E che il clarinettista parmense riesca a fornire il necessario appeal melodico, di essere un dispenser di piacere è indubbio, come il fatto che, dall’alto del suo virtuosismo, dia del tu, come si suol dire, allo strumento. Le difficoltà tecniche non mancano, anzi abbondano (prendo, a mo’ di esempio, pagine come le Variazioni rossiniane, L’assedio di Calais donizettiano, la Maria regina d’Inghilterra paciniana), ma Giuffredi le risolve sempre perfettamente, dimostrando di trovarsi a proprio agio con simili sfide, oltre a vantare un’impeccabile intonazione e un senso melodico che mai dimentica, fortunatamente, la caratura psicologica, il senso generale dal quale l’assolo è stato estrapolato.
Lo stesso apprezzamento vale per Leonora Armellini, la quale, oltre ad assolvere diligentemente il ruolo dell’accompagnamento (a tale proposito, una nota di merito dev’essere elargita nei confronti di Michele Mangani, che ha effettuato una valida riduzione per il pianoforte), riesce anche, quando il brano lo permette, di intessere un validissimo dialogo con lo strumento a fiato, dilatando la caratura e la validità di quanto enunciato.
La presa del suono è stata fatta, presso il Teatro Comunale di Modena, da Pietro Tagliaferri, con esiti più che positivi; la dinamica è un concentrato di energia, nitidezza e apprezzabile velocità, il che permette, per ciò che riguarda il palcoscenico sonoro, di vedere ricostruiti in modo corretto i due strumenti al centro dei diffusori, contraddistinti inoltre da una discreta profondità nella quale si trovano messi a fuoco e con il clarinetto leggermente avanzato rispetto al pianoforte. L’equilibrio tonale non mostra slabbrature di sorta, con i registri grave e medio-acuto di entrambi gli strumenti sempre perfettamente distinguibili. Il dettaglio, infine, è piacevolmente materico, con una presenza indiscutibilmente tridimensionale sia del clarinetto, sia del pianoforte.
Andrea Bedetti
AA.VV. – All’Opera! Original Clarinet Solos by Italian Composers
Corrado Giuffredi (clarinetto) – Leonora Armellini (pianoforte)
CD MM 1658710142
Giudizio artistico 4/5
Giudizio tecnico 4/5